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Max Collini: “Nelle canzoni di oggi è sparito l’aspetto sociale, ma la colpa è della società in cui viviamo”

Abbiamo parlato con Max Collini, fondatore degli Offlaga Disco Pax, cantore di storie antifasciste e alla ricerca di giovani autori di canzoni a tema sociale.
A cura di Francesco Raiola
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Max Collini (ph Antonio Viscido)
Max Collini (ph Antonio Viscido)

Sono passati 20 anni dalla formazione degli Offlaga Disco Pax e 18 dall'uscita di "Socialismo tascabile (Prove tecniche di trasmissione)" album d'esordio che ha segnato il mondo dell'indie italiano degli anno 2000. Un album che portava sulla scena una band che trattava temi sociali e lo faceva con uno spoken che sarebbe diventato marchio di fabbrica. Guardare oggi quel periodo, pensare a come la band sia riuscita a diventare di culto sembra quasi impossibile, eppure possibile in un periodo in cui l'indie italiano era florido e variegato ed era possibile raccontare storie come quelle pensate e suonate da Max Collini, Daniele Carretti e Enrico Fontanelli, la cui scomparsa mise fine a quel progetto. Collini, però, non si è fermato e adesso è in giro con "Storie di Antifascismo senza retorica" ed è giudice del contest "Eticanto. Canzoni di questo mondo" – che si tiene all'interno del Festival FestiValori (20-22 ottobre) -che cerca autori di canzoni sui temi dell’etica e della sostenibilità? FestiValori

Quali sono queste storie di antifascismo senza retorica? 

Lo spettacolo racconta la storia di quello che è successo dalla fine ventennio alla riconquista della democrazia parlamentare e tutto ciò che è venuto dopo, perché l'antifascismo non si nutre soltanto di eventi storici, ma anche di eventi della modernità. Raccontato con il tenore istituzionale che usano alcune associazioni rischia di non  avere più un linguaggio che sia comprensibile e interessante per un pubblico che ormai vede quegli eventi come qualcosa che lo riguarda relativamente, che non comprendono. Io appartengo ancora a una generazione in cui nonni e genitori hanno potuto ancora raccontare qualcosa, ma quella successiva alla mia non ha più testimonianze dirette, se non legate a vicende tramandate dalle famiglie o, in qualche caso, dall'interesse della scuola ad arrivare fino alla storia contemporanea.

Il linguaggio come veicolo importante per narrare questa storia…

Sì, mi sono posto il problema di veicolare tutta una serie di storie e di eventi con un altro linguaggio, raccontando le persone invece degli eroi partigiani e tutto ciò che già conosciamo, cercando di usare altri linguaggi: quindi non ci sono eroi particolari, cerco, per quanto possibile, di non usare la retorica tradizionale con cui di solito vengono veicolati questi contenuti, preferendo invece storie personali, minime, familiari e legate a un'esperienza diretta di persone che non avevano nessun ruolo per rischiare la pelle in quell'epoca.

Come è organizzato lo spettacolo?

È organizzato in un modo tendenzialmente cronologico, per cui si parte con storie che riguardano il periodo della guerra, la Repubblica sociale, i rastrellamenti e si arriva alla contemporaneità, perché, come dico anche nella spiegazione iniziale, l'assioma "non può esistere antifascismo in assenza di fascismo" è una bella bufala che ci hanno rifilato dal dopoguerra ad oggi. In realtà, dal dopoguerra a oggi di episodi di stampo fascista e neofascista la Storia ne è piena. Sarà una Repubblica parlamentare, ma mi sembra che si stiano sdoganando dei contenuti impressionanti.

I casi De Angelis e Vannacci con tutto quello che hanno scatenato sono esempi di ciò che dici?

Sono cose di cui ovviamente il mio spettacolo non parla direttamente, perché sennò sarebbe uno spettacolo di attualità e non uno spettacolo legato ad altri contenuti, però sono lo specchio di una situazione. Una volta che rompi gli argini vale tutto, al punto che siamo arrivati a dare agli  ex di Terza Posizione sia agibilità pubblica che agibilità politica. E un ex Terza Posizione come De Angelis, condannato a cinque anni per banda armata, oggi poteva essere il portavoce del presidente di Regione senza che nessuno avesse niente da dire: può essere che da un punto di vista la legge sia legittimo ma a livello di opportunità politica è un delirio.

È il teatro, oggi, che ti dà lo spazio migliore per raccontare?

Mi piace molto l'aspetto teatrale dei miei spettacoli, ultimamente è la cosa principale che ho fatto, penso anche a quello sull'indie che ho portato in scena precedentemente: l'aspetto teatrale è l'aspetto principale di questi miei anni di attività artistica. Poi è chiaro che non sono un autore teatrale, non sono neanche un autore, probabilmente, però diciamo che quell'approccio lì mi piace, mi rappresenta molto e mi sembra che sia anche gradito al pubblico. Gli argomenti di cui fare spettacoli, poi, sono infiniti, perché di teatro civile in Italia se ne fa poco o niente; non so se io faccio teatro civile, ma ci provo.

Resti indie anche nella scelta dei luoghi in cui esibirti, mi pare…

Sai, facendo le cose non istituzionali, i miei spazi non sono istituzionali, per cui accedo principalmente a piccoli festival culturali, circoli Arci, manifestazioni dell'ANPI, cose di questo tipo, mentre è difficile che propongano i miei spettacoli in teatri strutturati, istituzionali.

Guardando alla carriera degli Offlaga Disco Pax, quanto ti ha sorpreso l'idea che canzoni che trattavano temi civili abbiano trovato un riscontro così importante?

La nostra era una scena indipendente, molto strutturata dal basso, c'era molto più sommovimento, molto più underground, in tutte le città c'era un club, un circolo in cui poteva suonare anche una band più piccola, spesso anche in provincia, e c'era una scena più diffusa, magari meno eclatante dal punto di vista dei numeri, ma più profilata: c'era collaborazione tra i gruppi, tra gli eventi, tra i locali e questa cosa pian piano ha cominciato a salire verso l'alto. Nel momento in cui siamo usciti noi, diciamo il periodo 2005-2010, ovvero il periodo più importante per il gruppo, c'era tutto un pubblico che seguiva quella scena. Pensa che per il nostro primo disco abbiamo fatto quasi 160 date e abbiamo girato venti mesi, oggi guarda i tour e gli artisti indipendenti: dieci date, quindici date, in un'estate molto attiva, con una proposta molto forte, magari fai venti concerti.

E a cosa è dovuto, secondo te?

Non ci sono più spazi per poter strutturare tour molto lunghi, moltissimi locali li ha fatti fuori la pandemia, quindi è una scena, quella di oggi, totalmente diversa. All'epoca, e ti parlo da persona che prima andava a vedere i concerti, poi da un giorno all'altro è finita su un palco, la davamo per scontata e alla fine c'è voluto poco perché scomparisse. Secondo me gli Offlaga Disco Pax ebbero un riscontro totalmente inaspettato perché riempivano un vuoto. Ti ricordo che tutta la scena indie dei primi anni zero in Italia sostanzialmente cantava in inglese, cioè c'era un cambiamento di linguaggi e si guardava a modelli anglosassoni, americani, post-rock; finita l'epoca d'oro dei CSI o cose degli anni 90, i Marlene Kuntz etc, quella italiana in italiano, indipendente, era una scena che o era diventata molto grande e di fatto entrata nel mainstream, oppure era qualcosa di sotterraneo. Ti guardavano male se facevi sold out al Covo con 250 biglietti venduti, quindi arrivare con una proposta così, quando in quel momento progetti come i Massimo Volume e tutta la roba del Consorzio non esisteva più, ci ha permesso di riempire quel vuoto. Noi naturalmente non avevamo la minima idea che quello che stavamo facendo potesse in qualche modo riempire dei vuoti che il pubblico sentiva, perché siamo partiti senza nessuna ambizione: io ho sempre vantato che avevamo un piano quinquennale, ma erano tutte balle. Le cose sono semplicemente accadute, in questo siamo stati più situazionisti che programmatori.

C'era più pop in italiano, poi poco dopo di voi è sono arrivati progetti come quello di Vasco Brondi…

…lo Stato sociale, certo, poi a un certo punto, dagli anni 10, si è passati dal parlare di società al mettere l'io in primo piano, e così l'aspetto sociale è sparito…

A proposito, mi pare che questo mancato passaggio dall'io al noi sia uno dei problemi della scena italiana, specie quella urban…

Io penso che le canzoni rispecchino la società da cui provengono,  gli artisti rispecchino la società da cui provengono e la società è questa roba qua, in questo momento, quindi è anche normale che un artista sia uniformato. Ma non lo fa per cavalcare un'onda perché è più promettente, semplicemente perché se la società questo ci dà, questo è quello che è in grado di dire. Gli artisti che hanno comunque una dimensione nei loro contenuti, non soltanto personale, non soltanto autoriferita, sono pochissimi e sono parecchio adulti. L'ultimo probabilmente è Brunori, ma è un cantautore strutturato che ha più di quarant'anni. Ragazzi che abbiano una capacità di linguaggio che possano raccontare, anche parlando di sé, con uno sguardo allargato, secondo me ce ne sono molto pochi. Ma banalmente è la società che è fatta così: pensa alle differenze abissali che ci sono tra il rap degli anni 90 e quello di oggi. O basta guardare le canzoni di Sanremo, analizzarne i testi, una volta qualche cantautore ci passava, oggi è molto difficile che possa arrivare su quel palco qualcosa, una proposta. Secondo me ci sarebbe anche la disponibilità, non c'è alcuna preclusione, è la proposta artistica che manca. È difficilissimo parlare della contemporaneità, e io per primo sarei in difficoltà.

Non vedi proprio nessuno?

Le ultime proposte artistiche sono arrivate da Lo stato sociale, che però sono in giro da più di dieci anni, poi c'è Brunori, appunto, e mi viene in mente poco altro.

Penso a Willie Peyote, anche…

Sì, c'è Willie, e anche Dutch Nazari, che è il mio preferito…

Quanta difficoltà troverai a incontrare artisti e canzoni a tema sociale, come giudice del contest musicale di FestiValori?

Non mi capita spesso di fare un contest, non è mia abitudine fare il giudice, ma in generale non ho grandi aspettative, anche perché di solito un contest ha a che fare con artisti giovani e poco conosciuti, quindi anche un po' ingenui nella proposta: l'unica cosa che voglio trovare è una proposta personale, non mi interessano gli scimmiottamenti di altri artisti già conosciuti, cosa che in fase adolescenziale è abbastanza normale che avvenga, mi interessa più che ci sia un linguaggio o una proposta propria, magari anche ingenua, da sgrezzare, magari non particolarmente tecnicamente interessante, ma dove l'artista possa dire qualcosa che può dirmi solo lui, perché lo riguarda in prima persona. Di voci belle ce ne sono tantissime, di canzoni d'amore belle anche, però quello che mi puoi dire tu di te stesso me lo puoi dire soltanto tu, quindi se scegli un linguaggio sincero, mi dimostri che hai qualcosa da dirmi: puoi faro male, anche mal vestito, mal strutturato, ma secondo me è comunque più importante di una bellissima canzone uguale ad altre 50.000, che potrebbe cantare chiunque, in qualunque momento e in qualunque situazione.

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