Da ieri è disponibile in pre-order su iTunes e Amazon il nuovo album di Massimo Ranieri, “Malìa”, che uscirà il 9 ottobre in CD e il 23 ottobre in vinile. Il disco conterrà dodici brani che risalgono agli anni tra il 1950 e il 1960, tutti appartenenti al vastissimo repertorio della canzone napoletana, come “spiegato” da una copertina che presenta un disegno stilizzato del Golfo e la specifica “Napoli 1950 1960”. Sotto quello del titolare del disco sono schierati cinque nomi che non possono lasciare indifferente qualsiasi cultore del nostro jazz: Enrico Rava, Stefano Di Battista, Rita Marcotulli, Riccardo Fioravanti e Stefano Bagnoli, ovvero una band “all stars” perfetta per rileggere in chiave confidenziale, da elegante night club del (bel) tempo che fu, temi e melodie di notevole forza evocativa. Insomma, nell’immagine mancano soltanto le generalità dell’altro principale responsabile dell’operazione, quel Mauro Pagani che i più attempati ricorderanno nella prima, storica formazione della Premiata Forneria Marconi e poi accanto a Fabrizio De André in lavori cruciali come “Crêuza de mä” e “Le nuvole”, ma che gli appassionati un minimo più attenti conoscono come multistrumentista, produttore, cantautore, compositore di colonne sonore, operatore culturale a più livelli. Una figura di riferimento per quella parte sana della scena nazionale che si ostina a cercare nella musica qualcosa di più profondo e vitale del semplice intrattenimento.
Il sodalizio tra Pagani, sessantanovenne della provincia di Brescia, e il sessantaquattrenne Ranieri, partenopeo DOC il cui curriculum artistico rivela un formidabile eclettismo, è tutt’altro che un’estemporanea stranezza o una forzatura; è, invece, il rinnovarsi di un solido rapporto avviato una quindicina di anni fa, quando i due cominciarono a gettare le basi di una meticolosa e originale opera di recupero del songbook napoletano. In poco più di tre anni, fra l’autunno del 2001 e il gennaio del 2005, fu infatti pubblicato dalla Sony, la stessa etichetta che ora ha sponsorizzato “Malìa”, lo straordinario trittico “Oggi o dimane”, “Nun è acqua” e “Accussi’ grande”, (mini)storia in quarantadue tappe – la più antica del ‘700 – della miglior canzone fiorita sotto il Vesuvio. Nessuna strizzata d’occhio al mercato “pop” o alle tradizioni “da cartolina”, bensì autentica world music la cui fedeltà (concettuale) alle radici è sottolineata dal ricorso a intrecci strumentali sobri e dal respiro qua e là esoticheggiante. Gli arrangiamenti per lo più acustici, curati da Pagani assieme al chitarrista (napoletano) Mauro Di Domenico, e la vocalità intensa ma misurata di Ranieri costituiscono una splendida risposta a certe esagerazioni melodrammatiche, spesso stucchevoli, di tanti interpreti che non hanno fatto del bene alla reputazione di questo ricchissimo patrimonio.
Per certi versi affine ma per molti altri assai differente a quello della trilogia, “Malìa” potrebbe avere il merito di riaccendere qualche riflettore sulla trilogia 2001-2005, che a dispetto dei consensi plebiscitari raccolti all’epoca sembra essere stata un po’ dimenticata. Magnifica in ogni suo capitolo, con il mediano forse preferibile agli altri due, la sequenza “Oggi o dimane”/“Nun è acqua”/“Accussi’ grande” è non solo una pietra miliare di Massimo Ranieri ma anche un capolavoro tout court, oltretutto prezioso per fugare eventuali preconcetti sulla canzone di Napoli; al punto che, volendo esplorarla da zero, potrebbe essere una buona idea sceglierlo come base di partenza.