Non sono poi molti, i protagonisti indiscussi del rock (in) italiano dei ‘90 e più avanti, a essere tuttora “alive and kicking”, come dicono oltremanica e oltreatlantico; i tempi cambiano, e a inseguirli si rischia di perdere credibilità e pubblico. Molto meglio, invece, procedere serenamente per la propria strada, accettando gli eventuali e forse inevitabili alti e bassi e trovando sostegno e stimoli nella certezza di non aver tradito nessuno, meno che mai se stessi. Coerenti, ma per fortuna non alla coerenza come dogma astratto, i Marlene Kuntz sono sempre stati, assecondando senza forzarsi i loro naturali istinti; lo dice un percorso che, a dispetto della carriera per lo più in ambito major, di una presenza a Sanremo, della consulenza tecnica al talent show “The Voice Of Italy” o del famoso singolo assieme a Skin che all’epoca offrì a un tot di fessacchiotti l’opportunità di spararne di belle grosse, rimane inattaccabile, al di là dell’album più o meno riuscito (i primi sono in superiorità schiacciante, comunque), delle contaminazioni fra rock e canzone d’autore nelle quali taluni hanno voluto vedere sintomi di imborghesimento e/o “paraculismo”, dei capelli e delle barbe che si imbiancano. A ventisette anni dalla nascita, il gruppo di Cuneo – per tre quarti quello di allora: Cristiano Godano voce e chitarra ritmica, Riccardo Tesio chitarra solista, Luca Bergia batteria – è ancora ispirato e bramoso di conquiste, e chi se ne frega delle malelingue che, complici le lunghe celebrazioni del ventennale dell’album di debutto, sproloquiano di futuro ormai dietro le spalle.
Poche chiacchiere, i due decenni di “Catartica” – una pietra miliare del rock autoctono dei ’90 e non solo – si dovevano onorare a dovere; nel 2014/15 la band l’ha fatto con una notevole serie di concerti, con “Pansonica” – sette inediti d’antan incisi oggi – e con la collaborazione a “Complimenti per la festa”, il bel docu-film di Sebastiano Luca Insinga, finanziato con il crowdfunding, che mercoledì 17 febbraio sarà proiettato in svariate sale (uscirà poi in DVD per la Feltrinelli). Operazioni non velleitarie bensì necessarie, portate avanti con il giusto equilibrio di professionalità e cuore, che hanno un ideale compendio nel rockmovie: dinamico ma non frenetico nel montaggio, elegantissimo ma non lezioso nella fotografia, scrupoloso ma non didascalico nella trama e nella sceneggiatura, “Complimenti per la festa” è tanto piacevole alla visione quanto illuminante nel raccontare il mondo dell’ensemble piemontese, con tutte le sue principali implicazioni. Insomma, un prodotto di qualità, godibilissimo non solo per i cultori di più stretta osservanza; lo scrivo perché è davvero così e non perché – meglio precisarlo – ho avuto il piacere e l’onore di apparirvi, intervistato, come “persona informata dei fatti”.
L’atmosfera generale all’insegna del come eravamo/come siamo dell’ultimo biennio ha senz’altro influenzato la genesi del nuovo album dei Marlene Kuntz, il decimo propriamente detto (non contando, dunque, mini, live e antologie di qualsiasi genere). Nei negozi dallo scorso 29 gennaio, “Lunga attesa” è infatti un disco colmo di energia e ricco di spigoli, che rimanda ai giorni degli esordi in termini di suono oltre che di voglia e di attitudine. Sia chiaro, anche quando hanno allentato un po’ le tensioni i musicisti non si sono mai standardizzati e non hanno certo rinnegato – specie sui palchi – la loro devozione al rock rumoroso, trascinante e dalle tinte livide, ma in questo caso Cristiano, Riccardo e Luca – nonché Luca “Lagash” Saporiti, il bassista arrivato nel 2007 ma solo da ora presente nelle foto ufficiali del gruppo – hanno fatto di più; eloquenti la rinuncia a ogni “marchingegno” a favore del classico impianto chitarre-basso batteria e l’esuberanza di brani che lacerano e stillano sangue, sia quando le trame sono compatte e incalzanti, sia quando le architetture sono quelle più dilatate e avvolgenti della ballad. Nessuna nostalgia, solo (ri)presa di coscienza di ciò che si è, a dispetto della maturità che non può non trasparire dagli assalti strumentali (comunque “sonici”) e dai testi, che nonostante l’accresciuto spessore letterario non sanno affatto di pacificazione. L’impressione di aver viaggiato indietro nel tempo è magari più netta in un pezzo come “La noia”, che a metà ‘90 sarebbe diventato subito un inno alla pari di “Festa mesta” o “Retrattile”, ma il resto del ricco programma – privo di momenti di stanca ispirativa – rivela l’esperienza fin qui raccolta, benché l’intenzione sia in piena sintonia con quella “storica”; la scelta di un singolo apripista come “Fecondità”, abrasivo e ferocissimo, è inequivocabile. Per essere “reduci”, se non addirittura uno strascico del passato, i Marlene Kuntz denotano quindi una grande vitalità e il fiero proposito di mantenere un ruolo centrale nel nostro panorama rock; “mantenere” e non “riprendersi”, perché le trecentoventi (!) interpretazioni giunte in risposta alla richiesta di provare a musicare il testo della title track, diffuso appositamente in Internet settimane prima della versione originale, non lascia dubbi su quanto la band sia tuttora reputata cruciale. Il tour che l’11 marzo partirà di Milano dopo una manciata di esibizioni in Europa ne sarà l’ennesima, caldissima conferma.