Luigi Strangis, un album per abbattere gli stereotipi: “Dentro ci sono le mie cicatrici”
Si chiama "Voglio la gonna" il primo album vero di Luigi Strangis, vincitore dell'ultima edizione di Maria De Filippi. Un album in cui il giovane cantautore unisce il pop alla sua anima punk, cercando di trovare una quadra che riesce solo in parte, almeno a livello musicale, forse anche a causa della solita fretta con cui gli artisti devono lavorare a questo tipo di progetti (Strangis non ce ne vorrà, sebbene abbia negato che sia stato un problema). È un album che cerca di intercettare un pubblico più ampio, di essere accessibile senza perdere le caratteristiche musicali che Strangis predilige, ma soprattutto è un album che cerca di raccontare l'importanza di essere se stessi.
Quanto ci hai messo a scrivere e registrare il disco?
Tutto il disco è stato registrato tra una data di instore, una data di live e un day off, per questo il disco è così energico, sempre spinto, anche molto up, perché rispecchia quel periodo che stavo vivendo ed era pieno di cose. I pezzi nascono tutti tra giugno e luglio, tranne Tracce di te, che avevo cominciato a scrivere in casetta ad Amici e ho finito successivamente. Ho deciso di inserirlo nel disco perché secondo me seguiva il giusto filone, aveva un leit motiv con gli altri pezzi.
Scrivere un album di corsa non rischia di portarti a non soffermarti per bene sull'idea musicale che hai?
Dipende, a noi è venuto tutto molto naturale, anche la ricerca dei suoni; certo, è bello carico di influenze musicali e citazioni, ma non è stato fatto di corsa. I pezzi sono stati cambiati un po' nel tempo, ma nulla è stato stravolto, tutto funzionava fin da subito, poi sulle rifiniture, le piccole cose è giusto soffermarcisi un po' di più. Anzi, pensa che le voci le ho registrate più e più volte, perché ogni volta che ci accorgevamo che c'era qualcosa che poteva essere fatto meglio, per questo ti dico che è vero che l'abbiamo fatto in mezzo a tante cose ma ci abbiamo messo la cura che serve quando fai un disco. Poi è musica, quindi molte volte l'approccio è anche molto naturale, mi piace vivermela così, come è giusto che la musica sia.
Quali sono gli stereotipi musicali da abbattere con la musica che fai?
In realtà, più che di stereotipi musicali, parlo di stereotipi in generale. Il titolo del disco arriva proprio per questo motivo qui, perché in generale io voglio la gonna, posso indossarla, non dovrei neanche dire il perché, è proprio quello il fulcro di tutto. Spesso mi chiedono: ma perché la vuoi? Non dovresti proprio farmela questa domanda, io la voglio perché mi piace.
“Voglio una vita senza regole” richiama un po’ quella vita spericolata di Vasco: cosa intendi per “senza regole”?
La vita senza regole è una vita in cui io sono libero di scegliere, ma con il rispetto verso gli altri. Quindi per me non è la vita senza regole, spericolata, è una vita senza regole, ma col rispetto altrui.
Hai provato a metterci quell'anima punk che avevi descritto prima di entrare ad Amici: quanto di quel ragazzino c'è in questo album, e come è avvenuto poi tutto il processo?
Credo che in ogni pezzo ci sia quell'animo ragazzino, sia prima, sia in futuro, sai, è una cosa che comunque ho vissuto e che inevitabilmente metti dentro perché fa parte di te. Magari in questo disco si nota un po di più perché ci siamo avvicinati più a quelle sonorità, ci siamo rifatti anche un po' a YUNGBLUD, ad esempio. Ho suonato punk per tanti anni, quindi penso si senta sempre, e oggi un po' di più. Però sì, l'idea è stata quella di riprendere un po' in generale tutti i miei ascolti, il linguaggio poi è proprio quello.
Quanto del pop italiano ha influenzato questo progetto?
Beh, io ascolto poco pop italiano, ti dico la verità, però è anche bello il confronto e questa cosa è una cosa che mi piace particolarmente.
Dell'attitudine rock e punk ne parli spesso, però è vero che l'impressione è che volessi spingere di più senza poterlo fare. Può essere anche per cercare di essere il più accessibile possibile?
Più che cercare tanto pubblico, l'idea era quella di dare un disco che non risultasse troppo pesante. Perché secondo me, al giorno d'oggi, nel contesto storico in cui viviamo ci sta che sia un disco accessibile a quante più persone possibile, perché secondo me per ora va così, quindi non è una ricerca di più pubblico, riguarda più quello che sentivo ed è andato giù così.
Come è cambiata la responsabilità della scrittura? Scrivere per te o per un pubblico ancora limitato e scrivere, oggi, sapendo che arriverai a un ampio pubblico, a un’ampia critica?
La scrittura più che cambiare si modella, perché poi scrivi di quello che vivi, quindi in base a quello che vivi scrivi: inevitabilmente ora fai caso alle piccole cose, quelle che erano anche in scrittura, cioè se puoi mandare un messaggio, oppure se hai delle immagini vere e proprie che puoi dare, è giusto anche rifinirle nel minimo particolare. Quello che è cambiato, insomma, è proprio l'occhio di riguardo, ancora più grande, rispetto a prima. Poi ovviamente ti metti anche nei panni di chi ti ascolta e cerchi di immedesimarsi con lui, provando a capire cosa potrebbe provare, perché è bello far provare qualcosa quando dai una canzone, è ciò che tutti dovrebbero fare. Ciò che è cambiato, quindi, è il rivedere queste piccole cose e riuscire a mettersi dall'altro lato.
La selezione delle canzoni, invece, come è avvenuta?
Molto naturalmente, abbiamo lasciato fuori altro materiale, ma è sempre così: nella musica fai tanto, tanto, tanto poi qualcosa fuori la lasci sempre. La selezione, in realtà, è avvenuta in base a un filone non per forza di storytelling, ma che fosse musicale e che fosse anche in qualche modo un percorso di ascolto vero e proprio, anche in base alla tracklist: all'inizio c'è "Occhi lucidi" mentre l'album si chiude con "Cicatrici" che sono quasi legati come pezzi. Poi, sai, quando senti quel pezzo che c'è, lo senti e basta, non ci fai troppi giri.
È un album molto energico, e finire con Cicatrici dà quasi un senso di dissolvenza del progetto. Quante delle tue cicatrici esistono in questo progetto?
Nonostante i momenti sì che uno vive, tutti noi ci ricordiamo i momenti no, sempre. E per questo che Cicatrici fa parte del disco. Le cicatrici, ovviamente, le abbiamo un po' tutti: di amore, di vita, anche più piccole o più grandi, e il disco mostra in parte quelle mie, che sono di un umano, nulla di strano o di diverso dagli altri.
Quali sono gli stereotipi con cui tu e la tua generazione vi confrontate maggiormente?
In generale sono i soliti stereotipi che tutti poi sentono oggi: lo smalto sulle unghie, l'essere guardato male quando vado a comprare in un reparto femminile. È una cosa molto semplice in realtà, che però fa male a molte persone; non a me, magari, perché come dico anche nel disco, Chissenefrega (titolo di una canzone, ndr) di tutto questo, bisogna andare avanti. Quello che a me interessa è: io indosso la gonna, sono a petto nudo però io poi fondamentalmente sono un ragazzo normale ed è questo che vorrei arrivasse anche agli altri.
È interessante che quando parli di stereotipi sono tendenzialmente quelli di genere…
Quelli ci sono sempre. Ovviamente quello di "Voglio la gonna" è un messaggio che si può anche generalizzare perché adesso lo esprimo tramite un outfit o, per dire, ti ho parlato degli stereotipi dello smalto, in generale, però poi il messaggio, alla fine, è "sentiti libero di poter scegliere". Quindi se io voglio fare domani il pittore sono libero di poterlo fare, se una ragazza di 15 anni vuole studiare matematica per fare l'ingegnere da grande lo può fare. Cioè non c'è nulla di male, resta comunque una persona, siamo tutti uguali e diversi anche allo stesso tempo.
Quale collaborazione sogni?
A livello internazionale direi Harry Styles, artista che stimo, che seguo e che mi piace anche parecchio.
Al Wired festival hai detto che in tanti ti chiedono consigli, ad Amici hai dato un consiglio. Com’è essere investiti all’improvviso dell’autorità di dare consigli importanti per la vita di tanti ragazzi?
Beh, io ho anche detto che non sono un grandissimo dispensatore di consigli, quello che in realtà cerco di dare è poter strappare un sorriso, magari a chi mi scrive, perché comunque si confidano. Magari sono cose che non dicono neanche ai propri genitori ma in me trovano una figura, magari quasi un amico, un fratello, comunque una persona vicina. Quindi, più che consigli, in realtà qualche parola che possa confrontarli anche un po', però non mi sento in grado di dare consigli, però è un bel rapporto perché ascolti tanto, poi è roba che ti resta dentro, non la lasci così va bene.
Intervista di Vincenzo Nasto e Francesco Raiola