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Lucio Leoni, il suo passaggio all’età adulta: “La mia musica fatta di domande per stare al mondo”

Si chiama “Dove sei Pt 1” il nuovo album di Lucio Leoni, cantautore romano, che negli anni è riuscito a guadagnarsi un suo spazio nel mondo complesso del cantautorato italiano. Leoni torna ancora una volta a definire uno spazio fatto di domande e complessità, ma soprattutto di bella musica, in grado di tenerti bloccato per non perderti neanche un attimo di quello che succede.
A cura di Redazione Music
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Lucio Leoni (ph Simone Cecchetti)
Lucio Leoni (ph Simone Cecchetti)

Le domande sono quelle che ci permettono di scoprire il mondo e Lucio Leoni lo sa bene, dal momento che come novello Guccini, si muove esattamente da questo principio quando scrive le sue canzoni. Canzoni che lo innestano in quello che comunemente chiamiamo cantautorato, o meglio chiamavamo cantautorato, dal momento che potremmo confondere il termine, diventato negli anni dalle maglie più larghe. Leoni affronta la contemporaneità affondando le mani nella sua complessità, senza cercare facili scorciatoie per l'ascoltatore che, se vuole entrarci in sintonia, deve accettare le cose come stanno. La capacità del cantautore, però, è riuscire a rendere fruibile questa complessità, anche grazie alla varietà sonora che ha trovato in questo "Dove sei Pt 1" primo capitolo, appunto, del suo nuovo progetto musicale. Ascoltarlo ne vale assolutamente la pena, per capire come si muove la musica italiana e trovare bolle d'aria oltre l'It-Pop.

Non so da dove partire, se dalla musica, dal variegato mondo sonoro, dai testi, quindi ti chiedo prima di tutto, dov’era Lucio Leoni quando ha scritto “Dove sei pt 1”? In che momento della tua vita?

È difficile da dire perché la scrittura è durata più o meno due anni e non è escluso che abbia attinto a cose abbandonate nel cassetto da tempo: in sostanza gli anni che hanno portato alla chiusura del lavoro sono stati anni di crisi sia lavorativa che emotiva, dunque spero di evoluzione. Una di quelle fasi in cui devi ricostruire un po' di cose.

E dove sei adesso? Sei già proiettato verso il futuro?

Per natura sono proiettato sempre al futuro, ma non la vivo come una cosa bella, sono un anticipatore; per dirla in soldoni sono l’opposto del ritardatario e dunque mi capita di arrivare agli appuntamenti con almeno 20 minuti di anticipo, che sommati ai minuti di ritardo di chi devo incontrare solitamente mi regalano un’ora di vuoto totale. Diciamo che mi piacerebbe finalmente imparare a stare nel momento, vivermi sereno il presente.

Che idea c’è dietro questo doppio album? Qual è il racconto?

Il filo rosso che lega in qualche modo tutti i brani è il passaggio all’età adulta. Questo però non significa che ci sia una didascalica ricerca di quel tema lì: affronto passaggi, domande, stati emotivi legati al mio percorso provando ad esportarli su linee il più possibile universali cercando di innescare una memoria collettiva di un tempo frammentato come è quello della mia generazione.

Mi pare che tu sia più un artista di domande più che di risposte. Coltivi il dubbio più che dare risposte. È uno dei motori della tua arte?

Credo sia il motore di tutta l’arte a dire il vero, altrimenti a che serve?

Il che, però, non esclude una visione precisa del mondo che si plasma di volta in volta. Penso, per dire, ad Atomizzazione. La scrittura è fondamentale sia per quanto riguarda la struttura che il messaggio. Per la struttura come ti muovi? Sono testi tranquillamente analizzabili come poesie.

Diversamente a seconda dei casi, così come per l’immaginario sonoro. In questo brano mi interessava restituire il senso di una parola e allora sono andato a pescare la definizione scientifica e questo passaggio ha fatto da miccia ad un’esplosione di analisi ulteriore. Non so se rientrano nel campo della poesia, mi sembra eccessivo anzi, l’impianto narrativo nei miei testi mi sembra a volte pure troppo presente.

Per quanto riguarda il senso, invece, è un continuo affondare le mani nella contemporaneità. Mi spieghi qual è la domanda a cui vuoi rispondere?

[risata] e chi lo sa! Fare domande non significa per forza cercare risposte. Domandare è un modo di stare al mondo per come la vedo io, essere curiosi, ficcanaso, interessati, partecipanti, complessi.

Senti, mi parli di come nasce Mongolfiere? Mi pare un buon riassunto del tuo modo di vedere le cose.

Nasce qualche anno fa. In realtà doveva essere addirittura compresa nel Lupo Cattivo (album precedente, ndr) ma non abbiamo trovato il vestito giusto all’epoca. È una sorta di favola amara sui nostri tempi e su tutti i tempi. Gli ultimi cercano di trovare un posto nel mondo, i primi costruiscono muri per starsene soli e godersi le risorse di tutti. Ci sono i barconi tra l’africa e l’europa, i tunnel tra il Messico e gli stati uniti… ho immaginato un metodo nuovo per superare queste barriere imbarazzanti che l’essere umano continua a tirar su in nome di chissà quale sicurezza e mi è venuto in mente uno dei sistemi di volo più antico di tutti: le mongolfiere.

C’è una certa complessità – diciamo se lo confrontiamo alla media di quello che si sente in giro – sia nel lessico che nel messaggio, mi dà l’impressione che mi dà la lettura di un saggio, un confronto continuo con quello che leggo, ma anche con alcune mie idee. Cosa ti ha ispirato per la scrittura di quest’album?

La parola chiave l’hai detta tu: complessità. Non lo faccio cercandola di proposito, sia chiaro, ma è così che mi interessa ragionare ed è così che mi piace ascoltare dunque vado per natura in un sistema di pensieri non del tutto lineare, o facile. Sono convinto che ce ne sia bisogno e che tornerà di moda.

“L'arte deve farti pensare? Deve pensare al tuo posto? Deve emozionarti? Deve divertirti? Deve provocarti? Vuoi essere provocato?” questa non l’hai scritta tu, ma non starebbe male all’interno del libro dei tuoi testi. Su cosa sia l’arte si discute non poco in questi giorni. Qual è il suo ruolo nella società contemporanea?

Non credo di essere la persona giusta per rispondere a questa domanda. Andrea Cosentino sicuramente ne sa più di me. Io penso che il ruolo dell’arte sia quello di rimanere in contatto con l’esistente ma che debba anche sbattersene quando vuole, dunque vale tutto. È importante che sia “alla ricerca” che ascolti e veda quello che succede e con spirito critico lavori su quello ponendosi come filtro interpretativo ma soprattutto che non si ponga il problema di far paura o fare male o dare fastidio, che non si ponga in parole povere il problema del mercato.

La seconda parte in cosa consisterà? Era già pronta quando hai chiuso questo o è in divenire?

Sì, le due parti sono state scritte, registrate insieme dunque la parte due già esiste. Quello che posso dirti è che è un lavoro tutto sommato speculare e che se la prima parte si è aperta con il teatro ("Mi dai dei soldi") la seconda si aprirà con il cinema.

Quello che è successo, tra lockdown e le proteste americane influenzerà quello che ascolteremo?

Per quanto mi riguarda il disco è già chiuso dunque no. Più in generale credo che proprio rispetto a quanto dicevamo prima, quanto sta succedendo non potrà che entrare per forza di cose in contatto con chi si occupa di scrittura e racconto.

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