Lo Stato Sociale: “Dopo Una vita in vacanza ci siamo sfilacciati, ma ora il peggio è passato”
Stupido sexy futuro, l'ultimo album de Lo Stato Sociale è un album che rientra in quelli definitivi, quasi finali, quello della resa dei conti, non un lavoro di passaggio. È un album schietto, sincero, che suona bene, che torna a sporcarli un po'. Ed è un album che va dritto – anzi, torna dritto – alle tematiche che i regaz hanno sempre affrontato, anche quando a qualcuno sembravano più patinati e troppo sanremesi. "Una vita in vacanza" gli ha cambiato la vita in meglio, all'inizio, in peggio, probabilmente, man mano che passava il tempo. È stato un punto di svolta, come spiegano a Fanpage, un punto di ripartenza per tornare a fare quello che sapevano fare meglio, ciò che li aveva portati a essere uno dei fenomeni della musica italiana, band nata dal basso, con un pubblico fedelissimo formato dal basso, e in grado di far incazzare quelli in alto. In Stupido sexy futuro raccontano un mondo capitalista nel quale sopravvivere, che a volte per cercare di affrontare bisogna chiamare per nome, come fanno con alcuni imprenditori. Vogliono "una musica sporca, cantata e suonata male fatta con 3 euro, che ti spacca le orecchie e il cuore, la musica fuori dalle radio, dalle playlist, delle classifiche virali", insomma, "Una musica per quelli vestiti in pigiama ai fashion party degli stronzi" come cantano nella canzone che apre l'album. È un album in cui tornano a parlare di lavoro, contro i "ricchi di merda" e i padroni, contro chi viene mangiato dal successo e quindi anche contro se stessi. Ma lo fanno a modo loro, con un tratto sempre ironico e pieno di consapevolezza. Ne abbiamo parlato con tutta la band.
È un album che arriva dopo che siete venuti a capo di una serie di prese di coscienza, litigi, quasi un album definitivo, non di passaggio. Quello in cui ci avete messo tutto.
È un album che arriva a compimento di una parabola umana più che artistica – parola che abbiamo aggiunto quando umanamente eravamo pronti a tornare a far uscire un disco e a pensarlo – e rispecchia anche quello che è un carico umano che abbiamo fatto nostro e cercato di rendere positivo, per comprenderlo e attraversarlo nel miglior modo possibile. All'interno di questa parabola, poi, ci sono anche state tante cose spiacevoli, però lo stiamo presentando nella maniera più onesta possibile, diciamo le cose in maniera chiara, poi abbiamo lavorato di fino, con l'intenzione di essere il più comprensibili possibile, con idee che volevamo portare avanti, con l'energia di chi torna a mettere il naso sopra il pelo dell'acqua. Ti sembra di poter dire che il peggio è passato e invece il peggio deve arrivare perché arriva il disco de Lo Stato Sociale (ridono, ndr).
Il peggio, però, mi sembra più quello di cui cantate, e ciò che gira attorno all'album, no?
Fare i conti con la trasformazione del mercato discografico è stato uno degli ostacoli maggiori, perché quando impari che hai una capacità, ovvero fare canzoni, e ti entra una canzone come "Una vita in vacanza" ti dici che quella cosa la sai fare. Ma la sai fare? Ni, nel senso che di "Una vita in vacanza" ne fai una, le cose attorno a te poi cambiano e magari quella cosa non interessa più, arrivano la trap, le produzioni super pettinate, le canzoni brevissime, testi che non sai dove cominciano e dove finiscono, o The Weeknd che tutti devono imitare.
Parlate di "Una vita in vacanza" come spartiacque, benché a Sanremo foste arrivati con una storia, canzoni e un pubblico già formato…
Però il tabaccaio sotto casa non sapeva chi eravamo e dopo Sanremo ci ha detto: "Ah, siete quelli di ‘Una vita in vacanza'", poi ci ha rivisto adesso dopo tre tour e ci ha chiesto se stessimo ancora facendo qualcosa. Quindi sì, da quel punto di vista è stato uno spartiacque, anche se abbiamo capito che quel tipo di esposizione forse non ci faceva troppo bene o, semplicemente, in questo momento non lo ricerchiamo, magari più in là ci tornerà questa voglia. Forse quella canzone è stata spartiacque anche per il portato, dopo quella le cose non sono mai più tornate come prima, non eravamo più un gruppo indipendente ma immerso nel contenitore del nazional-popolare.
E a quel punto cosa è successo?
Da lì succede che ti si apre un ventaglio di opzioni, provi a fare le hit, perché sei un esploratore e si vive anche di prove contraddittorie, poi ti sbagli e a volte ti rendi conto che non vuoi cristallizzarti nella band che fa le hit con quella forma lì. Viene a mancare il piacere di suonare e scrivere e quando a un certo punto ti rendi conto che la cosa non è più un gioco tra noi, ma ti ritrovi in una catena di produzione, ti chiedi cosa stai facendo e cosa stai dicendo. Questo è quello che è cambiato, poi sono cominciati i processi di notorietà che hanno portato, per esempio, Lodo a fare cinema e la band da lì si è sfilacciata perché lui non era più reperibile come prima, non era in furgone con noi, era difficile stare insieme e abbiamo cominciato a starci sul cazzo. Mettici pure il Covid che ci ha disgregato ancora di più anche se da lì si era mosso un anticorpo, abbiamo comunque tentato di stare insieme, abbiamo fatto quell'operazione dei cinque Ep ed è cominciato un periodo di consapevolezza e crescita. Il tema era: come facciamo a tornare a fare le cose insieme?
E la risposta qual è stata?
Fare un disco che sia per tematiche che per la scelta di ritornare indietro a livello di scrittura e attitudine ci mettesse tutti d'accordo. È stato un album meno discusso degli altri, eravamo molto compatti e onesti nel proporre quello che volevamo dire, che è quello che sappiamo fare meglio. Non provare a fare cose diverse che una volta ti riescono e la volta dopo no, ma fare le cose in cui siamo stati bravi e siamo ancora in grado di essere coesi e ficcanti nelle cose da dire.
Sembra quasi che si ponga più attenzione alle parole che alla musica, nonostante si senta enorme lavoro su quel versante, come mai?
Abbiamo sempre messo in prima linea le parole, le nostre canzoni partono dalle parole, quindi ci sta che siano la cosa più in risalto ed è anche il motivo della nostra carriera, però siamo tutti musicisti e in Stupido Sexy Futuro abbiamo lavorato molto all'aspetto musicale e all'estetica sonora, crediamo che da quel punto di vista sia la nostra cosa meglio riuscita e prodotta. Siamo molto contenti, Checco ci è stato dietro una quantità di tempo esorbitante, lavorando con Sollo dei Gazebo Penguins, che ha prodotto gran parte delle canzoni, creando un team affiatato. Musicalmente forse non ha l'ingenuità di Turisti della democrazia che era un disco punk, nel senso di naif nell'attitudine musicale ed era un suo pregio, però ha soluzioni più consapevoli e mature. Forse meno fresche ma che ci hanno dato molta soddisfazione.
Cantate “Io volevo solo fare l'amore con te”, quasi come se l’amore fosse il principale antidoto al Capitalismo. È così?
Sì, però devi avere una percezione dell'amore molto ampia e inclusiva. Quel verso è di grande "scogliono", è d'amore ma dentro al disastro, alle preoccupazioni che ti inondano la vita, quelle legate ai soldi, al portare a casa la giornata, pensare che per vivere devi per forza guadagnare, altrimenti non puoi vivere, appunto, o amare, stare con la persona che ami. L'unica cosa che ci serve nella vita è amare, ma questo mondo quasi non me lo permette. (In coro cominciano a intonare "Non c'è tempo, non c'è spazio, mai nessuno capirà" di Tiziano Ferro). L'aveva già detto il poeta.
"Tutti i miei amici" nasce proprio da quel bisogno di ritrovarvi e ritrovare?
(Lodo) Questo pezzo l'ha scritto Alberto e parlava d'altro, poi l'abbiamo riscritto e parlava ancora d'altro, finché abbiamo deciso di parlare di questo, ovvero delle persone con cui abbiamo attraversato questa improbabile parabola degli ultimi 10-15 anni. Nel frattempo stavo girando un film su un musicista che ci prova ostinatamente fino a distruggere la sua vita, quindi ogni giorno riflettevo sulle persone della mia vita che ho conosciuto, con cui ho fatto amicizia e ho vissuto momenti di grande entusiasmo, qualcuno è andato avanti, qualcuno si è fermato, quindi mi sembrava chiaro che un pezzo intitolato così potesse parlare solo di loro e in fondo di noi.
Si può essere pop e fare politica?
Lo Stato Sociale è un buon esempio di "Quello che ascolti è quello che prendi", una grande direttività del linguaggio. È difficilissimo, però, riuscire a marcare una trasformazione nella realtà, la musica è la musica: puoi prendere un sasso e lanciarlo nello stagno e resterà un sasso lanciato nello stagno. Una canzone quello resta, a meno che non ci sia alle spalle un impegno politico, un'organizzazione di pensiero critico, la possibilità di inserirsi in un contesto più largo e ampio, di guardare il mondo in un'altra prospettiva. In un periodo storico di grande disgregazione la musica può far tenere insieme le persone come atto sociale, ma non basta quello.
È più complesso per una band parlare male di un'esperienza a Sanremo come fate in Fottuti per sempre o di Salvini, Meloni e Berlusconi?
Sicuramente sui social parlano più di Sanremo, però pensiamo che sia troppo più divertente tirare per la giacchetta quelli piuttosto che Sanremo. Il Festival è una cosa che c'è ogni anno, ha le sue dinamiche, non lo eleggi, non è una cosa istituzionale. Quelli là, invece, alla fine sono persone che se ti organizzi, dici le cose giuste e provi a essere davvero solido, magari li mandi anche a casa. Sanremo ce lo vogliamo tenere, alla fine. Quel pezzo che parla di Sanremo è un pretesto per parlare di noi e della nostra storia, della percezione di quello che siamo stati, mentre negli altri stiamo proprio parlando di altri.