Linus, 40 anni di Deejay: “Le radio si sono rinnovate, ma ormai i giovani possono farne a meno”
Sulla sua scrivania a Radio Deejay Linus ha centinaia di matite divise in diversi portapenne e tutte con al punta ben fatta. Un gioco che a un certo punto è sfuggito di mano ci spiega, sorridendo, quando lo raggiungiamo via Skype per parlare dei 40 anni della radio che saranno festeggiati con un appuntamento di musica, intrattenimento e sport che si terrà sabato 25 e domenica 26 giugno 2022 al Parco Sempione di Milano che si concluderà con il concerto che vedrà esibirsi, tra gli altri Coez, Elisa, Elodie, Fabri Fibra, Ghali, Gué, Irama, Madame, Marracash, Marco Mengoni, La Rappresentante di Lista, Sangiovanni.
Una vita in radio, volto tra i più conosciuti dell'ambiente e tra i personaggi più influenti dell'industria musicale italiana, Linus ci accoglie sorridente dietro la sua scrivania dove dirige il comparto radio del Gruppo Gedi, attività manageriale che da qualche anno porta avanti con successo, dopo essere stato prevalentemente dj e conduttore, attività che comunque cerca di portare avanti. Nonostante tutto, ama ancora definirsi un artista più che un manager, ama il lavoro che fa ma tra una decina di anni vorrebbe scaricarsi di un po' di responsabilità e nonostante le pressioni e qualche défaillance, cerca di essere un direttore comprensivo, conscio che la radio è un media complesso da maneggiare come spiega a Fanpage.it.
Quarant'anni sono tanti, quali prospettive ci sono dopo tutto questo tempo?
I quarant'anni sono stati una pietra miliare, un altro piccolo traguardo raggiunto, ma quando arrivi a quel punto non vuoi fermarti e cerchi di arrivare fino alla prossima tappa. Credo che sia stato un traguardo importante arrivarci così in salute, discorso che vale per la radio in generale e in particolare per questa, perché è difficile inventarsi un'avventura di successo ma è molto più complicato mantenerli quel successo e quella popolarità.
Un'avventura che festeggerete con una festa, Party Like a Deejay…
La festa va al di là del compleanno ed è un'abitudine che riprende visto che abbiamo sempre fatto una grande festa primaverile, estiva, di carnevale, una volta facevamo anche quella di capodanno. Nel fare questa festa abbiamo cercato una chiave di lettura che fosse differente perché la classica festa coi cantanti per quanto tu la possa organizzare nel migliore dei modi è sempre una sequenza di cantanti che fanno due canzoni e la può fare quasi qualunque radio.
Quindi?
Abbiamo cercato di andare oltre anche sfruttando la caratteristica che ci rende abbastanza unici, ovvero quello di avere un grandissimo rapporto familiare con quelli che sono cresciuti con noi e con le generazioni che li stanno seguendo. Così mi è venuta l'idea di fare una festa nel parco in modo che potesse essere non solo un concerto ma tutta una serie di piccole situazioni nelle quali si possa coniugare tutto quello che fa parte di un mondo come quello di Radio Deejay: dallo sport alla chiacchiera ai vari tipi di musica alle performance di noi deejay alla consolle, per molti anche il recupero di una situazione che si era persa nel tempo. Insomma, l'idea è un po' quella di far vivere questo giardino di casa che per noi è Parco Sempione con la ciliegina che sarà il concerto del sabato sera all'Arena.
A proposito dell'affetto del pubblico è esemplare anche il fatto che abbiate venduto migliaia di biglietti del concerto prima di annunciare la line up, no?
Quel risultato è figlio dell'affezione e in qualche modo della garanzia legata agli eventi precedenti, chi è venuto a un nostro evento negli anni passati non è mai rimasto deluso da quello che gli abbiamo offerto e si sono fidati a scatola chiusa. Però ci tengo a ricordare che la festa non è solo lo spettacolo del sabato sera che essendo all'interno di uno spazio che è l'Arena di Milano ha una capienza limitata a 16 mila persone, ma è proprio l'idea di passare quasi 48 ore insieme in tutti gli angoli del parco, correndo, giocando, suonando, ascoltando, chiacchierando: una radio open air.
In un'intervista di una quindici anni fa dicesti che ti sentivi un artista, è ancora così o col tempo hai lasciato più spazio al manager?
Se dovessi scegliere una sola cosa tra quelle che faccio manterrei questa dell'artista, che poi può voler dire fare la radio ma anche farla in altre maniere. Quello dell'artista è uno stato mentale che domina l'esistenza di chi ne è posseduto e così uno rimane artista per tutta la vita anche quando smette di farlo.
E tu a un certo punto hai smesso di fare solo quello…
Mi sono trovato a fare il manager quasi per caso, ormai sono passati 30 anni e siccome ho sempre avuto questo atteggiamento da fratello maggiore, mi piace questa cosa e mi piace gestirla. Però se dovessi scegliere tra le due terrei la parte dell'artista.
Sei uno di quelli che può decidere parte del destino di canzoni e artisti, che effetto ti fa e come è cambiato il tuo rapporto con questa condizione?
Il rapporto tra radio e universo discografico contemporaneo è molto delicato. Fino a una decina di anni fa venivano prodotti molti dischi, erano rivolti a mercati differenti e potevi scegliere tra le varie cose che ti finivano sulla scrivania quelle che ritenevi più congrue col tuo modo di fare o col pubblico che idealmente pensi di avere. Adesso la produzione discografica è al 99% mirata a un pubblico di adolescenti se non addirittura preadolescenti, quindi per noi che facciamo la radio – parlo di qualunque radio – è molto più difficile perché il pubblico radiofonico è un pubblico più adulto, il mezzo radiofonico cominci a frequentarlo quando hai la macchina – e adesso molti ragazzi la macchina neanche la vogliono più -, quindi devi aspettarli.
A quale pubblico parlate, quindi?
Oggi l'età più importante degli ascoltatori sta tra i 35 e i 45 anni e a loro fargli sentire le canzoni da quattordicenni è difficile, quindi è diventato molto complicato scegliere le canzoni. Poi tra quelle che si scelgono qualcuna la si aiuta anche a diventare un successo, ma credo che da questo punto di vista la radio abbia un po' perso il suo ruolo, perché i ragazzini la musica se la sentono attraverso i canali loro privati, di noi possono farne a meno.
Un cambiamento enorme c'è stato con l'esplosione della trap nel 2016 e il cambiamento dell'indie?
La musica indie è diventata mainstream, ci siamo incontrati a metà strada: fino a una decina di anni fa l'indie ci teneva a rimanere tale, c'era una specie di ortodossia, anche la paura di essere insultati dai fedelissimi se si cambiava rotta, ricordiamo quello che successe a Manuel Agnelli degli Afterhours quando andò a X Factor. Poi le cose vanno avanti e la stessa gente che si era lamentata assorbe il cambiamento e prosegue.
Alle radio che è successo nel frattempo?
Le radio stesse si sono aperte, per fortuna, specialmente in Italia: fino a un po' di anni fa c'era un appiattimento musicale legato a un pop internazionale a volte anche inutile, come se i programmatori musicali avessero sempre avuto come riferimento un modello che era superato, per fortuna negli ultimi anni molti hanno imparato a essere più disponibili.
Tu che direttore sei? Cosa succede quando su Deejay senti qualcosa che non ti piace?
Mi viene da ridere perché stamattina ho fatto una di quelle cose che so che non vanno fatte, una piccola scenata isterica: ero in auto e ho sentito una sequenza di cose clamorosamente sbagliate nel modo di fare la radio. So che non si riprende l'artista mentre fa la sua performance ma non ce l'ho fatta, fortunatamente è una cosa che succede di rado. A volte mi devo frenare dall'ascoltare la radio perché essendo un perfezionista ogni volta che la ascolto trovo qualcosa che si potrebbe fare meglio. Per fortuna mi ricordo che io per primo faccio quel lavoro e cado in questi errori, anche perché la radio è bella perché la si fa senza rete, anche improvvisando, e può succedere che un giorno le cose ti vengano male, quindi cerco di essere comprensivo, poi ogni tanto me ne dimentico.
Come sono cambiati i rapporti, invece, con il potere e il privilegio?
Faccio una premessa, l'Italia è una Repubblica fondata sull'invidia, quindi in un mondo basato sul fastidio nei confronti di quelli che si sono guadagnati qualcosa siamo tutti costretti ad avere un atteggiamento un po' ipocrita nel raccontarci e raccontare le cose che ci riguardano, è un modo per stare lontano da tutte le polemiche.
Premessa fatta.
Io lavoro da 46 anni, pago tante tasse non sono mai stato invischiato in cose illecite, quindi il benessere che mi sono guadagnato l'ho guadagnato giorno per giorno, partendo da zero, perché la mia famiglia era una famiglia di meridionali venuti a Milano e ricordo la fame che facevamo da piccoli. Per questo motivo sono orgoglioso di quello che mi sono costruito, ma per evitare polemiche cerco di non ostentare ed esibire. Do sempre molta importanza alle cose che faccio, non amo ostentare, ho una bella casa, faccio una vita agiata, potrei fare una vita infinitamente più agiata ma mi sentirei fuori luogo, alla fine se sei un ragazzo di periferia o diventi un pagliaccio di periferia, quindi le cose che hai le ostenti in maniera volgare, o ti rimane sempre un po' di timidezza da quel punto di vista.
Prima di fare radio facevi l’operaio, quale è stato il momento in cui la tua vita è cambiata e la radio è diventata principale?
Ci sono dei momenti della tua vita in cui ci sono le sliding doors. Io ho cominciato a fare radio perché ho avuto tre fortune: essere figlio di un papà appassionato di musica, che avrebbe voluto fare il musicista ma essendo cresciuto nella Puglia degli anni 20-30 non era facile. La seconda fortuna è che sono nato a Foligno e mia madre ha sempre rimpianto il momento in cui abbiamo lasciato l'Umbria per venire a Milano perché era stato il periodo più felice della sua vita, aveva frequentato la gente più bella, però se fossi rimasto lì sarei cresciuto più sano ma non avrei avuto la fortuna di fare questo mestiere. Infine sono nato nel '57 e quindi quando sono nate le prime radio, nel 75, io avevo l'età perfetta per entrare a farne parte.
Era un'aspirazione comune?
Sì, tutti quelli della mia generazione hanno provato a fare la radio, poi magari la maggior parte ha smesso e io sono andato avanti. È chiaro che all'inizio fare radio voleva dire divertirsi non farne un lavoro, quindi quando ho finito la scuola sono andato a fare l'operaio, non avevo tanto da scegliere, dovevo guadagnarmi da vivere e ho fatto l'unico lavoro che ho trovato. Per due anni ho fatto l'operaio, e a quel punto ero già diventato un piccolo capetto del mio reparto, ma la mia fidanzata dell'epoca mi mollò dicendo che ero un farfallone e pensavo più alla radio che a lei e lei voleva un uomo più affidabile. Così quando mi ha mollato io ho mollato il lavoro e ho provato a fare la radio come mestiere e per fortuna è andato bene.
Quali sono i ricordi più belli che hai, da uomo di radio?
Ce ne sono tanti, un ricordo emozionante è quando mi chiamarono per venire a Radio Deejay. Nell'84 facevo la radio da 8 anni e stavo pensando di smettere perché ormai quello che potevo fare l'avevo fatto e invece Cecchetto mi chiamò a Radio Deejay e ricordo la grande emozione di sentirmi uno che gioca in serie C che viene chiamato a giocare in una grande squadra. E poi l'emozione che ancora adesso provo quando faccio una puntata di cui sono molto soddisfatto e al tempo stesso anche la frustrazione che provo quando faccio una puntata che non mi piace, ma credo sia anche la benzina di chi fa il mio lavoro, l'essere così severo con me stesso mi spinge a non fare le cose in maniera banale e superficiale.
Dove ti vedi tra dieci anni?
Non lo so, mi piacerebbe alleggerirmi di un po' di responsabilità perché in questo momento devo pensare a me stesso ma anche a tutte le radio del nostro gruppo e a tutte le persone che ci lavorano e devo far sì che tutto questo sopravviva a tutti i cambiamenti che sono arrivati in questi ultimi anni. È un lavoro sempre più complicato e stressante, quindi torniamo all'inizio della chiacchierata: artista o manager? Mi piacerebbe tornare a fare soltanto l'artista. Ma tra una decina d'anni.