La Stanza singola di Franco126: “È il momento giusto per il cantautorato, si può osare”
Due anni fa l'esplosione di "Polaroid", album di Carl Brave e Franco126, aveva dato una bella scossa al cantautorato italiano, fuoriuscito dalle maglie del concetto di indie e approdato sempre più a un pubblico più esteso, grazie anche a Youtube e allo streaming, grande aiuto per la musica di questi ultimi anni, mezzo di distribuzione che ha aiutato anche progetto più piccoli di trovare uno spazio e farsi largo. Due anni sono, ormai, un tempo enorme e se oggi molti progetti stanno avendo lo spazio che hanno è anche grazie a quell'album. Le Polaroid, intanto, Carlo e Franco se le sono divise equamente e adesso hanno intrapreso strade soliste con quest'ultimo che qualche settimana fa ha pubblicato il suo album d'esordio "Stanza singola" che è uno degli album più interessanti uscito in questo inizio di 2019. Franco non abbandona totalmente quel mood, lo fa più nei suoni che, ad esempio, nella malinconia che emerge qua e là, ma aiutandosi con la produzione di Stefano Ceri e anche le chitarre di Giorgio Poi ha confezionato un album meno romacentrico che però non perde l'imprinting che era riuscito a mettere in passato, anche grazie a un cantato che ormai è riconoscibile a chilometri di distanza.
Ciao Franco, quando hai scritto Stanza singola?
È stato scritto durante il tour: sono stati due, quello invernale e quello estivo, e già durante il primo avevo cominciato a buttare giù delle idee a scrivere le prime cose, a cercare una dimensione sensata, una strada, insomma, e ho fatto tanti esperimenti prima di trovare la chiave, che poi è quella che si sente nel disco. Insomma ci ho messo più di un anno a completarlo, la parte finale, soprattutto, è della seconda metà del 2018, quella in cui ho concretizzato di più, mentre prima è stato più un periodo di individuazione del progetto dal punto di vista della scrittura.
A livello di sound, invece, come avete lavorato?
Il sound è curato tutto da Stefano Ceri, anche se sono intervenuti tanti altri musicisti. Mi sono affidato molto a lui e trovo che il lavoro sia molto omogeneo nella produzione, nonostante i primi provini non fossero così. Lui ha dato questa coesione e coerenza a tutto il progetto e secondo me c'è riuscito appieno.
Con Polaroid tu e Carlo siete stati tra gli alfieri di quella commistione tra sonorità più rap e cantautorato, mentre adesso pare tu abbia scelto più la seconda. Con una caratterizzazione vocale molto forte, tra l’altro.
Sì, ho un po' studiato la voce, in generale, tutto l'anno, poi ti rendi conto che quando fai le cose in studio è un discorso, quando le fai live è un altro, quindi già dal tour scorso c'era bisogno di migliorare qualcosa con la voce, lavorare meglio su questo aspetto. L'idea era quella di fare una cosa diversa, più cantata; quando ho scritto il disco avevo provato a fare qualcosa sulla wave di Polaroid ma era una cosa già fatta, per questo mi sembrava più sensato fare una roba nuova, che mettesse in risalto altri aspetti della mia scrittura e della mia poetica.
La prima canzone dell’album è “San Siro”, che è un po’ come dire: Roma sì, ma allarghiamo gli orizzonti. È un album meno romacentrico…
L'idea era di non fare riferimenti a luogo, San Siro non è neanche San Siro in sé ma più la cosa dello stadio, non ci sono riferimenti a città, l'idea era che non ce ne fossero proprio. Certo, c'è un po' di romanità, ma quella è una cosa non voluta, solo che è difficile togliere delle inflessioni, vedi in "Fa lo stesso" o "Parole crociate", magari accorci le parole, sia, cose così.
Lavorare da solo com'è?
È più difficile anche se alla fine non è che lavori da solo, mi sono comunque sempre affidato ad altre persone, in fase di registrazione mi ha dato un aiuto un amico che ha registrato tutto il disco, Ceri ha messo il suo. Io faccio fatica a fare tutto da solo, mi fido molto delle persone con cui lavoro e dei loro pareri e quindi alla fine dei conti anche questo è un lavoro in cui i miei collaboratori e le persone di cui mi fido hanno messo il loro.
C'è un solo feat nel disco, che è quello con Tommaso Paradiso, come è nato?
Ognuno ha fatto la propria parte e secondo me lui ha molto capito lo spirito del pezzo e dell'album perché aveva già ascoltato altre canzoni, si era appassionato: gli ho mandato la strofa e lui ha subito scritto la parte sua, quando mi ha mandato pezzo era già perfetto. Anche l'idea del video è roba sua, mi ha mandato l'idea ed era azzeccata.
Ti piacciono le camminate, insomma…
Era giusto, con lui fuori fuoco prima, poi io, un'idea molto semplice che dà molta giustizia al pezzo. È molto nostalgico e malinconico.
Rispecchia comunque molto il mood del disco…
Sì, lo rispecchia nonostante poi sia in contrasto con l'idea di prima, della chiusura della stanza, essendo all'aperto; comunque è proprio quello il mood.
Questa cosa della malinconia è più una cosa precipua del pezzo, dell'album o te la porti appresso in generale?
È sempre stata una caratteristica mia, anche sul disco precedente c'era, fa parte di me, magari qua è emersa di più perché sono da solo. Ad ogni modo ho cercato di non mettere in risalto solo il mio animo triste, anzi, ho cercato di differenziare i vari pezzi tra loro.
"Brioschi" poteva essere addirittura sanremese vista l'ultima edizione del festival, ci hai mai pensato?
Guarda non so, in questo momento non mi interessa, poi chi può dirlo. Tra l'altro quest'anno si è anche rilanciato, cerca di rinfrescarsi, però adesso non mi interessa.
Quasi in ogni pezzo c'è qualche riferimento all'alcol, chissà cosa sarebbe stato senza…
Quello fa parte della mia cifra, penso che ognuno abbia delle fisse, Lucio Dalla aveva sempre le stelle, Califano lo stare per strada, ognuno ha delle cose che ritornano, delle caratteristiche, un contorno. Gli alcolici fanno parte di un certo immaginario.
Dal vivo, invece come sarà?
Dal vivo ci sarà una band, siamo in sei due chitarre, basso e batterie e Stefano Ceri farà le tastiere, quindi seguirà arrangiamenti della parte live.
Come è stato lavorare con Giorgio Poi?
Figo, lui è un grande artista, mi piace moltissimo, sia nella scrittura che negli arrangiamenti, era anche molto vicino all'idea di sound che volevamo dare, nonostante c'avesse un disco da fare è stato super disponibile e ha dato la svolta a un sacco di pezzi. Insieme, loro due, Ceri e Giorgio, hanno dato un tocco particolare, Giorgio ha sempre un sacco di chiavi possibili, quando si mette a suonare ha tante idee, mai scontate.
Che hai ascoltato mentre scrivevi?
Ho ascoltato tanto Dalla, Califano… per la scrittura del disco cercavo qualcosa vintage quindi pochi artisti di oggi. Solitamente ascolto il rap, che è il genere mio, ma l'ho messo un po' da parte per quella roba là. È il momento giusto per il cantautorato, si può osare, è stato coraggioso cambiare stile dopo Polaroid, è un momento buono per fare questa cosa.
Come è cambiata la tua vita in questi due anni anche rispetto alle persone che incontri, i fan…
Guarda, io becco sempre le stesse persone, alla fine la vita m'è cambiata, ma fino a un certo punto, può essere che qualcuno mi chieda una foto, ma neanche tanto. Magari più ai concerti respiri questa cosa, ma nella quotidianità non è stato un grande cambiamento.
Intervista di Simone Giancristofaro e Francesco Raiola