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La rinascita di Mr. Rain: “Avevo perso la voglia di fare musica, poi il botto di Fiori di Chernobyl”

A poche ore dall’uscita del suo terzo album ufficiale “Petrichor”, Mr Rain si racconta su tutto ciò che gli è capitato negli ultimi anni: dal dolore all’assenza di passione per la musica, la riscoperta con i “Fiori di Chernobyl” e il legame con il padre in “A forma di origami”. Poi il rapporto con il mainstream italiano e quel Sanremo che lo ha rifiutato due volte: “Preferiscono l’immagine alla musica”.
A cura di Vincenzo Nasto
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L'odore sprigionato dalla pioggia su un terreno secco, arido: un profumo che per Mattia Balardi, in arte Mr.Rain è diventato riscoperta di se stesso, di tutte le sue passioni più viscerali, dei suoi racconti più intimi. "Petrichor" è il nuovo viaggio dell'artista di Desenzano sul Garda, dopo l'uscita nel 2015 di "Memories" e nel 2018 di "Butterfly Effect", un racconto anticipato negli scorsi mesi dalla pubblicazione di tre singoli che raccontano molto di ciò che rappresenta l'album: il successo incredibile di "Fiori di Chernobyl", "9.3" e il brano in collaborazione con l'artista inglese Birdy "Non c'è più musica". Un progetto in cui Mr.Rain si racconta in più sfumature, come quando parla di suo padre in "A forma di origami" o quando denuncia in "Non fa per me" una poca attenzione del sistema mass mediatico italiano, che lo considera ancora come un artista che deve spiccare il volo, quando i numeri delle piattaforme digitali affermano il contrario. Anche la sua assenza a Sanremo può far discutere, ma Mr Rain cerca di chiudere il cerchio con l'ultima traccia del disco "Ricominciare da me": per tutte le sconfitte, per tutti i momenti difficili che ha dovuto affrontare, ricominciare da se stessi e andare avanti rimangono l'unica possibilità per sopravvivere ai momenti duri. E il cantante non sembra aver minimamente voglia di mollare.

Siamo arrivati al terzo capitolo del tuo viaggio: dopo "Memories" e "Butterfly Effect", quali sensazioni ti ha dato nella sua produzione "Petrichor", che tipo di viaggio è stato?

Io ho fatto un anno di stop, un periodo buio di problemi personali e lavorativi in cui non riuscivo a fare più musica. Ho incominciato a scrivere da gennaio scorso grazie a "Fiori di Chernobyl" e in nove mesi per tutto il 2020, ho scritto interamente l'album: le esperienze degli ultimi tre anni sono state un viaggio introspettivo in cui ho scoperto tante cose sulla mia persona. È il racconto di due persone dentro di me, il personaggio artistico e la persona, unite dalla musica. C'è sempre uno dei due che si sacrifica per l'altro, perché dovendomi produrre le canzoni tutto da solo, sento alcune volte di non aver tempo di vivere. Avrei bisogno di giorni lunghi 36 ore. L'album è anche la ricerca di un punto di incontro tra queste due anime.

Una cosa che ho sentito molto, sia nel concept del disco che anche nelle sue sonorità, è il rapporto con la natura. Un filo che sembra legare anche gli 11 brani del disco. Ci sono anche altri simboli che connettono tutte le tracce dell'album?

Io amo la natura, vivrei in Islanda lontano da tutti, da solo con la mia musica. Sono immagini suggestive che mi fanno sentire in equilibrio e in pace con me stesso. Scrivo spesso per immagini, parto dall'immagine che voglio dare al brano e scrivo per quello. È il mio modo di approcciarmi alla musica e a ciò che voglio esprimere.

Questo disco è stato anticipato da tre singoli, tra cui "Fiori di Chernobyl", a cui hai voluto dedicare un'intro. Una scelta strana, ma che identifica quanto hai legato con questo brano in particolare. Ci racconti che rapporto hai avuto e quali emozioni ti hanno portato alla produzione di questo brano?

È stata la canzone che mi ha fatto recuperare la forza e la voglia di credere in me stesso. Mi ha dato la forza di scrivere tutto il resto, senza quella forse quest'album non ci sarebbe stato. Due anni fa mi era sparita un po' la voglia di fare musica, grazie a questo brano mi sono messo in pace con me stesso, ritrovandomi.

Com'è stato raggiungere e lavorare con artisti internazionali come Hopsin e Birdy e che significa per te avere questo tipo di riconoscimento?

Quando guardo la tracklist non riesco a crederci ancora. Mandai a Hopsin, un po' a tempo perso perché non credevo potesse rispondermi, il brano "I fiori di Chernobyl". Non dovetti aspettare nemmeno il giorno successivo per la risposta, e lui si congratulò per il sound del brano. Io ero scioccato e gli ho proposto di fare un brano che riuscisse a unire i due mondi. La cosa che mi ha sorpreso di più è quanto lui fosse disponibile e volenteroso nel fare qualcosa assieme, lo seguo da 15 anni e per me è come fare un singolo con Eminem. Con Birdy la stessa cosa: le ho mandato la produzione e ci siamo sentiti per riuscire a cantare meglio la parte in italiano, per la pronuncia. Abbiamo una sensibilità artistica molto simile, quindi ci siamo trovati molto in un nostro mondo.

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Poi arriviamo ad "A forma di origami" e "Meteoriti". Sono due brani che raccontano un forte legame, soprattutto nel primo caso, visto che la canzone è indirizzata a tuo padre. Qual è stato il modo per tradurre questa "comprensione" nei confronti di tuo padre in musica?

"A forma di origami" è un pensiero, è una lettera che ho voluto scrivere a mio padre. Io sono molto introverso, anche se non si direbbe: mi rifugio molto nella musica e se devo dire qualcosa a qualcuno, lo faccio attraverso essa. Avevo fatto una cosa simile per mia madre nel 2017 con "I grandi non piangono mai". Lui ancora non l'ha ascoltata, spero che gli piaccia.

E poi arriviamo a "Non fa per me". Un brano molto chiaro che denuncia come in Italia abbiamo dei sistemi di misurazione degli ascolti come le piattaforme digitali, ma la fama viene riconosciuta sempre agli stessi nomi. Quali sono le sensazioni che ti provoca? Ci sono stati dei momenti in cui hai pensato di essere invisibile, anche se poi il pubblico ti ascolta e lo testimoniano i numeri?

"Non fa per me" è la mia fotografia del mondo della musica oggi. Per me ci sono 50 artisti in Italia che fanno numeri, sold out ma non vengono premiati dai sistemi di distribuzione più grandi in Italia, rispetto ad altri artisti che magari vengono premiati lì e poi non hanno un reale seguito. Bisognerebbe iniziare ad ascoltare la musica, piuttosto che il personaggio, l'etichetta e l'immagine.

Questo tuo non riconoscimento a livello nazionale, credi abbia influenzato anche la tua partecipazione a kermesse come Sanremo? Credevi fosse l'anno giusto?

Nella canzone ho voluto raccontare un insieme di stereotipi veri e di esperienze che mi sono capitate. L'anno scorso ho proposto "I fiori di Chernobyl" e quest'anno "A forma di origami" e non so il motivo per cui non c'è stata la possibilità di partecipare. Secondo me queste due canzoni hanno un valore molto grande, e sono le persone che lo hanno confermato, con il dato degli ascolti ma anche con le testimonianze dirette. Nel brano io mi sono posto milioni di domande senza alcuna risposta. Perché un artista che fa 100 milioni di ascolti su Spotify, poi non passa in radio. Io parlo della musica ma è qualcosa che accade in tutti i settori.

C'è qualcuno più di altri che ti piacerebbe vincesse la prossima edizione di Sanremo?

Sicuramente Annalisa, se lo merita.

A poche ore dall'uscita di "Petranchor", quali sono le tue emozioni?

Sono spaventato ed emozionato, perché non esce un mio progetto da tre anni. Dall'altro lato spero che le persone comprendano il viaggio che ho fatto e che cerco di trasmettere. Incrocio le dita, anche quelle dei piedi.

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