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La Nina tra Napoli e il mondo: “Voglio essere contraddittoria e unire Murolo a 50 Cent”

La Niña, nome d’arte di Carola Moccia, ha pubblicato lo scorso 24 marzo il suo nuovo album Vanitas. L’intervista alla cantante qui.
A cura di Vincenzo Nasto
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La Nina, foto di KWSK NINJA
La Nina, foto di KWSK NINJA

Il 24 marzo scorso, La Niña, al secolo Carola Moccia, ha pubblicato il suo nuovo album Vanitas, un progetto anticipato dai singoli "Nunn'o voglio sapè", "Blu" in collaborazione con la cantante londinese Mysie e "Harakiri". Un progetto di otto tracce, costruito in collaborazione con il producer e grafico KWSK NINJA, che si lega alla caducità della natura e all'esorcizzazione del vuoto provato negli ultimi anni. All'interno anche un racconto rinnovato sulla rabbia e sulla figura femminile, sul rapporto con Napoli e il dualismo tra salvezza e morte che trasmette: qui l'intervista a La Niña.

Com'è cominciato il processo del disco e perché il titolo Vanitas?

Nonostante il disco sia abbastanza eclettico, perché non ci sono tracce simili, tutte le canzoni hanno qualcosa che le lega: la caducità della natura. Il concetto di Vanitas quindi non si lega al concetto di seduzione e autocompiacimento, ma alla disillusione vissuta lungo tutto il processo di scrittura del disco.

Il lavoro è stato accompagnato anche da una grafica che ti vede in copertina, ritratta nei panni di una protagonista del 1500.

L'esperimento più interessante è stato unire la pittura barocca napoletana e l'intelligenza artificiale: due tecniche molto distanti nel tempo ma che rappresentano anche il lavoro musicale fatto all'interno del disco. Il concetto di Vanitas è stato riportato anche nella simbologia della copertina, soprattutto sugli scaffali: c'è un teschio con gli occhi coperti, c'è il legame con la natura morta.

In che momento della tua vita è arrivato questo progetto? 

È arrivato sicuramente in un momento buio, come per il resto del mondo. La prima traccia concepita è stata Respira, paradossalmente destinata a essere l'ultima traccia del disco. Rappresenta una preghiera contro gli attacchi di panico, una cosa che ho provato a gestire, anche prima della psicanalisi, con la respirazione. Ci sono stati molti periodi in cui io perdevo completamente le mie giornate per questa situazione, e non riuscivo a relazionarmi con gli altri. Questo è sicuramente uno dei singoli che ha rappresentato il mio stato d'animo in maniera molto evidente.

Ma ci sono anche altri fili che tessi in Vanitas.

Il potere di questo progetto è stato quello di esorcizzare il vuoto, anche emotivo. Per esempio in Vipera si parla delle male lingue, della cattiveria social. Fortunatamente non ho problemi di questo tipo con il mio pubblico e non sono una persona che passa molto tempo sui social, anzi preferisco uscire. Però nel periodo pandemico, per forza di cose, ho dovuto osservare tutte le dinamiche tossiche che si creavano: mi restituivano una sensazione di vuoto che ho cercato di esorcizzare.

Questo progetto si basa su grandi contrasti emotivi, su dualismi tra passione e ragione, ma non solo. Come sei riuscita a far convivere la visione pratica, quasi tattile delle emozioni, a una razionalità che esibisci quando decidi di non farti trascinare nel dolore?

Credo che i due estremi convivano, equilibrandosi l'un l'altro: un processo che ancora non sono riuscito a fare sulla mia persona, ma che in maniera naturale ha trovato il disco. L'obbiettivo era fare un disco che non annoiasse e che non fosse ripetitivo: anche perché l'ultimo ventennio musicale mi ha annoiato molto. Mi sono resa conto che anche io stavo replicando temi e suoni e quindi ho preso un'altra direzione. Ho deciso di raccontare, di sperimentare suoni diversi, anche perché sono cambiata anch'io nel frattempo. È un periodo della mia vita in cui sto vivendo molte situazioni contrastanti e hanno il diritto di essere raccontate.

Esprimendoti in questo modo, avresti potuto contraddirti nel racconto emotivo di questo disco.

Per me questo disco è stato anche un esercizio di contraddizione: sento molto la paura, anche tra le persone, di esprimersi per non essere contraddittori. Invece io volevo mostrare di poter essere la stessa persona, magari intonando il giorno prima le note di Murolo e quello dopo cantando su una base di 50 Cent. Mi piacciono entrambi e mi rappresentano entrambe.

In questo caso, aumenta la complessità anche nella lettura di Vanitas.

Credo che la musica non sia mai la soluzione, ma sempre il problema, in un'ottica positiva. Molte volte i fan mi scrivono che una mia canzone li ha salvati e penso: Menomale, pensavo vi avrebbe posto ancora più domande.

Passiamo a Napoli: credi che tutti i confronti che hai avuto in passato con le artiste napoletane ti abbiano aiutato nella tua evoluzione o forse ti hanno tolto un po' di quella identità che hai ricercato in Vanitas?

Credo che in questo momento stia cominciando a riconoscere l'importanza di essere sapienti, di conoscere, soprattutto del passato. Dal punto di vista musicale, mi sono accorta quanto sia importante ascoltare la musica napoletana del passato. In realtà, prima di approcciarmi a questi ascolti, avevo trovato una voce antica in maniera molto spontanea. È "colpa" di una città che per osmosi ti trasmette la sua tradizione.

Poi cosa è successo?

Molti colleghi in passati si congratulavano per la "voce antica" e mi chiedevano se conoscessi questo o quell'altro artista. In realtà non avevo mai approfondito, l'unico ricordo d'infanzia era La Gatta Cenerentola che mio padre metteva sempre in macchina. Credo che, se centellinato, senza diventare derivativo, lo studio della musica napoletana mi possa aiutare molto.

Che rapporto hai con la città e con la lettura dualistica tra salvezza/morte?

Per me la salvezza di questa città sta proprio nel suo dramma, nel modo in cui ti uccide. È una città complessa, di antiche contraddizioni: proprio i suoi estremi mi ricordano che sono un essere umano. Il fatto che Napoli abbia così tanti aspetti negativi nella sua descrizione, ricorda a chi ci abita quanto l'essere umano non sia perfetto e non debba seguire canali prestabiliti.

Un altro grande tema del disco è la figura della donna, che alterna il suo ruolo, alcune volte con rabbia, altre con ironia, come quando canti in FCCV: "No no no nun me chiamma’ regina, ca’ fanno sempe ‘na brutta fine, stong ‘na favola senza re, ma nun me firo ‘e sta’ senza ‘e te.

In questo disco ho fatto uscire la rabbia. Mi sono accorta che brani del mio passato non facevano trasparire questa parte fondamentale del mio essere, del mio quotidiano, e avevo paura di esser diventata troppo derivativa. Quando esco con i miei amici sono una persona che se viene detto qualcosa di sbagliato, non sta zitta ad ascoltare. L'obiettivo di questo brano era proprio questo.

Hai subito qualche pregiudizio in passato?

Ci sono stati in passato grandi pregiudizi nei miei confronti, anche da parte di colleghi, sia sull'essere una donna nel mercato musicale, ma anche nell'essere napoletana. Quindi volevo spezzare anche questa narrazione romantica e far uscire la rabbia.

Come si collega con il bisogno di attestare il sentimento d'amore e l'essere una figura indipendente che non ha bisogno di essere perché parte di una coppia?

Per me il romanticismo è una capitalizzazione del sentimento. L'amore è qualcosa che provo in primis per una persona che rispetto, che vedo al mio pari. Per questo stong ‘na favola senza re. Questo non vuol dire che non abbia un uomo o una donna al mio fianco che mi renda felice. Non ho mai avuto posizioni femministe nel disco in questo senso, non la ritengo neanche una visione costruttiva.

E invece com'è stato lavorare con Massimo Ranieri e lanciarsi in un avventura in un mondo così lontano come la televisione?

È stato molto sfiancante, non mi sarei aspettata che una giornata intera sul set mi privasse di così tante energie. Dall'altro lato è stato molto stimolante e non solo per la presenza di Massimo Ranieri, ma per l'intero set. Avere a che fare con un universo così distante dal mondo musicale, mi ha messa anche nelle condizioni di uscire dalla mia zona di comfort.

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