La musica di Colombre è Corallo: “Faccio pop senza strizzare l’occhio a quello che c’è intorno”
Un altro pop è possibile e Colombre ne è la dimostrazione. Unire la tradizione cantautorale italiana, il pop nostrano ispirato da Battisti e Massimo Ranieri che si unisce ad ascolti americani come Andy Shauf e Mac De Marco, ma lui cita anche Steve Lacy e Michale Kiwanuka, giusto per ampliare i confini di quello che è il senso delle cose. Ma Colombre è Colombre e i riferimenti servono solo per dare, appunto, dei margini. Assieme al collega di etichetta (Bomba Dischi) Giorgio Poi, infatti – percorrendo, sì, strade diverse – il tentativo è quello di cercare di non piegarsi per forza alle mode, ma farsi spingere dalla propria idea artistica e così per Colombre la parola diventa uno strumento di conoscenza e comunicazione, ma anche qualcosa di utile, che dà ritmo. Quel ritmo che si sente nell'uso che fa in quest'album della batteria, più dritta, come dice lui stesso a fanpage.it. L'ascolto di "Corallo", secondo album del cantante marchigiano – vero nome Giovanni Imparato – arriva come una ventata fresca, sia a livello sonoro che per questo suo modo di parlare di rapporti e relazioni, sempre prezioso in questo momento di isolamento forzato.
Ciao Giovanni, come stai in queste giornate strane?
Sono strane, sono lunghe e veloci allo stesso tempo, capita di arrivare alla sera senza aver combinato nulla eppure tutto il giorno hai provato a far qualcosa. Però sai, quando ti viene meno la possibilità di alleggerire la mente, facendo una passeggiata o incontrando persone, si riflette anche sulla tua produttività, quindi si legge, si vedono film, c'è una chitarra, qui, qualche tastiera…
Insomma, sei tra quelli che riesce anche a mettersi a suonare in po'? In tanti si lamentano di non riuscire a concentrarsi…
Beh, insomma, ho qui la chitarra, suono, ma non mi esce molto. All'inizio ho pensato che potesse uscire qualcosa di interessante, sei pieno di buoni propositi, pensi di cominciare a fare qualcosa, metterti al lavoro, sfruttare questo tempo, poi ti rendi conto che in realtà senza l'ossigeno la mente non riesce a combinare nulla. Cerchi di impegnarti ma non si riesce proprio a tirare fuori nulla di buono senza quell'ossigeno che ti stimola la creatività.
L'altro giorno parlavo con Francesca Michielin ed entrambi vi siete trovati nella stessa condizione, quella di uscire comunque coi vostri album nonostante il periodo e la pandemia. Immagino che ci avrai pensato a fondo, giusto?
Guarda ci ho pensato per un'ora, mi è salito questo pensiero, ero sempre duale in questo tipo di scelta, perché da una parte ti fai scrupoli e ti dici di non poter spingere questa cosa, per quanto sia importante e bella e avendoci messo tanto impegno, lavoro e sacrificio, però sono convinto che in certi momenti la vanità debba essere messa da parte, alcune cose vanno vissute con silenzio. Da una parte, quindi, volevo relegarmi alla quarantena più pura, staccando da tutto e tutti, ma dall'altra parte mi sono detto che per rispetto del lavoro fatto non aveva senso, come non lo aveva trovare il momento perfetto, perché non esiste. Non esiste il momento giusto, è capitato così e ho voluto affrontare questo rischio, non mi sarei sentito onesto se avessi rinunciato all'evolversi delle cose, a questa piccolissima prova personale, è l'uscita di un disco, per me è importante, anche se so che ci sono cose ancora più importanti…
Però forse anche la musica serve in questi momenti, no?
In un certo modo, ci sono stati quei momenti di riflessione, diventati poi giorni, ovviamente… ma in quei primi momenti in cui ho deciso, ho riflettuto sul fatto che la musica poteva comunque essere preziosa per le persone. Ho pensato che la musica avrebbe potuto donare un momento di spensieratezza, di felicità e poi nel mio piccolo me ne sono reso conto ricevendo molti messaggi che non mi aspettavo. Questa cosa ti fa capire quanto la scelta di non tirarsi indietro sia stata quella giusta.
Corallo nasce più nel caos di questi ultimi anni o in un momento più di calma, casalingo?
Entrambe le cose, perché il caos può essere casalingo, ma può esserci della calma quando sei nel caos, ritagliandoti i tuoi momenti. Negli ultimi anni sono stato a suonare con Eduardo (Calcutta), ho seguito anche l'ultimo album di Letizia (la cantante Maria Antonietta, compagna di Colombre), quindi ero in una situazione velocissima con tante cose da fare, tante emozioni, e in questi contesti veloci ritagliarsi dei momenti per riflettere, sulle tue cose, sui rapporti, è importante, anzi sono soprattutto queste situazioni qua che fanno sì che un certo tipo di rapporto con gli altri emerga in maniera migliore. Ti invita alla riflessione, piuttosto che mettersi in casa e tirare qualcosa dai ricordi. Affrontare le cose fa sì che vengano fuori riflessioni nuove, anche perché questo disco qua parla di un tema a me molto caro: il rapporto con gli altri, con me stesso, del rapporto che hai quando hai a che fare con la collettività e non con la solitudine. Poi, ovviamente, sono rapporti da approfondire, scoprire, ci vuole del tempo, quindi come il Corallo che cresce lentamente, anche questo disco ha avuto bisogno di un po' per essere realizzato: è una sorta di piccolo elogio alla lentezza.
Mi piace anche l’uso che fai, forse involontario di una serie di allitterazioni, assonanze (futuro, sicuro, nessuno in “Non ti prendo la mano”, ad esempio) o rime come in “Crudele" ("Amore mio/So di aver sbagliato/Non dirmi addio/Lo so che sono stato insensibile/Crudele, certamente inutile"). Quella tua e di Letizia è una famiglia "poetica", quanto influenza tutta questa poesia nel lavoro ai testi?
Guarda, le cose nascono sempre da un'intuizione, che poi va limata, lavorata. Se penso al primo ritornello di "Non ti prendo la mano" non è come quello finito nel disco, ci ho lavorato, bisogna far riposare le cose, riascoltarle e rendersi conto che c'è qualcosa che non è musicalmente o a livello di linguaggio buona, come la vorrei, quindi ti ci rimetti su. Diciamo che parte da un'intuizione e poi devi lavorarci e anche sul linguaggio è così, quindi chiaramente a livello poetico, senza scomodare i poeti, c'è della cura a riguardo. Mi piace quando qualcosa ha a che fare col ritmo, e la parola alla fine è anche ritmo, apre finestre di immaginazione, che è quello che fa la poesia, che va a fondo e apre, con il linguaggio, delle finestre nascoste che hai dentro di te, però, allo stesso tempo, va cesellato, lavorato e relegato a quello che è la musica. Quindi, se la canzone nel ritornello ha bisogno di quel ritmo, quell'incalzare da parte della parola ci si lavora e se l'intuizione era arrivata al 70%, con un po' di lavoro arriva al 100%.
A proposito di ritmo mi parli del ruolo della batteria, dell'uso che ne fai per introdurre e dare il mood del brano, penso a pezzi come "Corallo", "Non ti prendo la mano", "Crudele", "Mille e una notte"…
Anche dal punto musicale, rispetto all'altro, ho voluto dare maggiore solidità alla parte ritmica, quindi ho coinvolto Fabio Rondanini per andare a suonare quello che avevo fatto a casa in pre produzione: ritmi ossessivi, dritti, come se fossero quasi legati a un sample dell'hip hop, e se pensi a canzoni come "Mille e una notte" o "Terrore" c'è la batteria che fa sempre quella figura che ti aiuta ad immergerti. Ho lavorato molto su questo aspetto sonoro, perché rispetto all'altro disco, che era più libero – l'avevo suonato senza clic, ma in presa diretta – con questo volevo avere più fermezza dal punto di vista ritmico, così che ci si potesse concentrare ancora di più sulle parole o anche sugli arrangiamenti. È una batteria più semplice rispetto al primo disco, però è più salda, perché ho voluto registrarla innanzitutto con Fabio Rondanini che non ha bisogno di presentazioni e soprattutto con il clic, con una griglia, e questa cosa mi ha fatto giocare di più sull'arrangiamento, per cercare di approfondire un po' quest'aspetto musicale che invece sentivo ancora acerbo nel primo disco.
Mi piace molto la tua idea di pop, di un pop che non deve strafare, l'idea che un altro pop è possibile. E non posso non notare che c'è ancora Fabio Grande, con te, che con I Quartieri porta avanti un'idea simile, appunto.
Mi piace andare avanti secondo il proprio obiettivo, le proprie esigenze, quello che uno vuol dire, senza strizzare troppo l'occhio alle cose che hai intorno, perché si rischia di snaturarsi e farsi deviare troppo da quello che gira intorno a tutti. Mi piace avere il mio punto di vista, il mio percorso e cercare di farlo al meglio, approfondirlo, dal punto di vista testuale, sonoro, però quello che puoi pensare come qualcosa di cervellotico – magari hai ascoltato canzoni che non hanno una forma standard, un paradigma radiofonico -, lo sembra perché voglio cercare di portare avanti il mio discorso, che non è dato da un lavoro cervellotico: le canzoni sono così perché vengono da improvvisazioni, mi lascio molto andare quando cerco di comporre queste melodie. E poi anche lì, come nei testi, c'è un lavoro più a freddo in cui cerchi di far girare bene la canzone.
Cercare di stare nella tradizione italiana portando il bello che uno ascolta anche fuori è l'esempio di quello che dici, immagino, no?
Il punto è che le sfide sono le cose interessanti da affrontare. Io sono cresciuto con determinati dischi, ho ascoltato Massimo Ranieri, Fiorella Mannoia, quindi queste cose restano dentro di te, come lo restano Franco Battiato, Fabrizio De Andrè, questi ascolti avuti in giovinezza, solo che a me piace sempre mischiare, piace il contrasto tra le cose, per vedere l'effetto che viene fuori. Quindi è ovvio che nella tradizione italiana in cui si parla anche di amore, di speranza, rapporti, sentimenti, amo unirci anche un mondo più lontano, perché ascolto molto più la musica straniera, musica anni 70, soul, i dischi di George Harrison o cose più contemporanee come Steve Lacy, Michael Kiwanuka, mi piace andare a mischiare quella che è la nostra comfort zone.
Senti, ma è vera quella storia di tuo padre che non registrò alcune canzoni e se le ritrovò, poi, cantate da Massimo Ranieri?
Mi ha raccontato questa storia, poi è un attimo che diventi leggenda: lui raccontava che l'avevano notato durante una sagra del panuozzo a Gragnano, poi gli avevano proposto di andare agli studi RCA per provare ad incidere questa canzone, ma alla fine suo padre, mio nonno, non l'ha mandato e la sua vita ha preso un'altra via. Lui me lo raccontava con molta tranquillità d'animo, perché è felice della vita che ha.
E della tua musica che dice?
Dice che sono molto migliorato rispetto all'ultima volta. È sempre difficile fare il test dei genitori perché ti vanno a toccare quelle corde che ti toccano le persone più intime. Tendo sempre a rimandare gli ascolti e quindi l'album glielo faccio ascoltare quando è finito, però mi sono reso conto di essere in errore, perché, magari, quando glielo fai ascoltare e non hai finito la procedura, colgono cose verissime di cui non ti eri accorto. È complicato, però entrambi stanno apprezzando molto questo sentiero.