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L’ultima lettera di Kurt Cobain

Tutto lo stato d’animo di Kurt Cobain, la presa di coscienza del suo malessere e del suo carattere autodistruttivo, sfociato nel suicidio il 5 Aprile del 1994, in questa ultima struggente lettera.
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Tutto lo stato d'animo di Kurt Cobain, la presa di coscienza del suo malessere e del suo carattere autodistruttivo sfociato nel suicidio, 18 anni fa in questa ultima struggente lettera.

"E' meglio bruciare in fretta, che spegnersi lentamente". Quante volte ho letto questa frase su diari, banchi di scuola, muri, bagni pubblici, cd o edizioni speciali rilegate ad hoc che siano. Era una frase di Hey, hey, my, my, una canzone di Neil Young, che Kurt Cobain, il frontman dei Nirvana, citò nella lettera che scrisse prima di suicidarsi la mattina del 5 aprile 1994 con un colpo di fucile alla testa portandosi lasciando fan del genere e addetti ai lavori sgomenti per aver perso un diamante ancora grezzo della scena musicale degli anni Novanta. Il pessimismo, l'autodistruzione, il malessere perenne ma anche l'inverosimile lucidità nell'analizzare e raccontare il proprio stato d'animo traspare in quella che è considerata la sua ultima lettera, rinvenuta nella sua residenza sul Lago Washington in prossimità del corpo. Un senso di vuoto, uno smarrimento che è fin troppo facile etichettare con la solita solfa della vita da rockstar, del club dei 27 e affini, perché uno come Kurt probabilmente si sarebbe sparato un colpo in testa anche se avesse fatto l'impiegato alle poste (anzi in quel caso probabilmente sarebbe resistito anche meno di 27 anni).

Una lettera disarmante e, come rimarca proprio Cobain, "abbastanza semplice da capire". Lui semplicemente non provava più emozioni nel creare musica, non aveva più quella luce, un personaggio che, se avesse conosciuto il miglior amico/nemico di tutti, ovvero il nostro caro ego, forse a quest'ora chissà dov'era a far dischi pseudo-indipendenti e concerti a prezzi esorbitanti. Era, per sua stessa ammissione, "troppo sensibile" e lontano da ogni entusiasmo, al punto che l'adrenalina di un concerto non gli dava più nessun effetto (in proposito cita Freddie Mercury: "non sono come lui, a lui la folla lo inebriava"). Questione di ego, appunto, e di sensibilità spiccata laddove anche un flebile soffio di vento che spira timido sul petto può trasformarsi in una miserabile turba dura da accettare e risolvere. Del resto "è dall'età di sette anni che sono avverso al genere umano" anche se "c'è del buono in ognuno di noi e  penso che io amo troppo la gente, così tanto che mi sento troppo fottutamente triste". 

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