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L’Italia canta inglese: dopo Elisa ecco Bravi, The Kolors, Fragola e Virginio

C’è una piccola tendenza, in questo 2015, che ha portato nei primi posti delle classifiche di vendite e ascolti album e canzoni di artisti italiani in inglese. Un fenomeno impossibile solo fino a pochi mesi fa.
A cura di Francesco Raiola
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Ho provato a fare mente locale degli scorsi anni, mantenendomi nei cosiddetti artisti da classifica, per ricordare qualche cantante italiano di successo che abbia conquistato le prime posizioni della classifica cantando in inglese canzoni originali (niente cover natalizie, per capirsi). L'unico nome che mi è venduto in mente e che verrebbe in mente a chiunque provasse a sforzarsi, è, ovviamente, quello di Elisa. Poi ci ho pensato un po' in più e mi è venuta in mente Malika Ayane nella sua prima veste che contemplava anche qualche pezzo in inglese, e spruzzate di Zucchero. Nel complesso, però, molto poco. È la cantante di Monfalcone l'unica che è riuscita a far breccia nel mondo autarchico della classifica italiana. Sono pochi, infatti, gli stranieri che possono vantare lunghe permanenze nelle prime posizioni e ancora meno quelli che possono aspirare alla testa. Lo scorso anno, ad esempio, gli unici sono stati i One Direction che hanno macchiato una top ten dal sapore completamente italiano. E questo 2015 non va meglio, se si conta che gli album preferiti della prima metà del 2015 sono tutti quanti di artisti italiani.

Il fenomeno The Kolors

Eppure c'è un ‘però'. Al terzo posto, infatti, c'è una band dal nome inglese che ha sfornato un album che si intitola ‘Out': sono i The Kolors, capitanati da Stash Fiordispino, che in pochi mesi hanno conquistato i cuori delle migliaia di fan di ‘Amici', riuscendo là dove avevano ‘fallito' nei lunghi anni di gavetta. I The Kolors, infatti, sono sulla scena da tempo, ma se nel mondo underground vantavano un discreto seguito, il loro nome era sconosciuto al cosiddetto ‘grande pubblico', quello, insomma, che grazie a streaming e acquisti fisici e digitali, fa muovere le classifiche. C'è voluto un programma nazional-popolare come quello condotto da Maria De Filippi per dargli visibilità e riuscire nell'impresa di riportare in auge l'inglese come lingua più ascoltata dai giovani. Non solo i singoli cantati in trasmissione, infatti, non erano cantati in italiano, ma tutto l'album che ha seguito la vittoria del programma della De Filippi è in inglese.

Una lingua non da classifica

Questo dell'inglese come lingua dominante negli artisti che aspirano alle posizioni alte della classifica italiana è una novità di questi ultimi anni. Nel mondo underground, indipendente o come preferite chiamarlo, infatti, l'inglese è una lingua come un altra, soprattutto per alcuni generi che vanno dalla dance al glo-fi, passando per l'elettronica ma anche per il rock che nelle sue varie anime può vantare gruppi anche importanti che riescono a sfondare i confini nazionali senza cantare in italiano. Con i prodotti da classifica, però, la situazione è ben diversa. Lo sanno gli Afterhours, che hanno svoltato già negli anni '90, ma non sono gli unici. Se restiamo al pop che invade settimanalmente le classifiche la difficoltà è enorme e l'italiano è sempre stata una delle condicio sine qua non per aspirare a qualche posto lassù. Agli italiani, insomma, piace capire quello che dicono i cantanti (l'analisi dei testi, però, meriterebbe una riflessione a parte) senza doversi impegnare a tradurre. O, almeno, questo era il pensiero fino a qualche anno fa, poi talent hanno cominciato a usare molte canzoni anglosassoni per le esibizioni serali dei vari concorrenti e oggi pare una cosa normale.

Gli italiani e l'inglese

Ma fermiamoci un attimo e cerchiamo di capire quanto in teoria potremmo capire di quello che ascoltiamo. Le statistiche di questi ultimi anni ci dicono che gli italiani dicono di conoscere l'inglese, ma non è poi così vero. Se l'Istat in uno studio del 2014 (che fa riferimento a ricerche condotte nel 2012) spiega che ‘Conosce almeno un po’ di inglese il 43,7% della popolazione di 18-74 anni', specifica anche che:

il 30,6% delle persone che conoscono almeno un’altra lingua ha dichiarato di comprendere e usare poche parole e frasi; il 28,6% di comprendere espressioni comuni e di saper usare la lingua conosciuta in situazioni familiari; il 25,8% di comprendere le linee generali di un discorso, di saper produrre un semplice testo e di saper comunicare abbastanza fluentemente; soltanto il 15% ha dichiarato di saper comprendere un'ampia gamma di testi anche impegnativi e di utilizzare la lingua conosciuta in modo flessibile e con piena padronanza.

Da un'indagine sulla conoscenza dell’inglese realizzata da Ef, che da dieci anni misura la competenza della lingua inglese degli adulti nel mondo, invece, risulta che l'Italia si piazza al 27esimo posto sui 63 Paesi presi in considerazioni, migliorando di poco rispetto agli anni precedenti ma rimanendo, comunque, abbastanza indietro. Insomma, in un Paese che, dati alla mano, legge pochissimo e di conseguenza non spicca per la comprensione di un testo, l'inglese potrebbe risultare molto ostico. Certo, è anche vero che non è detto che di tutte le canzoni straniere che conosciamo dobbiamo conoscere/conosciamo la perfetta traduzione e che questo influenzi per forza i nostri ascolti. Le etichette, comunque, probabilmente la pensano diversamente dalle statistiche e in questi ultimi tempi è tutto un parlare di sound internazionale, soprattutto parlando di pop e la cosa che puntualmente sta avvenendo, in effetti.

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Tutto cominciò coi talent

Difficile non ricordare lo stupore di molti quando sentirono Marco Mengoni esibirsi in una versione di ‘Psycho Killer', uno dei brani più noti dei Talking Heads. La gente apprezzò, anche chi non avesse idea di chi fossero questi pazzi che mescolavano all'inglese frasi in francese e sequele di ‘fa fa fa fa fa fa' (prima di arrivare al famoso ‘far better'). Che bella canzone sentii ripetere a molti che non avevano idea che quel pezzo avesse circa 40 anni. Insomma, pian piano faceva il suo ingresso nella testa del pubblico ‘mainstream', ma rimaneva relegato alle esibizioni, finché Lorenzo Fragola, vincitore dello scorso X Factor, non decise di uscire con un debutto, ‘1995', che mescolava italiano e inglese, guardando al pop inglese che si rifaceva ai vari Ed Sheeran e Tom Odell (che per Fragola ha anche scritto un pezzo). Metà pezzi in italiano e l'altra metà in inglese, benché a guardare i risultati dei video la prevalenza di visualizzazioni a quelli italiani è netta con ‘Siamo uguali' e ‘Fuori c'è il sole' che dominano rispetto a ‘The Rest' (e a ‘The reason Why' che, però, è l'inedito del talent). Fragola ha esordito in testa alla classifica Fimi, restandoci per un paio di settimane e mettendo le basi per quello che è successo dopo.

Chi non ha avuto problemi di italiano, comunque, sono stati i The Kolors. La band capitanata da Stash Fiordispino, uno dei fenomeni dell'anno, in grado di tenersi, con ‘Out', la prima posizione per 12 settimane, mettendo il record dell'anno e rimanendo uno di quelli che negli ultimi anni è rimasto più tempo lassù, ha pubblicato completamente in inglese diventando, dopo Elisa, il maggior fenomeno di questi anni. ‘Out' è diventato addirittura triplo disco di platino, con un totale di più di 150 mila copie vendute: un numero incredibile per una band così giovane, ma che rende l'idea del potere di alcuni talent (‘Amici' più degli altri competitor).

Madh, Virginio e soprattutto Michele Bravi

Queste ultime settimane hanno continuato a confermare questo andazzo. C'è stato, ad esempio, Madh che ha sfidato Fragola nella finale di X Factor 2014 e ha pubblicato il suo ‘Madhitation' senza toccare l'italiano, e sempre dai talent sono arrivati altri due esempi di giovani italiani che si sono confrontati con una lingua non loro. Michele Bravi ha pubblicato qualche settimana fa ‘I Hate Music', il suo secondo album, quello del cambiamento, che resiste da tre settimane nella top ten della classifica italiana degli album più venduti. Un titolo provocatorio per il vincitore di X Factor del 2013, il quale dopo l'album d'esordio ha cambiato vita, diventando uno youtuber di successo e, appunto, decidendo di provare a internazionalizzare musica e immagine. Si è affidato quindi a una cover che richiama un certo Bowie e un album totalmente in inglese che suona molto vicino al pop inglese, come ha confermato anche ai nostri microfoni.

Oltre a Bravi c'è Virginio Simonelli. L'ex talento di ‘Amici', dopo la partecipazione al programma non ha avuto una enorme ribalta, ma nel frattempo è diventato un autore di successo e dietro ad alcuni successi di Laura Pausini, ad esempio, c'è la sua firma. Per il suo ritorno in musica, però, ha scelto come singolo di lancio del suo nuovo album ‘Hercules', brano dal sound che sposa pop e soul con testo, ovviamente in inglese.

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Il rischio dell"inglesizzazione'

Insomma, se non nascono Stromae in grado di diventare un fenomeno nazionale con la propria lingua (un francese, però, molto più parlato, nel mondo, dell'italiano), gli italiani hanno deciso di farsi le ossa da sé. Capire il perché resta il concetto più arduo. Un Paese musicalmente autoctono quale interesse ha a spingere l'inglese? E quanta possibilità c'è di esportare un prodotto che dietro il concetto di internazionalizzazione rischia, fuori dai confini, di risultare la copia di serie B? Questa onda sembra seguire quelle che periodicamente segnano le classifiche italiane. Un paio di anni fa fu il rap a sconvolgere tutti per la quantità di album portati in alto nella classifica. Uno stupore che è servito a normalizzare la presenza (minore negli anni successivi) dei rapper tra i più venduti delle varie settimane. Probabilmente succederà così anche questa volta. Tra un paio di anni gli italiani (specie quelli provenienti dai talent) che canteranno in inglese saranno una minoranza che avrà perso lo status di ‘caso' ma guadagnato quello della normalità.

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