L’Heavy Metal che unisce Israele e Palestina
Chi crede che il metal sia musica del demonio dovrebbe leggere la storia che il Guardian ha raccontato ieri, ovvero una storia di amicizia, ma soprattutto di unione e solidarietà in un panorama, quello israelo-palestinese, che non gode, da tempo, di alcuna forma di tranquillità. Ci sono, infatti, due band unite dall'heavy metal, ma divisi dal loro passaporto: parliamo degli israeliani Orphaned Land e dei palestinesi Khalas ("Uno dei pochi – forse l'unico – tra i gruppi heavy metal del MENA che conosco che canta esclusivamente in arabo" scriveva qualche anno fa il giornalista Marc LeVine) che hanno deciso di dare un messaggio di fratellanza decidendo di andare in tour assieme per 18 date autunnali che toccheranno sei paesi.
Insomma i gruppi divideranno musica, palco e tour bus in un viaggio che nel suo piccolo lancia un messaggio importante. Riporta sempre il Guardian che il cantante del gruppo israeliano Kobi Farthi e il chitarrista dei Khalas Abet Hathut hanno spiegato così la loro idea: "Non possiamo cambiare il mondo, ma possiamo dare un esempio di come sia possibile la coesistenza. Dividere un palco e condividere un tour bus è più complesso di migliaia di parole. Mostreremo come due persone con background differenti che vivono in zone di conflitto possano esibirsi assieme".
Un messaggio di pace importante, sottolinea Farhi, che col suo gruppo farà da gruppo spalla agli israeliani. I due gruppi si sono conosciuti durante una trasmissione radio, quando incontrandosi si resero conto di avere molto in comune. Mentre gli Orphaned Land, però, spiegano di essere un gruppo politico, che non parlerà mai di ex fidanzate, i Khalas dicono: "Solo per il fatto che siamo palestinesi la gente si aspetta che cantiamo solo dell'occupazione", ma evidente mente non è così. E forse bisognerebbe fare un po' più attenzione a questo mondo e al suo sviluppo nel mondo arabo.
In un libro di qualche anno fa intitolato "Rock The Casbah", che ha come sottotitolo "I giovani musulmani e la cultura pop occidentale" proprio il giornalista Mark Levine parlava proprio del metal e dell'influenza tra i giovani arabi, raccontando anche le storie di questi due gruppi. Il cantante degli Ophaned Land gli disse che un giorno un rabbino ammise che loro non riuscivano a raggiungere tutta la gente a cui arrivavano loro con la loro musica, raccontando di quando "un fan saudita venne da me dopo un concerto e disse ‘Amico, sono cresciuto per odiarti, ma ti voglio bene'. Quindi mi mostrò un tatuaggio sul braccio con il nostro logo. Che dire? Ci ascoltano nascosti in cantina". Levine riassumeva bene, a inizio libro, quella che è l'influenza di questa musica nel mondo arabo: "Per capire le persone, le culture e la politica del mondo musulmano contemporaneo, soprattutto i giovani che rappresentano la maggioranza della popolazione della regione, dobbiamo seguire i musicisti e i loro fan tanto quanto i mullah e i loro seguaci".