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L’esordio di San Diego: “Il mio primo ‘Disco’? Non solo vaporwave, possiamo dire pop”

Si chiama San Diego il cantautore e dj romano che il 27 ottobre pubblicherà il suo album d’esordio “Disco”, in cui mescola vaporwave e cantautorato.
A cura di Francesco Raiola
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San Diego (ph Maria Tilli)
San Diego (ph Maria Tilli)

Si chiama semplicemente "Disco" (Stradischi) il nuovo album – che è uscito il 27 ottobre – del dj e cantautore romano San Diego e con l'Album di Ghali non c'entra niente, anzi. San Diego, infatti, che da qualche mese pubblica video su Youtube, ha raccolto in un lavoro unico nove canzoni che mescolano disco, vaporwave e cantautorato, in quello che rientra tranquillamente nella definizione di pop, quello moderno à la Cosmo, per intendersi. Un anno di vita per questo progetto che tra le ispirazioni non nasconde l'amore per i cantautori italiani, compreso Ivan Graziani, anche se le sue ispirazioni pescano nei generi più disparati: "Ascolto e ho ascoltato di tutto: jazz, punk, hardcore, hip hop, elettronica di vario tipo, la dance più becera, i cantautori italiani, musica classica" ha spiegato a Fanpage.it. San Diego presenterà l'album il 24 novembre al Le Mura di Roma e il 25 novembre all'Ohibò di Milano.

Qual è, oggi, il senso che dai alla parola “ricerca”, ho visto che ne parli spesso di questo tuo bisogno di ricercare.

Non mi ero accorto di parlarne spesso, ma ora che me lo chiedi ti rispondo che per me è fondamentale ricercare un'atmosfera e sperimentare per arrivarci, a tutti i costi. Qualsiasi forma di espressione già esistente può essere parte integrante di questo percorso, ma deve rappresentarne il mezzo e non il fine. Il pretesto lo uso per arrivare ad altro, qualcosa che non è stato concepito e che mi piacerebbe ascoltare, non mi interessa il revival.

Come nasce il progetto San Diego?

Nasce meno di un anno fa in studio dopo un lungo periodo di incubazione. Trovata la chiave per me soddisfacente ho iniziato a scrivere in relazione ad essa, ho scartato tutto ciò che avevo scritto in precedenza e nessun pezzo è stato arrangiato a posteriori, il tutto è stato concepito simultaneamente.

I giochi di parole che troviamo nei tuoi testi partono da titolo dell’album. Disco è una dichiarazione d’intenti?

Al dì là del gioco di parole quasi involontario, era l'unico modo di dare un nome a quello che è successo, che è stato successivo alla scrittura. Inizialmente non mi ero posto il problema di fare un disco, mi interessava semplicemente portare avanti un concetto musicale e quando si è presentata l'occasione di "fissarlo" in maniera naturale ho voluto dargli il titolo che per me rappresentava tutto questo, né più né meno.

L’altro giorno un collega mi spiegava che ormai ascoltava prevalentemente vaporwave e istintivamente gli ho passato alcuni tuoi video, visto che il genere caratterizza un certo mood di quello che fai. Due domande. La prima: Se la vaporwave è solo una parte di quello che fai – e lo è, secondo me -, quale parte ha nel totale e quali sono le altre ispirazioni?

La vaporwave è sicuramente una delle componenti ispiranti del progetto, ma non la considero parte integrante. Come ti dicevo prima mi interessa l'atmosfera, il genere è secondario come qualsiasi altra mia influenza che può portarmi – o meno – a scrivere un pezzo. Ascolto e ho ascoltato di tutto: jazz, punk, hardcore, hip hop, elettronica di vario tipo, la dance più becera, i cantautori italiani, musica classica.

La seconda invece è: la scelta della lingua (sempre l’amico di cui sopra mi diceva che ascoltarla in italiano gli faceva strano) è fondamentale, sia per l’accessibilità di un genere che, insomma, non è proprio mainstream, sia perché la tua scrittura non è solo sottofondo. Come nascono le canzoni di “Disco”?

Ho sempre scritto in italiano e rispetto a qualche tempo fa i testi nascono in buona parte insieme alla musica, mentre prima ci appoggiavo un inglese maccheronico o suoni senza significato. Diciamo che adesso è più un freestyle della mia lingua madre che poi diventa testo finito. Avviene in modo molto naturale, e alcuni testi li ho chiusi un attimo prima di avvicinarmi al microfono per registrarli.

Cosa c’era prima di San Diego?

C'era uno che scriveva cose di testa, senza legarsi profondamente a qualcosa. Non c'era catarsi in quello che facevo, erano freddi sfoghi cervellotici ed era come avessi l'obbligo di dimostrare qualcosa. Adesso mi sembra che non sia così, anche se per questa musica è quasi un paradosso.

Ho letto che tra gli artisti a cui devi molto c’è Ivan Graziani. Ivan Graziani? Mi spieghi come ti ha ispirato?

È il cantautore italiano che ho ascoltato di più da piccolo visto che era perennemente on air sullo stereo dei miei, e sicuramente uno dei più bravi della sua generazione. Suonavano spesso le sue canzoni, come quelle di tanti altri: un ricordo di infanzia vivido è mio padre che suona "Vedrai, Vedrai" di Luigi Tenco, un'altro è mia madre che mi insegna a fare i primi accordi con la chitarra con "La Canzone Del Sole".

Questa la faccio spesso perché il tema mi interessa (e pian piano mi rendo sempre più conto che è questione generazionale): prima di “Disco” alcuni tuoi pezzi hanno trovato pubblico su Youtube e successivamente sono state raccolte nell’album. Oggi mi pare che per una certa generazione l’album non sia che una raccolta di materiale che ha già vissuto un bel pezzo di vita. Che senso ha oggi per te il concetto di album e quanto, invece, siamo tornati all’importanza fondamentale del singolo rispetto all’insieme? 

In effetti inizialmente ragionavo solo a pezzi singoli, perché come dici tu credo che spesso un album non abbia così tanto senso di esistere se non è un concept, a parte ovviamente la logica commerciale; ma questo è un problema che non mi pongo adesso, figuriamoci in principio. Però a un certo punto mi sono reso conto che i pezzi man mano erano così legati tra loro quasi come un'unica storia che per me aveva senso farlo, ed eccoci qua. Detto questo sono abbastanza convinto che nel futuro prossimo si prescinderà dai dischi e si tornerà sempre di più come una volta, tipo i 45 giri. Uno o due pezzi alla volta e uscite molto più costanti, sarà il mercato che lo imporrà.

È stato un anno particolare per un certo pezzo di scena indie che ha trovato un punto d’incontro (diciamo così) con realtà che fino a ieri lo snobbavano. Quello che fai tu è orecchiabile, ballabile e anche radiofonico: se dico ‘pop’ t’incazzi?

Assolutamente no, per me tutto ciò che è cantato entro certi canoni melodici è "pop", a prescindere da chi e quanti ne usufruiscano.

Etichette a parte, l’album ha sicuramente un po’ di pezzi che potrebbero girare, che t’aspetti e che feedback hai avuto in questi mesi?

Per me andrebbe già bene così, figurati. Tutto ciò che eventualmente potrebbe arrivare in più sarà ben accetto e mi farà ancora più felice, ma mi sento all'inizio di un percorso e ripeto, sono già molto appagato.

Senti: Disco-Album. Sveglia di Paperopoli-sveglia di Happy Days. Che gioco è? 

Guarda siccome me l'hanno già chiesto ho controllato: la sveglia di Ghali è uscita dopo, perché ‘Paperopoli' era già uscita su Youtube a fine aprile. Questo per dire che è stato totalmente un caso, così come il titolo ‘Disco'. Detto questo considero Ghali uno dei talenti più puri degli ultimi anni.

Il disco fondamentale della tua discoteca, invece, qual è?

Domanda alla quale per me è pressoché impossibile rispondere. Preferisco risponderti da mitomane dicendoti "il prossimo che farò" piuttosto che sceglierne uno.

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