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Italiani allo Sziget, Salice: “Vi racconto ‘Kappa’, che non parla di ketamina”

Intervista a Salice, cantautore napoletano di stanza a Milano e primo italiano a esibirsi live allo Sziget Festival 2019. Ha presentato il primo singolo “Kappa”, mix di sonorità indie, maglie del Napoli indossate dal “pampa” Sosa e riferimenti a una sostanza, la ketamina, che promettono di far discutere. Pur apprezzando le provocazioni ci racconta che la sua non è una canzone che parla di droga.
A cura di Andrea Parrella
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Foto di Marco Vaghi
Foto di Marco Vaghi

Lo Sziget Festival ha aperto i battenti il 7 agosto 2019. Dopo il record di visite dello scorso anno, più di 500mila visitatori, l'evento che attira gente da tutta Europa sull'isola di Obuda, a Budapest, punta a migliorare ancora il risultato dello scorso anno con una line up composta da artisti internazionali del calibro di Ed Sheeran, The National, Florence and the Machine, Foo Fighters e un altro centinaio di artisti provenienti da tutto il mondo.

Anche quest'anno la quota italiana è importante e tra i primi a esibirsi sul palco del LightStage c'era Salice, al secolo Carmine Esposito, cantautore napoletano trapiantato a Milano uscito da poche settimane con il suo primo singolo "Kappa". Una canzone che non passa inosservata, per sonorità accattivanti e contemporanee e per quell'inevitabile elemento attrattivo di un riferimento ripetuto alla ketamina. Salice racconta a Fanpage.it il suo progetto, fresco di esibizione terminata pochi minuti prima.

Carmine, a poche settimane dall'uscita del tuo primo singolo da solista ti esibisci in quello che è, probabilmente, il più grande festival musicale d'Europa. 

In realtà ho saputo dello Sziget ancor prima che uscisse il singolo  (26 luglio) ed è stata una botta, me lo hanno scritto a freddo, su WhatsApp. 

Hai già tappe programmate nelle prossime settimane?

Per il futuro, al momento si tratta del solo live in programma, ma conto di partire con una serie di live a novembre, ma attendiamo di capire quale sia la risposta concreta del pubblico e pubblicare un altro singolo prima di organizzare eventuali altre date. Ma molte cose si stanno muovendo. 

Online non si trovano molte cose su di te, né su Youtube né su Spotify. Mi pare che la tua comunicazione sia intima, per non dire scarna. La scelta è tua e come ti rapporti allo storytelling e alla necessità contemporanea di offrire al pubblico un racconto quotidiano di se stessi?

Devo ammettere che io sono un cattivo utilizzatore di social. Al momento sto imparando, ma perché mi stanno guidando. Lo faccio volentieri e non mi sembra così complesso: se bevi una birra, o sei allo Sziget, fai una foto e la posti, basta quello. Ma oltre a non avere una grande sintonia coi social network, sono anche convinto che la mia vita privata non sia così interessante. Suono, ho diversi progetti attivi, ma di base io sono un insegnante di sostegno, mantengo una certa riservatezza per quel che riguarda la mia vita privata.

Parliamo da napoletano a napoletano. Per ragioni artistiche e professionali sono molti i tuoi colleghi "costretti" a emigrare a Milano, che rappresenta una nostra "Grande Mela", naturalmente in scala ristretta. Nel tuo caso la salita al nord è stata motivata dalla musica, oppure ci sono ragioni diverse?

Il mio trasferimento a Milano ha a che fare con un'esperienza di vita che contempla anche l'esperienza musicale. A Napoli ho sempre suonato in band che, per quanto abbiano girato, mancavano di grandi stimoli. I locali sono pochi, così come i festival e i concerti. Qualcosa si sta muovendo ma la cosa che ha influenzato il mio spostamento a Milano era anche quella di cercare una situazione più favorevole, così come è stato.

Parliamo di "Kappa", il tuo primo singolo. La cosa che ho notato è che tu, come molti concittadini, fai dei simboli della napoletanità degli elementi portanti della tua poetica. Penso all'accento meridionale citato nel ritornello e alla maglia Kappa del Napoli che vediamo anche nella copertina del singolo. Dove finisce l'elemento identitario e inizia quello del marketing? Ovvero, quanto ti senti davvero napoletano?

Il mio sentirmi napoletano è limitato. Ma Gaber, che non si sentiva italiano, era italiano e per me vale lo stesso. Ci sono elementi che fanno parte della mia quotidianità: prendo la pizza allo Sziget e guardo male quello con cui la sto mangiando, prendo il caffè in ostello e avverto una sensazione straniante e ho sempre tifato Napoli. Chiaro che, quando abbiamo scelto la copertina, vedere quella maglia del Napoli – che preciso, è stata indossata dal "pampa" Sosa – e vedere che ci fosse scritto Kappa, mi ha fatto pensare a un'immagine perfetta. Devo dire che non sono molto attaccato alla mia napoletanità, però le canzoni che ho scritto e che saranno inserite nell'EP di prossima uscita, sono canzoni sulla mia vita personale ed è inevitabile che abbia istintivamente inserito elementi riferiti alla mia napoletanità

Passaggio obbligato sulla questione ketamina, che citi esplicitamente nel testo in maniera volutamente equivoca. Mi spieghi il significato?

Il motivo per cui ho scritto la canzone e inserito la ketamina nasce da una volontà che non è provocatoria, ma da un'esperienza personale. Io per anni ho fatto l'educatore per un servizio notturno in luoghi dove ci sono persone con problemi di tossicodipendenza e abuso di sostanze a scopo ricreativo. E lì ho vissuto questa esperienza con un ragazzo che stava collassando dopo aver assunto delle sostanze (non era ketamina, ma il termine si adattava al pezzo) e lui pensava così tanto al fatto che la droga non salisse, da non accorgersi che la sostanza avesse già fatto effetto, perché stava collassando. Questa cosa ha creato nella mia mente un'immagine che è tranquillamente accostabile a molte esperienze di vita quotidiana: sei così concentrato a far riuscire qualcosa, da non accorgerti che stia già avvenendo.

Non credi che questo elemento possa penalizzarti?

Sì, ho temuto che potesse contribuire a dare un'immagine distorta di me. Ma in fondo è anche bella la provocazione e ci sta che arrivino delle critiche che poi si possono chiarire.  

Non c'è dubbio che le canzoni con riferimenti a sostanze stupefacenti, così come all'ostentazione di ricchezza e altri temi politicamente scorretti siano cosa molto sentita dall'opinione pubblica di questi tempi (vedi Sfera Ebbasta e Achille Lauro tra i tanti). Tu come ti rapporti a questa discussione?

Nelle canzoni non dico parolacce e non parlo di queste cose. Questa canzone è l'unica dove c'è un riferimento a questa cosa che è quasi un legame alla scena attuale, mi viene da pensare all'emo all'indie, passando per la trap. Una cosa è certa: io sono d'accordo con chi provoca, perché la scena italiana è da sempre caratterizzata da una certa staticità e propensione a parlare delle stesse cose. Secondo me la nuova scena, nel provocare e mettere sul piatto delle esperienze di vita reali, è una cosa molto positiva. Vedere Achille Lauro a Sanremo che fa lo scemo e dice di voler morire ricco, è una cosa forte che mi è piaciuta moltissimo, visto il contesto sanremese. Questa cosa un po' mi ha condizionato, spingendomi a pensare che non ci fosse nulla di male. 

In quale genere ti collochi? Esiste un perimetro nel quale ti vedi inserito?

Sono molto influenzato passivamente dalla scena attuale, parliamo dell'indie in generale. La scena nata dieci anni fa mi ha portato a ritrovarmi molto in un certo modo di raccontare la realtà. Un modo molto personale, ricco di immagini relative alla vita privata. Mi viene in mente un caleidoscopio: quando lo guardi non vedi la realtà, ma tanti frammenti di essa che essenzialmente sono diversi punti di vista sulla realtà stessa.

Per cui immagino che l'indie abbia influenzato e plasmato molto il tuo modo di immaginare e concepire musica rispetto a dieci anni fa.

Va detto che io sono partito con l'hardcore e il punk, in quella Napoli  in cui quel genere aveva un suo seguito. Però con il mio gruppo di Napoli iniziamo a fare musica pop ed elettronica, molto tecnica, con sintetizzatori ed effetti sulle chitarre. La scena attuale mi ha influenzato molto nell'ottica di una semplificazione che in realtà era una sofisticazione del linguaggio. Pochi suoni, pochi strumenti, ma l'impressione di avere una roba nuova. 

Ultima cosa, che poteva essere anche la prima, vista l'importanza: come arrivi da Carmine Esposito a Salice?

Si tratta di una cosa molto personale. Quando dovevo scegliere il nome ho fatto un brainstorming ed è venuto fuori che molte cose che riguardano il presente in realtà hanno a che fare molto con il mio passato. E in questo passato c’è una casa al mare con un albero strano che mia mamma mi diceva si chiamasse “salice”. Poi ho scoperto che non era così. Ma il nome c'era già e rispetto a Carmine Esposito era certamente di maggiore effetto.

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