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Iosonouncane presenta il disco live: “I concerti sono laboratori, servono per i miei album futuri”

Iosonouncane pubblica “Qui noi cadiamo verso il fondo gelido – Concerti 2021-2022” un album che racchiude i live che hanno seguito l’uscita di Ira ma che vanno oltre quell’album, con nuove versioni, improvvisazioni e inediti. Ne abbiamo parlato col cantautore e musicista sardo.
A cura di Francesco Raiola
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Negli ultimi mesi Iosonouncane ha pubblicato due album live, Jalitah, in cui erano registrati i concerti fatti con Paolo Angeli nel 2018 e "Qui noi cadiamo verso il fondo gelido – Concerti 2021-2022", registrato completamente dal vivo e composto prevalentemente da tracce inedite, che uscirà il 10 novembre. Quest'ultimo album racconta i tour che sono seguiti all'ultimo album del cantautore sardo, Ira, ma vanno molto oltre non solo l'album ma anche il concetto classico di tour, perché l'approccio di Iosonouncane è più jazzistico, sia per l'importanza delle registrazioni live, sia perché i live diventano laboratorio e soprattutto improvvisazione. In quest'album, infatti, ci sono canzoni completamente riviste, riarrangiate, e anche inediti che il cantautore ha suonato in varie formazioni, in trio o in full band con sette elementi. Con tre album alle spalle – i precedenti a Ira erano DIE e La Macarena su Roma -, Iosonouncane è anche produttore (è sua la produzione di un album importante come "Spira" di Daniela Pes) e autore di colonne sonore. Quando lo chiamiamo, infatti, è in studio: "Sto scrivendo delle colonne sonore, una appresso all'altra".

Cosa ti piace della colonna sonora?

Per quanto riguarda la finalità, mi piace la cosa più immediata, ovvero pensare delle musiche che devono stare su delle immagini, in uno spazio cinematografico. Dal punto di vista operativo, invece, mi piace perché si tratta di una fase laboratoriale, nel senso che lavori a un prodotto musicale del quale non sei giudice ultimo perché si tratta, appunto, di musica applicata quindi l'ultima parola non spetta a te. Puoi anche aver scritto Shine On You Crazy Diamond, ma se non c'è spazio nel film per quel pezzo lì, quel pezzo non lo si utilizza: magari lo hai pensato per una scena, ma cambia un po' troppo la dinamica del montato e alla fine non lo si può utilizzare. Quindi, se quando fai un disco punti a un valore che sia assoluto, nel caso delle colonne sonore, il valore è relativo allo spazio artistico, alla narrazione, all'opera, alla poetica nella quale la musica va a inserirsi. Da un punto di vista artigianale è una fase di sperimentazione, io cerco di approcciare le colonne sonore quasi sempre partendo dall'individuazione di una valenza sonora specifica di quello specifico lavoro.

Ovvero?

Individuo uno strumento tra quelli che ho e provo a lavorare soprattutto su quello, cercando di utilizzarlo come magari tendo a non utilizzarlo nei dischi. Sono tutte sperimentazioni che poi, però, ci vanno a finire nei dischi. I lavori che ho fatto appena prima di DIE e IRA sono lavori che riascoltati adesso hanno già delle idee che poi sono finite in quesi due album.

E che fine fanno i brani che non finiscono nelle colonne sonore?

Nel mio caso finiscono in una macro cartella che si chiama "bozze brani da scrivere", in realtà c'è di tutto, ma veramente di tutto, è una cartella da 92 Giga. Questo succede perché, nel caso delle colonne sonore, per consegnare dieci brani ne preparo 40, anche perché la prima regola di ingaggio la devi affrontare con un mandato esplorativo, soprattutto quando vieni contattato col lavoro che è già in stato molto avanzato, col montaggio in corso, se non addirittura terminato o quasi, e lì diventa molto difficile perché i montatori e la montatrici tendono a posare delle musiche mentre stanno montando, per avere dei riferimenti dinamici, per esempio, quindi il lavoro può anche consistere nel dover sostituire tutta la musica che vi è stata momentaneamente poggiata.

Mantenendo sempre quel ritmo…

Mantenendo totalmente quel ritmo. A marzo ho chiuso la colonna sonora di un documentario: quando sono stato contattato il montaggio era già stato chiuso ed era stata appoggiata tantissima musica che aveva una ragion d'essere, una sua narrazione e io l'ho dovuta sostituire.

In quel caso che fai?

La prima cosa è relazionarmi con regista e attrice, proponendo tantissima musica in modo da iniziare quanto meno a escludere delle strade e quindi magari parto da due, tre sessioni di studio in cui sono da solo al centro della mia stanza – che sembra una navicella spaziale con synth, macchine, campionatori e pedali -, metto in rec e registro delle grandi improvvisazioni per due, tre giorni, poi le edito e magari giro subito 2 ore di cose e di possibilità che mi aiutano a scremare. Quindi è una fase molto laboratoriale, che mi insegna molto dal punto di vista metodologico ma anche degli stessi strumenti che ho e che magari non ho ancora approfondito a dovere.

Fai un enorme lavoro laterale agli album, questi lavori che mi hai raccontato, il lavoro come produttore – penso a Daniela Pes – o questo disco live: sono cose che sembrano laterali, ma mi pare di capire che sono fondamentali nella costruzione di quello che noi consideriamo, forse sbagliando, il lavoro principale, ovvero l'album… I live, per esempio, sono delle rielaborazioni degli album.

"Qui noi cadiamo verso il fondo gelido – Concerti 2021-22" è un disco dal vivo, sì, ma non è un disco che raccoglie le migliori canzoni di Iosonouncane suonate dal vivo. È un disco che ho voluto pubblicare proprio per dare testimonianza di questi due anni di lavoro dal vivo con i musicisti con i quali ho suonato e con i quali sicuramente si è instaurata un'altra fase laboratoriale, perché i concerti hanno avuto quell'approccio lì. Non sono mai partito dall'idea di limitarci a eseguire i brani, poi alla fine ci fermiamo, prendiamo l'applauso e poi ne facciamo un altro, ma costruiamo dei flussi sonori nei quali possano accadere delle cose nuove, inedite, improvvisate e dai quali e per mezzo dei quali possano poi, un certo punto, in più punti, emergere i brani, eseguiti in maniera fedele al disco o totalmente infedele a seconda del brano. Il concerto, per me, è anch'esso una fase laboratoriale, tant'è che ci sono delle cose accadute nei concerti di un anno fa in Europa che sono accadute perché, per esempio, dovendo affrontare il tour con una formazione ancora una volta inedita, quindi con due postazioni di elettronica, io, Amedeo Perri e Simone Cavina, per una formazione che in quei termini non avevo sperimentato. Questa cosa mi ha costretto a portare in tour della strumentazione che solitamente non porto e a utilizzarla in una maniera differente rispetto a come sono solito utilizzarla in studio.

E che cosa ti ha dato questa "costrizione"?

Sono emerse delle cose, dei suoni, dei passaggi di cui c'è testimonianza nel brano "Voci", che introduce "Niran", frutto di un'improvvisazione radicale sul momento che mi hanno fatto venire delle idee sull'utilizzo di determinati suoni e che sto riprendendo nelle colonne sonore che sto facendo quest'anno. Quindi, come dire, lasciare lo spazio dal vivo a ciò che è estemporaneo, ma che è sempre frutto poi di una ricerca su uno specifico suono, uno strumento, una dinamica, un'interazione genera appunto una fase laboratoriale che porta con sé delle novità che sono sempre preziose e vitali.

Per questo hai voluto pubblicarlo?

Sì, l'ho fatto innanzitutto per dare un'esistenza oggettiva a tutta una serie di cose che mi sono accadute dal vivo in questi due anni e che per me hanno un'importanza vitale.

Non so se è un caso, ma gli ultimi due album che hai pubblicato sono live, il che mi riporta al mondo del jazz…

Come probabilmente ho già avuto modo di dirti quando ci siamo sentiti per l'uscita di Ira, negli anni che hanno preceduto IRA il 70% dei miei ascolti sono stati jazz e la cosa è esaltante e allo stesso tempo frustrante, perché è impossibile riuscire a sentire tutto, però se si prende un disco di Coltrane del 1962 e si va a vedere la formazione che ci ha suonato si scopre che ognuno dei musicisti che ha suonato in quel disco, nello stesso anno ha suonato su altri cinque dischi, da solista oppure o in altre formazioni e in ognuno di quei cinque dischi ci sono sicuramente uno, due, tre, cinque musicisti che non hanno suonato con Coltrane, ma che hanno suonato con altri, i quali ogni anno hanno fatto altri due, tre o quattro dischi. Questa cosa è meravigliosa, passano le suggestioni, passano le idee ed è una cosa super affascinante. L'idea che nello stesso anno io mi stia avviando a pubblicare due dischi dal vivo è anche per me bizzarra, perché la mia formazione è tutt'altra.

Fammi capire…

Io sono cresciuto con tre direttrici principali: i Beatles del periodo di Sgt. Pepper's, i Pink Floyd del periodo The Dark Side of the Moon e i Radiohead di Ok Computer e Kid A, quindi nella mia testa la faccenda è sempre stata questa: suonare bene dal vivo significa suonare in maniera quanto più fedele possibile i brani alla loro versione su disco, quindi un bel concerto è un concerto senza errori, senza imprevisti, senza variazioni sul tema. Poi è accaduto che crescendo e andando a vedere davvero i concerti, mi sono imbattuto in concerti che mi hanno testimoniato l'esatto opposto, senza necessariamente smentire quella versione dei fatti: se andassi a vedere i Radiohead e suonassero Paranoid Android diversa da com'è probabilmente avrei dei problemi, però ho fruito di concerti strepitosi nei quali accadeva di tutto e raramente era ciò che mi aspettavo e quella cosa è stata a dir poco formativa, è stata commovente perché in quei casi sei testimone di qualcosa che sta accadendo esattamente in quel momento. In più, aver collaborato con Paolo Angeli, aver fatto un tour con lui – Paolo viene dall'improvvisazione radicale – mi ha insegnato che l'estemporaneo e l'errore sono l'occasione fertile per cercare qualcosa di nuovo, l'errore va accolto. Quindi è molto strano anche per me ritrovarmi nel 2023 a pubblicare due disco dal vivo, è una novità, probabilmente solo tre anni fa non avrei mai pensato di poterlo fare, tanto meno dieci anni fa. Conta che io i concerti li registro, almeno, dalla prima data di DIE, ma non ho mai avuto l'idea di pubblicarli.

Però così dai una cosa nuova a chi ti ascolta, perché quello che fai, appunto, è diverso dalla versione disco, con passaggi inediti, improvvisazioni, cose che non potresti più ascoltare, perché il tuo prossimo live sarà completamente diverso, no? Penso a Sacramento, pezzo che parte con una forma canzone più "canonica" e poi diventa un viaggio, chiusura perfetta per questo lavoro.

Mi interessava chiudere proprio con quel brano lì che è una sorta di commiato che ho scritto dopo l'uscita di Ira ed è probabilmente uno degli ultimi brani cantati, in ordine di tempo. È uno dei due, tre brani che ho scritto in 2 minuti, letteralmente. Mi piace l'idea che alla fine del ciclo di Ira tutto si chiuda con un brano che ha una forma molto tradizionale, ipoteticamente, che però all'improvviso si declina in minore, cade su un accordo minore al centro: in ogni concerto sacramento veniva diversa, ci sono state delle versioni in cui al centro diventava industrial totale a delle versioni in cui usavamo dei sintetizzatori con gli arpeggiatori che lo trasformava in un brano ultrasintetico. Questo per dirti che il materiale che finisce in questo disco è solo una piccola parte di quello che avrei potuto metterci, a un certo punto ho anche valutato di fare un triplo di solo materiale inedito ma non era la cosa che volevo fare, perché a quel punto sarebbe stato davvero il nuovo disco di Iosonouncane, ma il nuovo disco Iosonouncane è il disco che io penso, che lavoro in studio e che ha un'altra natura. Io volevo restituire una testimonianza dell'approccio con il quale ho fatto i concerti in questi due anni, con i sei musicisti con i quali ho suonato, con i quali a volte abbiamo suonato brani tratti dai dischi in maniera totalmente fedele, a volte no, a volte abbiamo improvvisato totalmente, a volte abbiamo eseguito brani che sono rimasti fuori da Ira, o che io avevo iniziato ad lavorare durante IRA, insomma m'interessava restituire un'immagine di questi miei due anni di passaggio. Anche perché è stata una novità per me.

Che novità?

Sono sempre stato additato come uno che vuol fare tutto da solo, anche se poi non era assolutamente vero e in questo caso specifico mi interessava pubblicare un lavoro nel quale è presente tanto materiale che spesso è nato o dall'interazione tra me e i musicisti o da spunti dei musicisti: un brano come Polvere, per esempio, è nato da un'improvvisazione di Amedeo e di Simone durante le prove del tour europeo, mentre io ero fuori a fumare, quando sono tornato e loro stavano facendo quel beat lì, quella pulsazione lì, ci siamo detti che l'avremmo tenuta. Mi pareva la cosa più giusta da fare, perché per me i musicisti coi quali ho suonato non sono dei turnisti, sono persone con le quali ho suonato per tutti gli ultimi anni, ho parlato di musica, ho condiviso i dischi, ho anche in qualche modo costretto a suonare per come io penso da musica, come penso i bit, come penso le scansioni metriche. A furia di suonare con me, hanno iniziato a suonare in qualche modo come me e questa cosa mi ha permesso di cedere a loro una parte del mio controllo sulla scrittura, per quanto limitata ai concerti, però è importante.

Due anni dopo IRA cosa ti resta di quel momento lì? Quanto sei andato avanti rispetto a Ira e in che modo lo hai fatto?

Sono andato molto avanti per quanto riguarda tutta la parte artigianale della lavorazione del suono, nel senso che già un disco come Spira di Daniela Pes ha delle caratteristiche artigianali nella lavorazione ed in determinati aspetti del suono che sono di gran lunga più avanti da un punto di vista dell'acquisizione delle capacità rispetto a Ira. Sono andato molto avanti: con Spira, per esempio, ho lavorato su un approccio opposto a quello di Ira dove avevo voluto proprio stratificare e adottare una sorta di "wall of sound" à la Phil Spector, nel senso che molto spesso le stesse linee, gli stessi temi, vengono eseguiti da diversi strumenti che si muovono in maniera parallela fra loro. C'è un synth che suona nel registro grave, uno in quello medio, uno in quello alto, tutte le voci cantano la stessa linea all'unisono per abbracciare il tutto, l'idea in Ira era esattamente questa. Nel caso di Spira, per esempio, ho lavorato all'opposto e ho cercato di utilizzare il minor numero possibile di suoni per lasciare tanti spazi interni liberi tra un suono e l'altro. Ira rimane l'opera oggettiva Ira, che è stata consegnata e ormai è lontana da me, nel momento in cui la lascio andare, mi stacco, lascio che quel lavoro si oggettivizzi. Ovviamente riascoltandolo sento ancora una grande vicinanza con quelli che sono i brani che dal vivo non abbiamo più suonato dopo l'esecuzione integrale nei teatri, quindi se dovessi dirti in questo momento il brano che preferisco è Soldiers o anche Cri. Mi sono staccato già al punto tale che riguardando il disco, in questo momento, mi incuriosiscono di più le cose che magari due anni fa mi sembravano meno impattanti e quindi che magari prediligevo nel momento in cui dovevo preparare la scaletta per un concerto.

Forse perché le vedi come meno "usurate", come brani su cui puoi lavorare ancora…

Ti faccio un altro esempio, uno dei momenti che preferisco del disco dal vivo è "Buio", in quella versione mi suona completamente nuova e ha delle caratteristiche musicali che non sono né in DIE, né in Ira. Ira è stato un disco molto impegnativo perché si è trattato di scrivere, arrangiare dettagliatamente, produrre, due ore di musica, coordinando sei musicisti, un fonico, eccetera. Lo sforzo emotivo e intellettuale che ha richiesto è stato veramente grandissimo e quando eravamo pronti a pubblicarlo, facendo precedere la pubblicazione dall'esecuzione integrale dal vivo, è scoppiata la pandemia, quindi tutto si è congelato per un anno. Quando lo abbiamo portato dal vivo per me quel disco era già "vecchio" di un anno, dove per "vecchio" intendo che era un po' scemato quel fervore che avevo nelle mani nella primavera del 2020, quando brani come Prison o a Ajar erano appena stati chiusi. Perché io lavoro i dischi in questa maniera: prendo appunti sui testi, per tutti gli anni di lavorazione del disco e li prendo sulla base di piccoli spunti che emergono nel momento in cui scrivo le melodie, però prendo appunti, stratifico, ci penso, continuo a fantasticare su questi testi, ci penso, ci ragiono, prendo appunti, trascrivo, riscrivo e poi negli ultimi tre, quattro, cinque mesi mi gioco tutto in uno sprint finale.

Ovvero?

Inizio a scrivere i testi e li infilo nelle melodie e faccio questo lavoro di intarsio preciso, poi vado in studio e le registro e immediatamente dopo mixiamo, quindi cosa accade? Che dopo anni di lavoro mi ritrovo ad avere il disco completamente nuovo, perché fino a quel momento abbiamo sentito dei brani con delle voci guida che io sono solito registrare bisbigliando: io lo so, ma magari chi non è nel mio cervello, sentendo le bozze, fa fatica a immaginare effettivamente come quella voce deve essere, ma nonostante io lo immagini chiaramente, quando poi sento finalmente quei brani con le voci vere, cantate con l'intenzione giusta, con le parole, tutto diventa nuovo. Quindi, nella primavera del 2020, dopo anni di lavoro, chiudiamo il disco e brani come Prison o Ajar o Ashes suonavano esplosivi, c'era una gran voglia di suonare, ovviamente a distanza di un anno quella cosa lì ti rimane, ma un filino di meno. L'esecuzione integrale, poi, l'abbiamo fatta due anni dopo, nella primavera 2022, quindi la fai, è bellissima, è stato un momento commovente, il tour più bello che abbia mai fatto, però comunque sono passati due anni da quando hai chiuso il disco.

Forse il live a te serve anche a quello, a non annoiarti: a quel punto hai dovuto rimetterci mano quasi come se fosse qualcosa di nuovo, no?

Sì, anche, pensa che quando giravamo in Italia, tra musicisti e tecnici, avevamo una quantità di strumenti tale sul palco che giravamo in 15, quindi con una produzione enorme, perché avevamo tantissimi strumenti. Ovviamente non puoi permetterti di fare una cosa del genere in Europa, quindi ci siamo detti che tutto e tutti dovevamo stare in un furgone, così abbiamo deciso di suonare in tre. La mia premessa, con Amedeo e Simone, è stata: facciamo il tour europeo in tre ma la premessa era che io non volevo assolutamente riaprire i brani di Ira e scervellarmi per capire come suonarli con questa formazione. Non avevo la forza e neanche il desiderio, a distanza di anni, di riaprire in studio le sessioni di quei brani e capire cosa suona, chi suona, come lo può suonare, diventare scemo per capire cosa potevo suonare io, cosa Amedeo e cosa Simone. Quindi la premessa è stata: ci vediamo in studio, allestiamo tutto, proviamo sette, dieci giorni, partendo dal presupposto che il concerto deve essere improvvisato e le prove devono essere improvvisate e cerchiamo da questa improvvisazione di far emergere dei brani, non necessariamente rispettandone le strutture, non necessariamente rispettandone il sound. E questo è stato, è in questo senso qua che avevo bisogno di non annoiarmi. Quando ci siamo trovati sul palco ho detto: Non ci limitiamo a fare la versione ridotta di Ira, ma cogliamo l'occasione e sviluppiamo del materiale nuovo, improvvisiamo con questo set e vediamo cosa succede e se viene fuori del materiale inedito e il materiale inedito è venuto. Io mi rompo le scatole non solo a rifare la stessa cosa, ma anche a essere compassionevole nei confronti dei miei pezzi o paternalistico nei confronti del pubblico quindi se lo dobbiamo fare divertiamoci e io mi diverto se sento che stanno accadendo delle cose nuove.

È questo il motivo per cui non fai Stormi o Il corpo del reato? 

Stormi, così come Il corpo del reato, non le faccio esclusivamente perché per come ho concepito il concerto negli ultimi due anni, secondo me non ci stavano, tutto qua. Credo che fare Stormi  avrebbe spezzato il senso. Ho pensato di farla nei concerti dell'estate scorsa, con la band al completo, ma era già molto complicato preparare il set e non mi andava di aggiungere ulteriore stress anche perché, Stormi, è un brano impestatissimo da suonare con la band, è difficilissima, restituire quel tiro lì è molto difficile perché tutto suona in levare, quindi per arrivare ad avere quel groove ti devi fare un mazzo incredibile.

Vale anche per Il corpo del reato, quindi…

Il corpo del reato nel flusso del tour di Ira, che era dominato principalmente da brani di Ira come Tanca, Buio e anche Carne, non ci stava perché era troppo armonicamente progressiva rispetto ai brani di Ira e l'idea è sempre quella di costruire un flusso che abbia una sua narrazione coerente, una sua poetica e brani come Il corpo di reato e Stormi l'avrebbero spezzata. Questa è la mia sensazione, non è detto che sia giusta, però sono due brani che io rivendico totalmente.

Questa risposta, almeno dà speranza a chi spera di poterle ascoltare in futuro.

Venite al mio prossimo Tour, nel 2030, farò Stormi, però sarò invecchiato terribilmente e dovrò farla un'ottava sotto, sarà la versione da crooner.

Intanto Stormi è diventata un culto, benché sia una canzone che ha avuto un percorso strano, no?

Ma sì, all'epoca non è passata su nessuna radio, nessuno voleva passarla perché dicevano che la voce era troppo acida, era mixata troppo bassa, era troppo strana, aveva una struttura storta, poi, però, quel brano ha camminato per i fatti suoi, non c'è stato un singolo, non c'è stato un video, non c'è stato nulla e questa cosa continua a stranirmi. Il paradosso è che adesso, in realtà, le radio sono piene solo ed esclusivamente di brani in cui la voce è più incomprensibile, acida e bassa di quella di Stormi.

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