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Il ritorno dei Verdena: “Ci divertiamo a non ripetere il passato col nostro pop complicato”

Si chiama Volevo magia l’ultimo album dei Verdena, che segna il ritorno della band a 7 anni dai due Endkadenz.
A cura di Francesco Raiola
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Verdena (ph Paolo De Francesco)
Verdena (ph Paolo De Francesco)

I Verdena tornano a sette anni di distanza dai due Endkadenz, ultimo vero e proprio album, con qualche progetto nel mezzo, come "Split", l'EP in collaborazione con Iosonouncane e "America Latina – music inspired by the film", una raccolta di brani strumentali composti e orchestrati per la colonna sonora dell’omonimo film dei fratelli D’Innocenzo. L'album si chiama "Volevo magia" e c'era molta curiosità attorno a quello che avrebbero scritto Alberto e Luca Ferrari e Roberta Sammarelli, icone del rock italiano, artisti tanto schivi quanto stimati, forse gli ultimi in grado di dare una scossa reale al rock italiano. "Volevo magia" è un album che loro hanno definito, tra il serio e faceto, pop-rock, ma che dentro ha varie anime, dal blues, allo stoner, passando per l'hardcore e qualche ballad, di quelle che sono parte integrante e importante della loro discografia. Come sempre cercare significati didascalici nelle loro canzoni è inutile, non ha troppo senso cercarlo, né chiedere di spiegarlo, anche se si sente sempre di più un impegno negli incastri delle parole, non fosse altro per dare importanza alla struttura e alla ritmo della canzone (e così ci si perde, per esempio, tra assonanze e allitterazioni). Le risposte dei Verdena sono state accorpate come se fossero state date dalla band intera, tranne per alcune troppo personali per essere generalizzate, che sono state attribuite singolarmente.

Come sono nate questa canzoni? Sembrano nate one take.

Alberto: Non sono nate tutte insieme, è stato fatto in due momenti gravemente diversi. Alcuni pezzi sono del 2017-2018 e tanti nel 2020-2021, mentre in pandemia non abbiamo fatto niente: quando c'è stato lo stop non ci siamo visti, poi con l'autocertificazione ci siamo un po' mossi.

Roberta: è stato anche registrato in due modi diversi, forse perché i testi sono stati scritti in poco tempo, anche la composizione dei brani non è mai stata lunga.

Quando avete capito che l'album era finito?

Quando ci hanno obbligato a finirlo, il lavoro avrebbe potuto essere infinito, non andremmo avanti per sempre, ma comunque ci vuole uno che ci fermi.

Roberta: io ho provato a dire stop.

In un mondo di testi didascalici i vostri sono un’immersione in un mondo tutto da costruire. “Mistura, mi stona, disturba e non lo sai, No stesi. Mi struccherò, mani piene d’estasi, come un toast” con l'allitterazione st, ma anche anafore tipo “Mi”. Per non parlare di “Agilmente, reagire all’apnea. Assaggio l’ira, è dolce”. Qui è un chiaro gioco di costruzione del testo. Mi sembra ci siamo molto impegno, che le parole non servano solo a dare colore alla musica, no?

Sì, certo c'è un impegno, forse fare il testo è diventato più lungo che fare la musica, nel senso di ore spese a sentire, riprovare, provi un "forse", il giorno dopo provi un "orse", poi un "gocce" e ogni giorno hai qualcosa da provare e se non ti gusta devi continuamente cercare nuove soluzioni, un po' per il colore, un po' perché non si vuole sputtanare il pezzo, un po' non si vuole neanche troppo far capire che il testo è troppo bello. Troppo bello no!

Possiamo dire che col tempo il lavoro sul testo ha assunto sempre più importanza, quindi?

Sì, sì, sicuramente. Diciamo che da "Wow" in poi è diventato lungo fare i testi, è meno lasciato al caso e quindi ci mettiamo più tempo.

Siete contenti di questo lavoro?

Non lo so, bisogna aspettare. Farà piacere se piacerà ai fan, ci dispiacerà se non piace, però ovviamente abbiamo sempre fatto generi diversi tra disco e disco, è difficile accontentare tutti, ovviamente, i fan di "Requiem", di "Solo un grande sasso" di "Il suicidio dei samurai", i fan di "Wow", di Endkadentz, sono tutti diversi. Poi, ovviamente, è ancora un po' presto per dare un giudizio obiettivo, la prima prova del nove sarà suonarli dal vivo, vedere come li suoneremo sul palco, sia la reazione del pubblico e il secondo test sarà sul lungo raggio, tra un anno.

Blues, stoner, hardcore, metal, poco pop, come mai tra le tante etichette possibili lo avete definito Pop-Rock?

Sul genere non dovremmo essere noi a dare etichette, per noi è difficile, abbiamo detto pop-rock per dire qualcosa. È rock, ma facciamo anche pop, ci proviamo con la melodia della voce. Poi effettivamente la forma pop non esiste. Il pop è una cosa easy listening, ma noi facciamo l'easy listening complication.

Mancate da sette anni, praticamente era appena uscito XDVR e non c’era ancora Ninna nanna di Ghali. Come ci si confronta con questo nuovo mondo discografico?

Non credo che l'arrivo di Sfera Ebbasta abbia influenzato sulla stesura dei Verdena.

Chiaro, era un modo per dire che la discografia è completamente cambiata…

Alberto: Beh, io ho provato a fare testi come Sfera Ebbasta, tagliando le parti finali, però no, con noi non sta benissimo.

Siete cambiati voi come fruitori di musica, invece? Ha avuto effetto sulla vostra musica?

Roberta: per quanto mi riguarda no, perché negli ultimi sette anni non ho ascoltato nulla di nuovo, se non quello che mi costringono ad ascoltare le mie bambine, ma hanno quattro anni.

E cosa ti costringono a sentire?

I Pinguini Tattici Nucleare, Colapesce… Lui lo conosciamo, è un collega di agenzia, ci siamo incontrati, l'avevamo anche visto dal vivo ma non mi ero mai soffermata, poi ho ascoltato il disco con Dimartino ed effettivamente mi è piaciuto. Ma quella è stata un'eccezione, Alberto forse è quello più aggiornato.

Alberto: io ho ascoltato Sfera, Ghali, perché mio figlio era super invasato, anche se adesso non ne ascolta tanto.

E dei Verdena che pensano?

Alberto: Pensano che siamo cringe, io sono super cringe, l'imbarazzo totale.

Pensavo che ci fosse ancora questo mito della chitarra, degli strumenti, anche ascoltando altro.

Roberta: Non credo che per i giovani d'oggi la chitarra sia un simbolo.

Alberto: però questa cosa della chitarra è importante, perché quando la metto in mano ai miei figli loro iniziano a suonarla così (fa una sorta di air guitar, ndr), saltare di qua e di là, muovendo la testa, però non hanno una reale fascinazione. Quando erano piccoli e tornavo a casa dal tour non volevano vedere strumenti. Per adesso è così, poi magari non sarà per sempre così.

Cosa vi hanno scritto i fan in questi anni? Abbiamo letto che vengono a cercarvi a casa.

Ogni tanto arrivavano, ma spesso non ci beccano, quindi a volte trovi biglietti, qualche birretta. Poi capita pure che li becchiamo…

Qual è la cosa che più bella che vi hanno scritto?

Un numero di telefono e ‘Vogliamo conoscervi" scritto sulla porta della sala prove, maledetti! Sarà stato Riccardo (Zanotti dei Pinguini, ndr) con i suoi amici…

Ma siete amici?

No, in realtà non ci conosciamo, ma loro sono più giovani di noi, sono di un'altra generazione. Però lui è di Albino e anche io sono di lì vicino.

Quanto vi diverte fare musica? E cosa vi diverte ancora del fare musica?

Ci diverte il suonare, ci ha divertito il fatto di cercare di tirare assieme delle canzoni che però non fossero troppo legate al passato, che cambiassero in qualche modo qualcosa. Abbiamo utilizzato dei loop, anche in fase di scrittura, come se fossero stati un quarto musicista che faceva sempre la stessa cosa: c'era sotto questo loop, noi ci jammavamo sopra e ci abbiamo costruito un po' di brani, tipo in "Cielo super acceso" questa cosa si sente fino alla fine. Però diciamo che come sempre ci piace suonare e cercare di tirare assieme qualcosa di bello, sembra banale ma non è così semplice.

Luca: a me piace la stranezza, cercare di fare cose strane che stupiscano me stesso, non il pubblico.

In un’intervista a RS avete detto che forse non andare a Sanremo, in passato, è stato un errore. Da un lato sembra che vi preoccupi l’idea che date all’esterno, poi date questa risposta, andate a X Factor… Ve ne frega qualcosa di ciò che si pensa di voi?

Beh, un po' sì, perché no, ma fino a un certo punto.

Ma Sanremo alla fine l'avreste fatto?

Sì, avremmo voluto ma non è mai capitato nel momento giusto, il rimpianto era quello. Quando ce l'hanno chiesto non potevamo, non avevamo la testa per farlo, anche se tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare. Magari possiamo dire così, adesso, poi arriva il momento in cui te lo chiedono veramente e non vai.

E se vi chiamasse Amadeus oggi, avreste una canzone per Sanremo?

No, vedi, bisognerebbe avere una bella canzone, non vorremmo andare per andare. Se ce l'avessero chiesto in un momento in cui stavamo componendo e avessimo avuto la canzone, perché no.

Quale magia vorreste oggi?

Che arrivasse un mago e togliesse tutte le armi dal mondo.

In questi giorni si vota, qual è il vostro rapporto come artisti rispetto a un impegno politico?

Vogliamo essere totalmente estranei, sono due mondi paralleli, come identità di band.

Non invitereste a votare?

No, sarebbe incoerente da parte nostra.

Come vi state preparando per il live e che sensazioni avete?

La risposta è che ci stiamo facendo sotto, stiamo facendo le prove e siamo spaventati all'idea. Le prove stanno andando bene, ancora non sappiamo quale sarà la formazione, stiamo valutando se fare intervenire un quarto musicista sul palco. Abbiamo fatto le prove, negli ultimi mesi in tre e le cose escono, questo non mi preoccupa, però salire sul palco dopo molti anni spaventa. Non parleremo con nessuno, a stento tra di noi.

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