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Il jazz dice addio ad Amiri Baraka, intellettuale che raccontò la cultura afroamericana

È morto a 79 anni Amiri Baraka, una delle figure più importanti e controverse della cultura afroamericana, autore, tra l’altro del saggio “Il popolo del blues”
A cura di Francesco Raiola
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Amiri Baraka, nato Everett LeRoi Jones, intellettuale, poeta, scrittore e musicista americano è morto, secondo quanto riporta il Los Angeles Times, giovedì 9 gennaio all'età di 79 anni. Avevamo scritto di lui pochi mesi fa, in occasione della sua presenza al Roma Jazz Festival dove si era esibito in un reading accompagnato da un gruppo formato da René Mc Lean al saxofono contralto, D.D. Jackson al pianoforte, Calvin Jones al contrabbasso e Pheeroan akLaff alla batteria.

Baraka è stata una delle figure fondamentali delle lotte di rivendicazione del popolo afroamericano diventandone una delle voci maggiori e più rispettate. In Italia è conosciuto grazie alla traduzione di una delle sue opere maggiori, ovvero, "Il popolo del blues" (prima Einaudi, poi Shake), in cui ripercorreva la storia afroamericana attraverso la musica. Fin da giovane si era distinto per il suo anticonformismo, come quando era stato espulso dall'Air Force per aver letto testi comunisti. Dopo una laurea alla Columbia diventò una delle figure fondamentali del movimento "Beat" di cui scrisse e pubblicò testi nella rivista "Yugen" in cui scrissero, tra gli altri, autori importanti come William S. Burroughs, Allen Ginsberg, Gregory Corso e Jack Kerouac.

Cambiò il proprio nome in seguito all'assassinio di Malcom X per poi legarsi al Black Arts Movement, movimento vicino alle Black Panther. Negli anni '80 cominciò a insegnare all'Università Statale di New York e fino al 1994, anno in cui smise, fu professore in varie Università, compresa la Columbia. È stato autore di una ventina di raccolte di poesia, ha inciso dischi, scritto testi teatrali, diverse opere-jazz, pubblicato otto volumi di saggi, un paio di romanzi, parecchi racconti e, in qualità di performer, ha collaborato con i maggiori jazzisti americani, raccontandone le gesta e la vita. 

Per capire la sua idea tra la correlazione tra musica jazz e rivendicazione razziale Jones scrisse, ne "Il popolo del blues", che "La più espressiva musica negra di qualsiasi periodo è l'esatto riflesso di ciò che il negro è in quello stesso periodo, riflette le sue convinzioni su se stesso, sull'America e sul mondo" e spiegò che "la musica negra che si sviluppò negli anni Quaranta era qualcosa di più della manifestazione fortuita di un mutamento sociale: essa era il risultato di consapevoli tentativi di sottrarre l'espressione artistica al pericolo di venir inghiottita nella corrente generale, o anche solo ‘compresa'. Per prima cosa questi giovani musicisti incominciarono a considerarsi musicisti seri, artisti, non semplici esecutori, e questo atteggiamento cancellò dal jazz l'etichetta (protettiva e restrittiva a un tempo) di ‘espressione popolare'. Musicisti come Charlie Parker, Thelonious Monk e Dizzy Gillespie furono ricordati, in tempi diversi, per aver detto: ‘Non mi importa se tu ascolti la mia musica o no'".

Nonostante le sue opere controverse il ruolo intellettuale e storico di Baraka non è mai stato messo in discussione. E oggi il mondo della cultura (e non solo afroamericana) perde uno dei suoi testimoni più importanti e influenti.

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