126 CONDIVISIONI

Il dream pop ‘napoletano’ dei Mirabel: ‘Un sogno nel cassetto diventato realtà’

Riccardo Abbruzzese è un musicista napoletano che, dopo l’esperienza con gli Atari, si è lanciato in un progetto dal nome Mirabel, che in questi ultimi mesi ha fatto uscire un Ep e alcuni singoli.
A cura di Francesco Raiola
126 CONDIVISIONI
Immagine

Chi bazzica un po' la scena indipendente, non solo quella napoletana si sarà confrontato, in passato, con gli Atari, band che mescolava sonorità pop all'elettronica. Di quel gruppo facevano parte Alfredo Maddaluno e Riccardo Abbruzzese, il quale dopo lo scioglimento della band si è posto un po' di lato rispetto all'industria, ma non alla musica, che resta uno degli amori della sua vita. E così tra varie collaborazioni (Valderrama 5, Fitness Forever etc), il musicista ha coltivato – oltre a una passione per il tè, diventato anche un lavoro – un progetto dal nome Mirabel, di cui, in questi ultimi anni, ha sparso indizi e note soprattutto su Facebook, e la cui attività in questi ultimi mesi ha cominciato a farsi più intensa. Nei mesi scorsi è uscito un Ep di sei pezzi che vi getta con tutti i panni nelle sonorità dream pop e (quindi) psichedeliche, mentre a dicembre è uscito anche il video del singolo di ‘She loves a guy' che si fregia della partecipazione oltre che dell'ex sodale negli Atari anche di artisti come Carlos Valderrama, aka Gaetano Scognamiglio, mente, tra le altre cose, dei Fitness Forever, Andrea De Fazio (Fitness Forever e Erlend Øye) e Alessandro Innaro (Epo, 24 Grana).

Gli abbiamo fatto qualche domanda per capire a che punto è Mirabel.

Dagli Atari a Mirabel: cosa è successo nella tua vita in questi anni?

È successo molto, ma non è questo il punto, Mirabel è un progetto che conservo da molto tempo, era nel cassetto delle idee, le canzoni che buttavo giù quando tornavo da un tour. Anche se all’inizio non avevo intenzione di diffonderle, ma rappresentavano solo il mio irrefrenabile bisogno di scrivere. La pausa degli Atari e l’incoraggiamento degli amici mi hanno convinto a tirare fuori queste canzoni.

Non hai abbandonato la musica, però ti sei fermato discograficamente: come mai?

Benché se ne dica molto sul fatto che oggi sia facile fare un disco, che basta avere un computer e cose del genere, io sono di un altro avviso. Fare un disco per me significa innanzitutto avere le idee chiare su quello che si vuol fare e non mettere insieme qualche canzone e lanciarsi nella mischia giusto per il gusto di esserci. Io fino ad ora ho preferito non esserci e riflettere bene su quello che volevo fare. Una buona pausa può fare molto bene alla creatività ed alla maturità artistica di una persona.

Parlaci del progetto Mirabel, di cui posti grafiche e musica da un po’, ma che non ha ancora trovato una forma (discografica) definitiva.

In effetti sì, ho iniziato a lanciare i semi molto prima della sua diffusione, ero curioso di sapere quale sarebbe stata la reazione della gente, abituata a vedermi in altre vesti, a sentirmi in altri suoni. Quello che ho lanciato era un’estetica, immagini e musica che riportano ad una psichedelia che non si allontana dal pop della forma canzone. Nella “discografia” ci credo poco ormai, troppi meccanismi, troppi rapporti di interesse. Mi basta suonare. Ovviamente una label faciliterebbe molto la diffusione del progetto e non nego che se arrivasse qualche proposta da etichette serie valuterei volentieri l’ipotesi di collaborarvi, ma l’assenza di questa non credo sia un buon motivo per tacere.

Il primo singolo è ‘She Loves a Guy’, piccolo gioiellino pop che si fregia della partecipazione di alcuni tra i migliori musicisti napoletani: a parte le telenovelas sudamericane del video.

Una buona canzone, resa ancor meglio dalle persone che mi hanno accompagnato nella sua realizzazione. Il video è una mia mania, un modo per esorcizzare il passato.

I paragoni non sono mai belli, ma a volte aiutano, chi legge, a capire di cosa parliamo. Io dico Kings of Convenience o comunque un Erlend Øye più psichedelico, tu?

Non mi spaventano più i paragoni, ormai conosco voi giornalisti :D e comunque dico anche io Erlend Øye, ma quello di The Whitest Boy Alive, soltanto per ‘She Loves a Guy'. Confesso senza problemi che è una mia dichiarazione d’amore alla sua musica o forse una proposta cantata di collaborazione.

Qual è il prossimo futuro?

Per ora posso solo annunciare un concerto di presentazione dell’EP al Cellar Theory di Napoli il 5 febbraio, poi procederemo passo dopo passo e raccoglieremo quello che il caso ci regalerà. Spero di fare tanti concerti e di iniziare a pianificare a breve la registrazione di un nuovo lavoro che ho già pronto.

Suoni e hai suonato in varie band, alcune sono un vero e proprio culto: cosa vedi se ti guardi attorno? Sia a livello nazionale che a livello locale.

Suonare in altre band, molto diverse tra loro, mi ha dato la possibilità di confrontarmi con generi e stili differenti e soprattutto con musicisti bravissimi che mi hanno insegnato tanto. Sulla situazione nazionale e locale mi viene da dire la stessa cosa, rischiando di essere anche un tantino polemico, c’è tanta bella musica in giro, ma c’è poca curiosità da parte della gente e poca voglia di rischiare da parte di molti addetti ai lavori. Si è smarrito il senso della parola underground o lo si è associato ad un mainstream di dubbio spessore.

Come detto non hai un’etichetta ancora e immagino non sia semplice riuscire ad arrivare a molte persone. Quali sono le difficoltà maggiori che hai riscontrato musicalmente in questi anni?

La difficoltà di diffusione della musica indipendente è sempre esistita, ma come dicevo, siamo cresciuti con la musica di artisti che hanno navigato per decenni nell’ombra ed arrivando comunque al cuore della gente. Ho orrore dell’equazione classica etichetta cool=artista interessante, è solo pigrizia. Io sono appassionatissimo di alcune band che non hanno mai varcato grandi confini, ma che grazie alla rete sono arrivati a casa mia. Penso ai Night Manager, agli Stone Darling, Mars Water o ai Surf Curse. Si tratta di un orribile paradosso, il momento storico in cui c’è più musica ed infiniti modi per fruirne ed il pubblico più pigro e meno curioso di tutti i tempi.

Un po’ di tempo fa, con gli Atari faceste parte di un progetto per celebrare i 60 anni di Bowie. Come mai sceglieste Hallo Spaceboy? E cosa è stato Bowie per te?

Cosa potrei aggiungere a ciò che è stato già detto su Bowie? Fa parte di quella schiera di divinità musicali dai quali non si può prescindere, come Lennon, Wilson, Byrne, Fripp… L’esperienza per ‘Repetition Bowie' con la Midfinger fu molto bella e diede a noi Atari, (ancora semi-sconosciuti) la possibilità di dimostrare che esistevamo, infatti il nostro album d’esordio non era ancora stato pubblicato e quello fu il primo approccio con quello che poi sarebbe stato il nostro mondo per alcuni anni. Sul perché scegliemmo Spaceboy non è difficile capirlo, chi ci ha conosciuto dagli inizi si ricorderà le nostre performance sul palco muniti di occhialini spaziali ed un sound elettronico minimale che richiamava l’estetica sci-fi degli anni 80, poteva esserci scelta più adeguata?

A un certo punto della tua vita, mantenendo sempre saldo l’amore per la musica, hai scelto di mollare il lavoro che avevi per aprire una sala da tè. Ci racconti anche questa avventura? Hai avuto le stesse difficoltà imprenditoriali incontrate nella musica?

Eheh, nutro per il tè una forte passione e non starò qui a dilungarmi sulle infinite motivazioni. La sala da tè è stata solo una tappa, un primo tentativo di diffondere una cultura ricchissima ed estremamente affascinante. Purtroppo siamo in pochi ancora in Italia a condividere questo interesse, per cui escluderei la parola “impresa”, sarebbe un suicidio. La mia, e quella delle persone che mi hanno accompagnato in questo favoloso mondo, è solo volontà di trasmettere alle persone quanto di più bello ci sia intorno alle cose che ci emozionano. Credo sia lo stesso concetto che applico alla musica. Io bevo tè e continuerò a farlo sempre, indipendentemente dall’interesse che le persone possano mostrare… ci siamo capiti?

126 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views