Il concerto con cui ho detto addio a Ligabue
C'era qualcosa in sospeso tra me e Ligabue, dovevamo risolverla, prima o poi, e il suo ritorno in tour dopo i problemi alle corde vocali è stata l'occasione definitiva per mettere un punto.
Ho quasi 30 anni, con due conti facili si deduce che sono stato adolescente nel periodo in cui Ligabue godeva di quel credito assoluto che, presso di me, ragazzino in cerca di riferimenti e con pochi punti fermi, si trasformava in una forma di totale idolatria. Il mio filtro percettivo ricorda un artista in stato di grazia, capace di trasformare in oro qualsiasi cosa toccasse. Una parabola venerativa, la mia, giunta al suo apice con "Giro d'Italia", doppio album live del 2003 che giace in casa mia, cd ricchi di graffi autentici, tracciati dall'usura. Non spaccature da incuria, ma rughe d'esperienza.
Dopo quelle vette altissime è successo qualcosa, che ancora non so cosa, capace di interrompere quella corrispondenza di amorosi sensi (di certo a senso unico) e mettere in crisi la relazione e il mio trasporto verso di lui. Un misto di una sua sovraesposizione mediatica, influenza dei pregiudizi altrui e, questo forse più di tutto, un processo di maturazione mio personale, ha riportato Ligabue sulla Terra. L'imprevedibile normalizzazione di quella poetica che tanto mi aveva affascinato e coinvolto, della scrittura secca ed efficace, delle parole dirette che nascondevano il mondo di Ligabue animato da personaggi che sentivo vivi e così efficacemente riprodotti nei suoi film da regista, hanno significato la prima disillusione della mia vita. Senza che mi rendessi conto del come e del perché, la figura di un cantante che aveva in qualche maniera addomesticato i miei sentimenti, regolato le mie prime cotte e che mi aveva indicato le cose del mondo attraverso determinati parametri, si stava sgonfiando clamorosamente.
Capisco oggi che il problema era il modo in cui lo percepivo, perché credo che Ligabue abbia affrontato con grande consapevolezza e a testa alta la curva di calo fisiologico che un artista deve percorrere dopo un periodo esplosivo, come è stato il suo tra la fine degli anni '90 e i primi 2000. Ci è riuscito così bene che, ad oggi, quel calo ipotetico non ha riscontro effettivo nei numeri, ma più nella percezione comune di alcuni fan della prima ora e osservatori vai. D'altronde la natura effimera della vita da star è qualcosa che Ligabue ha scandagliato in diversi pezzi celebri, "Tra palco e realtà" e "Non dovete badare al cantante" su tutti. Per dirla con un lessico che associo a lui, è una roba che Luciano pareva aspettarsi. Per questo non l'ho mai rinnegato.
Quanto al mio calo d'attenzione nei suoi confronti, non sono mai arrivato a minimizzare la mia passione di un tempo e deriderla come si farebbe per le cose che ti deludono in quanto colpevoli di non aver confermato le tue aspettative. Come in quelle storie che finiscono perché si decide che, se pure importanti, non possano durare per sempre, d'improvviso ho imparato ad accettare con serenità che Luciano Ligabue non potesse più dirmi nulla di quello che avrei voluto sentire. Non penso di essere stato il solo, al crepuscolo dell'adolescenza, a vedere sgretolarsi davanti agli occhi il proprio idolo, né tantomeno il solo che avesse per mito il cantautore emiliano.
Però il parallelismo sentimentale viene ancora in mio aiuto per rendere l'idea di quanto successo al concerto di questo tour che si è appena concluso. Un evento durante il quale la mera curiosità nostalgica delle prime battute si è tramutata, proprio grazie a quella nostalgia, in un entusiasmo a tratti commovente e incontrollabile. Non solo ho ritrovato geometrie e schemi musicali memorizzati in quell'età che tutto fissa, ma si è riaperto il sipario su quel palcoscenico fatto di provincia, bar sgangherati, improbabili locali con clienti altrettanto improbabili. "Barakka", si legge sui maxischermi, compare Accorsi, il concerto è accompagnato dalle immagini sugli schermi di Made in Italy, terzo film di Ligabue, e capisco che lui è tornato a guardare al suo mondo con l'occhio vivo che mi aveva attirato nella tela tempo fa. Un mondo attempato, canuto, ma rivitalizzato dalla maturità. E allora mi concedo a lui, un'altra volta, disinibito come un tempo, senza remore, conscio che possa trattarsi dell'ultima volta.
Il concerto mi aiuta a rimettere insieme i pezzi, riordinandoli al fine di riporli in teca, per esporli. L'ultima e poi basta, perché la serata inaspettatamente splendida non può voler dire ricominciare, tornare ai fasti di un tempo. È stata necessaria un'altra notte nel segno dei ricordo, necessaria per chiudere i conti e permettermi di dire definitivamente addio, con serenità, a quell'idea di Ligabue che ho sempre avuto nella testa. Senza escludere che in futuro possa essercene un'altra…