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I Pinguini Tattici Nucleari sono la sorpresa del pop italiano: “Ce ne fottiamo dei generi musicali”

Si chiama “Ahia!” il nuovo Ep dei Pinguini Tattici Nuclerai una delle band più sorprendenti di questi ultimi anni, in grado di conquistare numeri in streaming, numeri reali e anche il Festival di Sanremo, dove sono stati protagonisti nel 2020. Contestualmente Riccardo Zanotti ha anche pubblicato un libro dallo stesso titolo.
A cura di Francesco Raiola
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C'è una band che da qualche anno si aggira nel mondo musicale italiano riuscendo, nonostante non faccia trap e grazie a un lavoro enorme musicale, a conquistarsi sul campo i galloni di pop band italiana più apprezzata del Paese, stando ai numeri e non solo. Fino all'inizio del 2020 i Pinguini Tattici Nucleari erano una sorpresa solo per chi non navigava le acque della musica pop italiana, ma Sanremo è servito soprattutto a permettergli di aumentare ancora di più la loro visibilità e suonare su un palco che li ha incoronati come una delle sorprese migliori del panorama pop italiano di questi ultimi anni. Senza urlare, ma con un lavoro enorme e tanta costanza la band bergamasca è riuscita a tenersi costantemente nelle posizioni alte della classifica per tutto il 2020 e chiuderà l'anno come una delle più ascoltate del Paese. Prima della fine dell'anno, però, i PTN hanno voluto sorprendere tutti con un album, "Ahia!" che fa il paio con il libro scritto dal cantante Riccardo Zanotti, publicato da Rizzoli.

Partiamo da "Ahia!" che riassume l'anno ed è una parola dai vari utilizzi. Tu non usi parole a caso, come mai questa riassume il vostro pensiero?

"Ahia" per me è una parola affascinante per tanti motivi: il primo è fonetico, è una parola semplicissima da pronunciare, la possono pronunciare i bambini e gli anziani, è un collante estremamente democratico e questa immediatezza fa scaturire delle riflessioni, è una parola pop oltre che democratica, in più è una parola che descrive perfettamente questo periodo storico. Chi non ha pensato ahia! quando ci sono stati i lockdown, i DPCM. Poi non se ne trova l'origine, non c'è un'etimologia, come se fosse stata donata da un ordine superiore, per questo ho pensato fosse la parola perfetta, nonché una parola a cui non pensiamo spesso.

A proposito di parole, quando ho letto Vans, Guns, Avances e DAMS mi sono chiesto da dove sia nata l'idea di questa sequenza di rime non proprio comune.

Io, il mio fonico Marco Ravelli e Giorgio, un amico, eravamo davanti al computer, a un certo punto abbiamo buttato giù questo beat e ascoltando Bea Miller, cantante che ci piace molto, ci siamo detti, perché non fare delle metriche spezzate, diverse, un po' trappeggianti, un po' urban? La canzone di riferimento per la strofa si chiama "Feel something" di Miller, una canzone che ha proprio queste metriche serrate. E a quel punto abbiamo detto, proviamo a buttarci dentro delle parole in italiano, fare qualcosa di nostro ma prenda ispirazione e quando ti trovi a fare delle metriche molto serrate, delineante, precise, hai bisogno di parole che riescano a stare dentro queste metriche, quindi se hai una parola corta è sempre preferibile, riesci a non spezzarla.

Se no finisci a fare le cose alla francese, con l'abbreviazione delle parole…

Esatto, quella cosa è figa, molto cool, ma non è quello che volevamo fare, volevamo essere più canonici. Questo canone e questa voglia di essere pop e di rispettare ogni singola parola mi ha costretto a cercare delle parole che fossero perfette, giuste, ma potessero trasmettere quello che volevo, per questo per finire il testo ci ho messo un po' di tempo. Però il bello, quando scrivi, è anche darti delle regole mentali e cercare di superare queste sfide che ti poni da solo.

Si vede, ascoltando i PTN che la parola è qualcosa che ti diverte, in effetti.

Mi appassiona la parola da quando sono nato, già da piccolissimo fingevo di saper scrivere e mi pasticciavo interi quaderni con caratteri cuneiformi, senza alcun significato, fingevo di essere scrittore e passavo ore a farlo. Quando poi ho imparato a scrivere mi sono reso conto di quanto fosse più congeniale, per me, comunicare tramite la forma scritta o cantata che non parlando con gli altri, ero piuttosto timido, specie alle elementari: scrivevo storie o disegnavo, mi rifugiavo nell'arte.

Da lì quindi nasce il tuo primo romanzo?

In effetti anelavo da tempo l'esperienza del romanzo e adesso sono riuscito a realizzarla.

E l'idea di uscite insieme nasce fin da subito o il progetto si è unito successivamente?

Alcune canzoni sono nate nella loro forma embrionale anni fa, ma non c'era l'idea di unirle, l'anello di congiunzione l'ho trovato durante il lockdown, cambiando anche alcune cose di quelle canzoni. Poi nel giro di tre mesi ho scritto il romanzo. Un po' mi è servito per mettere insieme e ordinare tutti i miei pensieri, mi ha fatto da leggenda per le canzoni: più andavo avanti col libro più mi venivano in mente cose da dire nelle canzoni che non ero riuscito a dire bene o non avevo detto per nulla. Per questo ti dico che le canzoni, con un occhio al romanzo, sono cambiate diverse volte negli ultimi mesi.

La scelta dell'Ep è nata perché le canzoni uscite erano quelle e basta?

No, la scelta dell'ep è stata volontaria e consapevole: avevamo quattro, cinque canzoni in più registrate, ma secondo me quando puoi permetterti di scartare qualcosa significa che stai molto bene con te stesso, che non devi per forza buttare fuori roba e questa cosa la capiscono anche i nostri fan. Nel caso specifico semplicemente non eravamo convinti di certe canzoni, non pensavamo potessero sposarsi benissimo col concept dell'album e le abbiamo messe in cantina per farle uscire in tempi più maturi.

È il vantaggio dei tempi digitali che viviamo, quello di poter uscire più spesso, senza troppe limitazioni. Penso anche a un vostro collega come Lauro, con tre album in un anno.

È una cosa bella perché l'iter è cambiato completamente, quello che ha fatto Lauro era impensabile nell'epoca dei singoli, in cui un singolo ti rimane fuori sei mesi, sono pochi gli artisti che possono essere così prolifici e far uscire qualcosa senza troppi motivi, se non un motivo artistico. Questo periodo difficile ti fa pensare tanto, ragionare tanto ed è lì che nasce l'arte e se non la fai uscire in quel momento lì rischi di non sentire più l'urgenza creativa.

Ormai pare che tu stia molto dentro al meccanismo della scrittura di una hit, senza essere stretto nelle maglie, però, del tormentone. Come succede?

Io sono fortunato perché nasco onnivoro, non mi è stata impartita alcuna educazione musicale, non ho collezioni di vinili e cd vecchi in casa, ho solo i cd che ho comprato io, anche nelle collane in edicola, per dire. Però questa cosa mi ha aiutato perché, scevro da ogni preconcetto musicale, ho ascoltato sempre tutti. L'occhio di riguardo, però, andò ai Queen che sono il mio modello principale, una band che è cambiata molto negli anni, ha fatto tante cose diverse, perché erano in grado di prendere ogni linguaggio musicale nuovo che si sviluppava a cavallo tra 70 e 80 e lo facevano loro e secondo me è quello il modo di concepire la musica: "We are the champions" è completamente diversa da "Another One Bites the Dust", che gli consentì di spaccare negli Usa, dove aveva fatto molta fatica. "I want to break free" li fece andare molto forti in Sud America, perché c'era un'enorme voglia di libertà e quella canzone fu elevata a simbolo, insomma il pop descrive anche i moti di un popolo. Ora io non ho la pretesa di farlo, ma provo con la mia musica a essere il più riconoscibile possibile.

Cosa manca al panorama italiano e come siete riusciti a incunearvi in questo mondo?

Secondo me c'è questa atavica repulsione o paura per il crossover. In Italia siamo molto bravi a pensare la musica per compartimenti stagni e di conseguenza un artista trap lo si immagina così, se fa qualcosa fuori viene visto sotto una cattiva luce, idem per chi fa pop, mentre noi ce ne siamo sempre un po' fottuti dei generi musicali: crossover significa saper attraversare i limiti imposti dal proprio genere musicale, per dire, quando attraversi la strada è vero che rischi di essere investito, ma se non lo fai mai rischi di essere costretto a guardare un panorama identico per tutta la vita.

Che poi questo dell'abbattimento dei generi è una questione anche molto generazionale, i ragazzi oggi non pensano più per categorie così strette.

Siamo passati in poco tempo dall'epoca dei miti, dei Vasco, dei De Gregori, all'epoca dei meeting: adesso siamo chiusi in casa e abbiamo a disposizione online tutto quello che vogliamo, quando vogliamo e possiamo ascoltare centomila generi diversi. Secondo me questa indigestione non è una cosa cattiva, anzi. Per quanto mi riguarda, avendo questa idea della playlist creata da me è anche più facile passare da un genere all'altro nel giro di pochissimi secondi, quindi l'ascolto fa derivare anche una consapevolezza creativa di questo genere. Siamo music fluid, si combatte affinché non ci siano più differenze di genere, non ci sono più le sottoculture che c'erano un tempo, anche solo 10 anni fa. Ci sono generi diversi ed è giusto che si preservino, ma è giusto anche che c'è gente che prova a contaminare e uscire perché se no la musica non progredisce mai.

Senti, per citarti, insomma, speriamo che la Pasqua 2021 non sarà come la Pasqua 2020, no?

Ho una gran paura che possa esserci quella possibilità anche se spero di no. Già questo Natale sarà pesantissimo per tante persone, ma l'augurio è che si possa vivere una Pasqua normale e che si possa anche riprendere con i live, per quanto riguarda il mio mestiere, perché senza live ti confesso che è un mestiere molto duro.

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