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I Nu Genea sono un errore nel sistema musicale: il loro successo dimostra che c’è ancora salvezza

I Nu Genea riempiono le arene italiane con una festa che affonda le radici nella loro musica fusion che pesca nel mediterraneo. Sono un bug nel sistema musicale italiano e per fortuna funzionano benissimo.
A cura di Francesco Raiola
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Il Bar Mediterraneo dei Nu Genea (ph Fanpage)
Il Bar Mediterraneo dei Nu Genea (ph Fanpage)

I Nu Genea sono un bug del sistema musicale italiano, qualcosa di così poco italiano, come direbbe Stanis La Rochelle. Sono quella band che inaspettatamente riempie l’Italia di sold out da migliaia di persone alla volta. Inaspettatamente, ça va sans dire, non per il loro valore, visto che sono una delle migliori band italiane e una delle migliori da esportazione, ma solo perché in Italia non capita così spesso che una band che fa della ricerca la propria spinta, così lontana dall’hype mainstream, che pesca da tradizioni da no considerate sempre di nicchia, riesca a riempire arene e palazzetti di gente e bellezza. La band di Lucio Aquilina e Massimo Di Lena ha trovato un suono fresco, world, che non molla nulla delle loro radici partenopee, ma come nella migliore tradizione le bagna completamente nel Mediterraneo, dal Nord Africa al Medio Oriente, in quella zona in cui pesca in maniera incredibile l'Habibi Funk, label di stanza a Berlino (dove, non a caso, sono nati i Nu Genea) che riscopre il meglio del pop mediterraneo.

Il concerto dei Nu Genea è uno spettacolo che tutti dovrebbero concedersi almeno una volta. Tutti quelli che amano la musica, che non amano gli schemi, che vogliono vedere cosa voglia dirsi divertirsi e divertire. Un grande tuffo nel loro Bar Mediterraneo, fatto di brani più "canonici" e lunghe suite, di canzoni diventate un grande classico pur fregandosene delle mode. È il Neapolitan sound che ogni tanto torna assumendo forme diverse attorno a un canone preciso, che possiamo riassumere come fusion. Lo sapevano bene James Senese, Pino Daniele, Tony Esposito, più recentemente gli Almamegretta e i 24 Grana: sapevano che esiste una vastità di suoni mediterranei da poter usare e mescolare unendola alla tradizione partenopea. E così il blues, il funk, il pop, il jazz e successivamente rap e trip hop si sono mescolati al Mediterraneo, a dimostrazione che quando un progetto ha sostanza può anche raggiungere tante persone seguendo percorsi alternativi a quelli canonici.

Al botteghino si vedono tante persone alla ricerca di un biglietto, introvabile da tempo, ormai. C'è chi non si arrende e tenta di capire come fare per entrare, finché si sente qualcuno dire "Inutile, non li tengono manco i bagarini". Giusto per rendere l'idea di come questo rito underground sia più grande di quello che qualcuno possa aspettarsi. Non fanno enorme rumore i Nu Genea, ma portano tante persone ai live, sia in Italia che all'estero; sembra quasi di rivivere i fasti dell'indie a cavallo del 2010, quando vari artisti erano in grado di spostare migliaia di persone ai propri concerti, riempire palazzetti, senza l'attenzione dei grandi media e del grandissimo pubblico che talvolta continuava a ignorare un movimento che è cresciuto fino a farsi mainstream. Erano artisti che facevano musica lontana da quello che era il canone riconosciuto, spesso anche meno contaminato di quello della band napoletana, ma che avevano costruito forti fandom.

Il concerto all'Arena Flegrea di Napoli ha dimostrato ancora una volta che Aquilina e Di Lena hanno toccato corde importanti ed è stato una summa di quello che possono fare sul palco. Due ore di musica, uno spettacolo che ha visto salire sul palco gli ospiti del loro ultimo album (pubblicato da Carosello Records). Circa sei mila persone completamente perse nelle atmosfere del loro Bar Mediterraneo, con la cantante Fabiana Martone a fare da presentatrice, intrattenendo il pubblico, tenendolo sempre sulla corda e presentando gli ospiti: la cantante francese di “Marechià” Celia Kameni, l'ing. Di Lena, che sul palco ha nuotato come nel video, il musicista polistrumentista Marco Castello, le coriste Federica Mottola e Annalisa Madonna, il cantante e musicista tunisino Ziad Trabelsi (voce, oud) e il coro di bambini del 69° Circolo Didattico Stefano Barbato (dirigente scolastico professoressa Maria Incoronato), diretto dalla maestra Elisabetta Visco che ha dato il la alla serata con una bella versione di Vesuvio.

La scaletta conta 16 pezzi, il concerto dura due ore, si apre con la loro cover di "Vesuvio", appunto, suona tutte le sfumature della loro musica, da Praja Magia, Pareva Ajere, Gelbi, Straniero, i successi più noti come Marechià, Tienatà e Je Vulesse, tra le altre. Si canta in italiano, napoletano, francese, arabo, si suonano percussioni, tastiere chitarre, bassi, ma anche l'oud, appunto, si sentono echi neanche tanto lontani di Medio Oriente e soprattutto si balla. È una vera e propria festa quella costruita dai Nu Genea, che hanno dimostrato che la musica vince su tutto, anche sul brand. La band, infatti, ha messo la musica al primo posto, al punto da non aver subito alcun contraccolpo dal passaggio da Nu Guinea al nuovo nome, alla faccia delle sciocchezze superficiali sulle identità. Insomma, ogni tanto si parla di ritorno della Neapolitan wave, sarebbe bello se la nuova onda partisse da loro, eredi della migliore tradizione. La Nuova Napoli riparta da loro.

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