I Negramaro in concerto streaming: “Vogliamo dare un segnale per i lavoratori dello Spettacolo”
Tamponati, distanziati e con le mascherine, Giuliano Sangiorgi ci accoglie nel suo studio di Roma, il suo pensatoio, dove sta mettendo a punto le ultime cose per il concerto streaming che i Negramaro terranno il 19 marzo da La lanterna Rome e a cui i fan potranno assistere in streaming. Un modo per ripartire, che la band aveva sperimentato, con una forma diversa, ma comunque interattiva quando aveva presentato "Contatto", l'ultimo album scritto prima della pandemia ma che l'universalizzazione della musica ha reso attualissimo anche oggi. Sangiorgi ci tiene più volte a spiegare che questo concerto, oltre a essere un modo per ritrovare il contatto col pubblico, sia soprattutto un modo perché i loro collaboratori, in rappresentanza del mondo dei lavoratori dello Spettacolo, possano tornare alla normalità, in un anno che ha messo in ginocchio il settore. "Il concerto in streaming è un segnale forte da dare ai collaboratori, per dirgli che ci siamo e il fatto di vederli in questi giorni al lavoro mi ha cambiato la vita" ha detto ai microfoni di Fanpage.it a cui ha spiegato anche quanto il live sia fondamentale anche per un artista e soprattutto una band come la loro. È nel live che si percepisce l'emozione del pubblico e si capisce anche come si deve muovere il suono di una band, spiega il cantante che ha parlato anche del suo rapporto con le nuove generazioni, di streaming, di errori e di come i Negramaro hanno fatto a resistere oltre 20 anni insieme.
Ciao Giuliano, cosa significa ricominciare, anche in streaming, a pensare a un live?
Siamo molto felici di essere in concerto, sarà un'anticipazione di quello che dovrebbe succedere nel concerto previsto a ottobre. Noi avevamo una tournée pianificata con gli stadi affittati, e abbiamo dovuto spostarli a ottobre nei palazzetti anche se in questo momento questo concerto non è solo ciò che dovrà essere, ma è anche un segnale che vogliamo dare ai nostri collaboratori. È successo anche quando abbiamo pubblicato "Contatto", presentandolo in streaming con un cubo interattivo. Io tuttora ho molta paura, ma bisogna essere forti e penare che questo è il nostro lavoro e il nostro unico modo per portare dei segnali forti. E il concerto in streaming è un segnale forte da dare ai collaboratori, per dirgli che ci siamo e il fatto di vederli in questi giorni al lavoro mi ha cambiato la vita.
Molti non hanno ben presente cosa significa fermare i live, non è solo il capriccio di un cantante, una band, ma è fermare il lavoro di migliaia di persone…
Questa idea è molto italiana, il fatto di dover sottolineare che non sia un capriccio è assurdo, in un Paese che considera l'arte e la cultura come un bene di lusso, ma non è così. Ti parlavo degli stadi per dirti che la macchina che muove quella cosa riguarda centinaia di famiglie, ora metti le centinaia di famiglie dietro a un tour dei Negramaro, centinaia di famiglia dietro a un tour di Jovanotti, centinaia dietro a un tour di Cesare Cremonini, aggiungici i palasport, i piccoli locali, i club – dove vorremmo tornare, se si potesse, per portare gente – e capisci la vastità della cosa e quanto faccia muovere un'economia importantissima. Tra l'altro dietro la decisione di muoversi non c'è l'artista che si sveglia e dice "andiamo in tour", ma c'è un'agenzia come Live Nation, un'etichetta come Sugar, persone che stanno lavorando affinché questa cosa possa succedere per tutti, e ripeto, compresi i lavoratori dello spettacolo, perché devono tornare a lavorare.
Hai parlato di come dietro alla scelta di ripartire con un tour ci sia uno studio, quindi programmarlo è anche la speranza di poter tornare a un live vero? Che risposta ci sarà da parte del pubblico, secondo te?
Sarà una risposta un po' più cauta, attenta, anche se quando diventiamo gialli vediamo un'esplosione di vitalità a volte incontrollabile: da un lato ti arrabbi, dall'altro pensi che è umano. Io penso alle nuove generazioni che stanno soffrendo tantissimo, perdersi due anni dell'adolescenza è una cosa assurda. Non so bene quale reazione immaginarmi da loro, ma so la mia reazione, che se ci libereranno da questo male, perché un tour lo si può pensare solo in libertà, farò stage diving (sorride, ndr). Ci scherzo sopra ma la reazione è quella, poter immaginare qualcosa che è sempre stata così.
Quindi che speranza hai?
Spero che una volta che tutto questo sarà passato tutti i concerti possano essere simbolo di un ritorno alla normalità, dovremmo dare un calcio alla diffidenza e i live potrebbero essere un veicolo per questa cosa. Ripeto: fare un concerto vorrà dire che sarà tornato tutto a posto, quindi la funzione di un concerto sarà anche quello di riabituarci alla normalità.
Tra l'altro tornato in concerto con quest'album che racconta, quasi involontariamente, il bisogno di contatto, appunto. Un album in cui cantavi: ‘Facciamo un volo sul divano/poi atterriamo piano sul cuscino', un viaggio dentro casa, praticamente.
Ma ti rendi conto come mi sono sentito io quando ho scritto questa canzone, un anno prima della pandemia? A un certo punto ironicamente nelle case sono comparsi cartelli stradali in cui si segnalavano la direzione del bagno, della stanza da letto, per esprimere la voglia di fare dei viaggi ma rimanendo a casa e "E se domani ti portassi al mare" è proprio un viaggio fatto in casa. Tutto nasceva dal fatto che la mia compagna (Ilaria Macchia, ndr) fa la scrittrice e sceneggiatrice, quindi sta molto a casa mentre io sono molto in giro, e quando sto per tornare, puntualmente sul treno di ritorno dopo mesi che sto in giro, lei mi scrive di viaggi che faremo. Io torno a casa e il mio viaggio perfetto era andare dalla stanza al soggiorno con lei e con mia figlia, quindi quella canzone era per dire: ‘Che facciamo? Facciamo un viaggio nelle nostre stanze?". Ma oggi per me il viaggio più bello non è in casa, non vedo l'ora che si torni a quello che Ilaria mi mandava attraverso i messaggi.
Senti, qual è il rapporto, invece, con le nuove generazioni e lo streaming?
L'altro giorno ho incontrato Fasma e gli dissi una cosa: loro sono artisti da streaming, ed è molto bella questa cosa, però gli dicevo che possiamo raccontarci milioni di streaming ed è una figata, ma quello che ho augurato a loro, alla nuova generazione, è di trovare uno stadio che ti risputi indietro le canzoni che hai scritto nel cesso, nella stanza, da solo. Ritrovarti 50/60 mila persone che cantano le tue canzoni, i tuoi pensieri, questo glielo auguro.
A proposito di live e stadi, quanto sono importanti i concerti per il suono di una band?
Il sound per una band è sinonimo di live fatti sulla pelle, il sound è la fisiologia del suono, quanto riesci a stargli dietro – e una band deve stare dietro al suo suono – è come se quello formasse il suo vocabolario e attraverso quel sound riesce ad esprimere testi, concetti, visioni, arte, tutto quello che c'è da esprimere. Ricordo che da ragazzo ero ammaliato quando trovavo un artista che sapeva suonare il suo disco live, pensa che uno dei commenti più belli che ci hanno fatto è che siamo una band che è quasi più bello ascoltare dal vivo.
Realizzando il sogno che avevi da ragazzo, quindi…
Ricordo il lavoro fatto con la band per fare quella cosa, che era proprio un'ossessione: essere veri sul disco e live, che poi credo che sia il successo dei Negramaro, se no una band in Italia non dura 20 anni, non fa gli stadi. Penso che sia successo qualcosa di onirico, un sogno: partire dal Salento e arrivare a un pubblico, in anni in cui tutto questo hype non c'era per niente, per nessuno, i giovani erano giovani emergenti. Noi abbiamo fatto San Siro nel 2008, dopo Sanremo nel 2005 ed eravamo, giustamente, definiti emergenti. Oggi gli emergenti durano 20 secondi e il giorno dopo i giornalisti scrivono che sono giganti perché hanno fatto milioni di streaming, che è una figata, ma è un altro mondo. Bisogna abituarsi e saltare il fosso nella maniera più idonea.
Come ci si confronta con questa nuova generazione?
La rivoluzione culturale dei 60 è durata 50 anni, adesso siamo di fronte a una nuova rivoluzione culturale, finalmente, perché veramente penso che siamo in un'era "socialitica", col social che ha trasformato tutto. È evidente che è una rivoluzione culturale pazzesca, pensa alla pandemia senza social, come ci hanno tenuto insieme, creato il contatto, questa era ha trasformato tutto. Anche le nuove generazioni, musicalmente, ne ha cambiato linguaggio.
In che modo è cambiata la canzone, quindi?
I testi di questa nuova generazione siano più spigolosi, e io ne sono contento, il romanticismo è cambiato, non puoi dire "ti amo" nella stessa maniera in cui lo dicevamo anche solo cinque anni fa. È allettante il fatto di restare a galla tra testi e nuovi codici verbali, che non sono solo forma, ma sostanza. Le canzoni stanno diventando di nuovo sostanza, c'è una grane italianità nella trap, nell'indie, nel rap. Il rap ci ha abituato a testi pieni di parole, c'è stato un periodo in cui era difficile convincere che oltre le cinque parole in un ritornello non era troppo.
E in che modo i Negramaro possono stare al passo?
Per una band il fatto di essere contemporanei è più facile specie se, come nel caso dei Negramaro, c'è un'evoluzione nel suono palese ma soprattutto grazie al fatto che abbiamo sempre messo al centro la canzone, e non è una cosa facile.
A proposito di nuove generazioni, l'incontro con Madame come è avvenuto?
Con Madame è successa questa cosa, ci siamo messi in studio a scrivere e non abbiamo quasi avuto bisogno di parlare o convincersi che ci saremmo fatti del bene a vicenda, perché il brano era veramente terra fertile per tutti e due. Francesca (Madame, ndr) è pazzesca, siamo stati insieme in studio e ha scritto sul momento la parte. Tu pensa che non facevamo un feat dai tempi di Dolores O' Riordan, Elisa, Lorenzo, mentre ora c'è questa tendenza a fare tantissimi feat, pensa che ho una marea di duetti fatti in tanti anni e mai pubblicati… cose nate spontaneamente.
Senti, qual è il lavoro per far sì che una canzone resti nel tempo? Voi ne avete varie…
È quell'aspetto di pulizia che ha permesso ai grandi di raggiungere, 70 anni dopo, altre generazioni. Io sono felice di ciò che sta succedendo a livello di stimolo artistico, però non possiamo cercare su Google il testo della canzone che pubblicheremo il giorno dopo. Pensa se avessimo cantato "Tra nuvole e lenzuola e Myspace"; "Nuvole e lenzuola" la senti ancora in radio e non ti fa strano anche se sono passati 16 anni. Merito va dato anche a Corrado Rustici, noi avevamo 20 anni e quando hai quell'età vuoi mettere sempre cose che erano sempre più vicine al contemporaneo, ma tu volevi eccedere in quello che era fresco e alla moda e Corrado ci disse: ‘Giuliano, ricordati, che svuoi riempire questa canzone di tendenza e moda ce la dimenticheremo tra cinque minuti' e aveva ragione. Poi sento finalmente questa ondata di grande voglia di essere autori, in un'epoca in cui per anni oltre ai Negramaro e qualcun altro che ha portato al mainstream il rock le chitarrone di "Via le mani dagli occhi" non c'era quasi nessuno. "Mentre tutto scorre" fece alzare Sanremo e non sapevano che dire, ci cacciarono dicendo addio emergenti e ci ritrovammo da un santo all'altro, da Sanremo a San Siro, però questa possibilità te la dai soltanto se parli una lingua da coniugare all'infinito.
Una delle cose che hanno fatto i Negramaro è proprio quello di forzare le gabbie del genere, lo abbiamo visto spesso e anche in questi ultimi anni. È stata una delle forze della band?
Certo, ma se non lo capisci subito sei fottuto, è facile a 25 anni vedere un successo come "Mentre tutto scorre" che ha dato il via a una cosa grandissima, se pensi che quella è la strada, là rimani. Io sono strafelice che a Sanremo abbia vinto il rock e abbia vinto una band, dall'altro lato so che dovranno cambiare anche loro. Chi si avvicina al rock deve capire che non è un vestito, ma già la definizione del genere non è giusta, io amo la trap, il rap, da sempre. "Mentre tutto scorre" aveva un passaggio come "Sparami addosso bersaglio mancato", quindi nel 2005 portammo a Sanremo una ventata di rock ma anche di rap, conta che il mio primo disco è stato "Don't believe the hype" dei Public Enemy, poi Run DMC, LL Cool J, perché l'indole di un giovanissimo è sempre stato il rap e sai perché? Perché è una filastrocca, sono i primi tamburi vocali, suoni la tua bocca, il rap è ancestrale, anche anni fa nella nicchia era generazionale.
"Immagina le facce di chi crede che la vita sia il futuro e mai adesso" canti in "Non è mai per sempre". MI racconti di questo sbaglio non come condanna ma come possibilità di crescere?
Io se non sbaglio sono morto dentro, io sono quello, sono la voglia di sbagliare, come diceva Lucio Dalla: "Io ho voglia di (…) continuare a far l'asino, di comportarmi male per poi non farlo più" come cantava in "Felicità". Sono esattamente quello: "Ho bisogno di peccare per capire ancora che si può sbagliare e sbagliare fino in fondo, fino in fondo per sentire dentro un atto di dolore" (canta, ndr), è quel dolore che voglio provare per sempre, è bello chiedere scusa a se stessi, agli altri, è bello essere perdonati e perdonare, che è la base su cui non riusciamo a perdonarci, a vivere dignitosamente.