I Modà: “Il posto per noi ci sarà sempre, non per chi pensa solo agli stream”
"Da febbraio cominceremo a sentire un po' di pressione, perché vogliamo tornare alla grande, carichi come se fosse il dicembre 2019" dicono i Modà chiudendo l'intervista con cui abbiamo parlato di "Buona fortuna – Parte prima", il loro nuovo progetto, il Primo capitolo, appunto di un progetto che si svilupperà probabilmente in tre parti. Un modo per stare sull'attualità, ma anche per cercare di comprendere un mercato discografico in continuo cambiamento. Partiti con "Comincia lo show", la band alterna, come sempre pezzi più tirati a ballad, perfette sempre per essere suonate davanti a un grande pubblico. Perché, spiega Francesco Kekko Silvestre, il mercato cambia, la trap passa e quello che resta è la capacità di fidelizzare il pubblico e portarlo sempre con te, ad ascoltarti e a vederti live. Insomma, una critica ai nuovi artisti che puntano tutto sulle mode e sui numeri streaming, ma anche ai social che danno solo una parvenza di successo.
Com’è lavorare su un progetto come questo? È l’equivalente delle uscite continue di singoli? Un modo per stare più su quello che si prova in un certo momento?
Sì, nasce per l'esigenza che richiede anche il mercato discografico, a cui ti costringe, perché ormai tirare fuori un album con dieci, dodici brani… la musica va talmente veloce che rischieresti di bruciarlo in due mesi e poi la gente ti chiede il prossimo. Solo che fare un album non è una cosa facile. Quindi abbiamo deciso di spezzettare questo lavoro per cercare di andare ad approfondire di più le canzoni, gli argomenti, anche perché ne abbiamo toccati di importanti. Penso che scendere a compromessi per quello che riguarda il discorso del trend musicale per noi sarebbe impossibile, non possiamo metterci a fare musica diversa, ma anche per la coerenza che abbiamo sempre avuto e per il fatto che non è proprio il nostro mondo. È stata una scelta, sicuramente ci sarà una seconda parte probabilmente anche una terza, stiamo sperimentando, cercheremo di capire come andrà.
Qualche settimana fa alla Milano Music Week si parlava della musica oltre il rap. Qual è lo spazio, oggi, per i Modà in questo mercato completamente cambiato?
Ma magari fosse il rap, qua parliamo di trap e di artisti pop che cercano di avvicinarsi il più possibile e tra l'altro che duettano pur di avere streaming con artisti che insomma vanno troppo veloci. Il posto dei Modà ci sarà sempre perché il futuro di questa musica è il live, sai si parla di streaming, visualizzazioni, e poi c'è gente che non riempie neanche un club. Non te li compri coi follower e gli streaming le case, ma lo fai con i dischi che hai venduto davvero, coi concerti, per cui va di moda questa cosa, alzo le mani, non decidiamo le mode, quello lo fanno il mercato, le radio, le discografiche, ma questo non significa che dobbiamo cambiare. Se tornassero i pantaloni a zampa, io a 44 anni non li metterei, così come non mi metto a scrivere trap per avere streaming e quella visibilità che oggi sono felice di non avere.
In che senso? La gestione della notorietà è una cosa su cui torni spesso…
L'esposizione mediatica che abbiamo avuto noi è stata potente, violenta. Sono stati gli anni più belli della nostra vita, eravamo sulla cresta dell'onda, abbiamo riempito gli stadi, suonato in tutto il mondo, abbiamo fatto l'ultimo diamante della discografia… però a un certo punto ti rendi conto di non avere le forze e le energie per affrontare questa roba, non hai più la stessa fame, hai voglia di tranquillità e di fare il tuo lavoro in maniera diversa. Oggi questo momento del mercato ce lo consente anche perché comunque è vero che questi due anni siamo stati fermi, ma è altrettanto vero che fino a due anni fa, quando il mercato era simile a quello che c'è in questo momento, si vendevano comunque pochissimi dischi, c'era già lo streaming e il nostro tour era comunque sold out. Abbiamo venduto quasi 70 mila biglietti, per noi è più che bello, siamo felici.
Quello che dicevi prima, puoi avere milioni di streaming ma è importante anche riempire i club.
Lo streaming non è direttamente proporzionale alle vendite. Io penso che siano canzoni che vanno troppo veloci e non resteranno, ne sono certo: è una sagra della rima, della strada, non si suona più, ma noi non siamo quel mondo là, siamo musica suonata e durare nel tempo è la cosa più difficile, non raggiungere la cima per qualche mese.
Come mai la scelta di partire con “Comincia lo show”, un pezzo violento anche nel gergo bellico. Era un'esigenza tua di dire basta, andate a quel paese?
È una fotografia di quello che è, oggi, il bullismo mediatico. Noi abbiamo 20 anni di carriera alle spalle, abbiamo anche una corazza che ci permette di farci scivolare addosso queste cose, ma ci sono anche persone fragili che arrivano a gesti estremi. E se una volta il bullo al parco lo riconoscevi, oggi, col web, non lo vedi, non riesci sempre condannarlo. È un modo per dire che c'è un'anarchia totale sui social e questa cosa qua non porta altro che violenza. Una volta dovevi studiare per poter scrivere, oggi apri un account e sei un dottore, un virologo, un allenatore di calcio, chiunque può dire tutto. Non volevo cambiare il mondo con questa canzone ma era una fotografia.
Interessante come dopo quel pezzo arrivi un pezzo come “Non ti mancherà mai il mare”, che è un brano che parla del prendersi cura per sé.
È una canzone dedicata a mia figlia, Gioia, in cui dico: "Vivi, perché la vita è la fuori, non è sui social". Ormai la gente non parla più, è attaccata ai computer sempre, vedo anche mia figlia coi miei nipotini che stanno sempre coi loro cellulari. A Gioia dico questo, cerca di amare il viaggio, la vita non è chiusa tra le mura di una villa. Poi ci ricolleghiamo sempre al web, agli influencer e alla sagra del non so fare niente, è un continuo ostentare esempi di vita che non esistono: ricchezza, materialismo, il bell'hotel, le belle scarpe etc. Occhio, io credo che i social network siano fondamentali, un mezzo potente che ci permette di fare tante cose, ma vanno usati con prudenza.
In "Scusa se non lo ricordo più" affronti un tema come quello dell'Alzheimer, ce ne parli?
Ho voluto parlare dell'Alzheimer, ma parlare di un argomento così delicato musicalmente da un punto di vista medico sarebbe stato impossibile: l'idea, quindi, nasce da un'intervista di Lino Banfi in cui racconta la malattia della moglie. Una malattia terrificante, in cui ti rendi conto di ciò che ti succede perché alterni momenti di buio a momenti di lucidità. E lei, quando lui le diceva che cinque minuti prima non ricordava chi fosse, dice "Ma come faremo quando non ti riconoscerò più" e lui dice: "Vorrà dire che ci presenteremo di nuovo" e da qui nasce la voglia di raccontare questa storia, da questa frase che ho trovato bellissima, profonda ma allo stesso tempo tragica.