“Stanno cercando di uccidermi”, le lettere di Michael Jackson riaprono la pista dell’omicidio
"Ho paura per la mia vita", così Michael Jackson scriveva in una serie di lettere indirizzate ai propri familiari e ad alcuni amici, poche settimane prima di morire per un sovradosaggio di propofol. A rivelarlo durante un'intervista per il programma televisivo australiano "Sunday Night" è stato Michael Jacobshagen, uomo d'affari tedesco e amico di vecchia data della star. Jacobshagen ha anche deciso di rendere pubbliche 13 lettere nelle quali il Re del Pop svelava le sue più profonde preoccupazioni. Le missive, quindi, supporterebbero la teoria che il cantante sia stato assassinato, di cui la figlia Paris Jackson è la più grande sostenitrice. Alcune delle lettere, infatti, sarebbero state indirizzate proprio alla giovane Paris e alla sorella dell'artista, La Toya Jackson, a sua volta cantante e modella.
Jacobshagen, che ha intrattenuto con Jackson una relazione di amicizia durata due decenni, ha anche raccontato di un'allarmante telefonata ricevuta dalla popstar poco prima della sua morte. Secondo l'uomo d'affari, Michael lo chiamò in lacrime da una località non meglio precisata nei pressi di Las Vegas, nel periodo delle prove dello show "This is it", supplicandolo di tornare in America per stare con lui a Los Angeles. "Era in piena crisi emotiva – ha raccontato l'amico nell'intervista – mi diceva: ‘stanno cercando di uccidermi'".
Poco dopo Jacobshagen raggiunse l'amico negli Stati Uniti e, in quell'occasione, il cantante gli consegnò una nota autografa nella quale confessava le sue paure, senza mai però specificare l'identità di chi stesse attentando alla sua vita. Tra le lettere ritrovate, tuttavia, in alcune si fa riferimento alla AEG Live, il colosso del live promoting che stava curando il ritorno della popstar sul palco della "O2 Arena" di Londra: "Stanno facendo molta pressione su di me… Temo per la mia vita", sarebbe il messaggio contenuto in una delle missive in possesso di Jacobshagen.
Ufficialmente la causa della morte di Jackson è stata rintracciata in un'overdose di propofol, forte sedativo somministratogli dal medico personale Conrad Murray, che per questa ragione è stato radiato dall'albo dei medici e condannato ad una pena detentiva, ma che ha sempre sostenuto di essere solo un capro espiatorio. Adesso anche Jacobshagen ha dichiarato di non credere alla versione ufficiale, precisando che Jackson utilizzava il propofol da oltre dieci anni, per curare la forte insonnia che lo affliggeva, ma che non avrebbe mai ecceduto con le dosi del farmaco.
L'intervista a Jacobshagen verrà trasmessa in Australia e negli USA a giugno, in concomitanza con l'ottavo anniversario della scomparsa di Michael Jackson.