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Gli Intercity, tra le band a cui l’It-Pop deve dire grazie: “Siamo una generazione che ha seminato”

Gli Intercity sono un collettivo che da anni porta avanti un’idea di pop che ha seminato non poco ma che non ha raccolto quanto dovrebbe. Qualche settimana fa la band formata dai fratelli Fabio e Michele Campetti, Paolo Comini e Riccardo Taglietti è tornata con un doppio album, “Laguna”, in cui esplorano le sfumature del pop e non solo.
A cura di Francesco Raiola
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Ci sono album che riescono a girare solo tra un pubblico affezionato e talvolta ci si chiede il perché. Ci sono band che negli ultimi 10/15/20 anni hanno messo le basi affinché il pop italiano arrivasse ad essere credibile e anche ascoltato: band che hanno trattato la materia al meglio, con attenzione, limando le parole, facendo attenzione ai suoni, rendendoli orecchiabili, senza dubbio – come deve essere il pop – ma senza mai scendere a troppi compromessi. Tra quelle band che hanno posto un terreno importante per il fiorire di progetti che, in qualche modo si sono poi contaminati ulteriormente e hanno trovato una strada con più o meno compromessi per arrivare al grandissimo pubblico, possiamo annoverare progetti come Numero 6, Amor Fou, Perturbazione (che forse, grazie a Sanremo sono i più conosciuti) e quelli dei fratelli Campetti che prima con Campetty e poi con gli Intercity hanno riempito le orecchie di ascoltatori che per anni si sono chiesti come mai quelle canzoni pop non potessero arrivare più facilmente al grande pubblico. Qualche settimana fa proprio gli Intercity sono usciti con un nuovo album, "Laguna", sfidando ancora una volta la consuetudine e pubblicando un doppio che affonda le radici nel pop, come macrogenere, ma che è pieno di sfumature che emergono ad ogni ascolto.

Ventidue canzoni, un doppio album, è difficile – prima ancora di immergersi nella musica – non pensare a quanto oggi siamo abituati a un certo modello da restare stupiti per una scelta del genere… prima di addentrarci nell’album, però, fammi capire un po’ come l’evoluzione degli Intercity e dei fratelli campetti. "Laguna" è un album lungo, vario, ma con un’impronta forte, che in qualche modo vi accompagna sempre. Cosa cercavate dopo ‘amur’?

Ma guarda, in realtà volevamo regalarci questo piccolo orgoglio che è pubblicare un disco doppio, era sicuramente un sogno, che avevamo da appassionati e musicisti, un lavoro fuori dal tempo e senza senso se pensato per i giorni d'oggi. Un disco come si faceva un tempo; era da molto che ne parlavamo e alla fine ci siamo riusciti.

Inoltre esce – e questo lo hanno notato in molti – in un periodo particolare per quello che eravamo abituati a definire indie pop. L’etichetta, per voi, sarebbe limitativo, eppure c’è un’apertura maggiore verso alcuni suoni, qual è stata l’accoglienza di questi primi giorni/mesi, contando i singoli?

A livello di riscontro di pubblico, parlando prettamente di numeri, siamo ampiamente al di sotto della sufficienza, tranne qualche fedele alla linea, che da anni ci segue, facciamo molta fatica a far sentire o capire la nostra musica. Come critica, al contrario, siamo ad altissimi livelli, ho letto più volte di "Laguna" come uno dei dischi migliori degli ultimi anni e ho pensato: "Addirittura?", tanta roba, ecco. Speriamo che il pubblico aumenti, è comunque un disco lungo e complesso, anche se per niente difficile.

Mi piace un sacco il tuo modo di cantare, soprattutto l’uso che fai delle vocali “strascinate”. È una questione metrica, un caso, cosa?

Non credo sai, non c'è una soluzione ragionata in tal senso, diciamo che trattasi di un approccio spontaneo, totalmente naturale.

"Zenith”, per citarne solo una, mi ricorda quella generazioni di artisti che, insieme a voi, hanno aperto la strada a molti artisti di oggi (Numero 6, Perturbazione, Amor fou). con questi ultimi che, appunto, ne raccolgono la semina. Come vivi questa cosa? Se pensi che sia vero, ovviamente.

Sicuramente c'è una generazione di progetti che hanno, in qualche modo, seminato, con fortune lontanissime da quelle che stanno godendo oggi le nuove generazioni di artisti. Noi non so nemmeno se facciamo parte di questa cerchia di cui sopra, siamo, addirittura, ancora più di nicchia. È comunque assodato che ci siano progetti che hanno raccolto molto meno di quello che avrebbero potuto.

Ci sono alcuni pezzi più radiofonici, nel complesso possiamo tentare di dire pop, ma nello specifico c'è quella voglia di non cedere al testo o alla soluzione musicale facile, anzi ben vengano soluzioni più complesse. È una cosa che paga, alla fine? Come lavorate alle vostre canzoni?

Diciamo che ci sono in effetti 4/5 episodi che potrebbero essere trasmessi anche da un network, quindi sì, più pop, mantenendo sempre il nostro approccio. In realtà poi ci sono casi dell'indie attuale, ma anche indie rap, con enorme successo e non così convenzionali. Noi abbiamo sempre il nostro approccio, scrivo i brani con la chitarrina, faccio dei provini al volo e poi li arrangiamo come si deve; il modus operandi è sempre lo stesso.

Di Veracruz ho spesso letto che si tratta del classico (!!!) “singolo estivo”, però diciamo che il testo contraddice il cliché, la struttura proprio (strofa, ritornello, eventuale bridge), oltre proprio alla scelta delle parole e del racconto, ci vuole un ascolto in più per stare appresso al testo. Ecco, insomma, parlami di questo ‘pezzo estivo’.

Estivo più forse nella produzione, più fresh e sbarazzina, diciamo che dura due minuti e mezzo e quindi, è forse il brano giusto per una stagione leggera come l'estate, detto questo per me è un brano che non ha stagionalità, come l'album in sé.

Mi hanno incuriosito gli accordi specificati, nel booklet, a fianco ai titoli. Era un modo per dire: suonateci, prendetene?

[Ride] Sì, abbiamo lasciato gli accordi. Il file dei testi veniva da un semplice file word con anche gli accordi e alla fine li abbiamo lasciati per comodità, con tutti i cover boys che girano, non si sa mai.

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