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Gazzelle racconta Dentro: “È arrivato dopo una crisi esistenziale, canto questi anni decisivi”

Si chiama Dentro il nuovo album di Gazzelle. Il cantautore, protagonista di un cocnerto allo stadio Olimpico il 9 giugno, ne parla con Fanpage.
A cura di Francesco Raiola
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Gazzelle nella redazione di Fanpage
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Si chiama Dentro l'ultimo album di Gazzelle, il cantautore romano tornato a due anni da "OK" con un lavoro che ha deciso di far uscire in due tranche. In pochi anni Gazzelle si è affermato come uno dei cantautori più amati del Paese, unendo agli ascolti in streaming anche un forte pubblico che lo segue anche live, al punto da fargli decidere di giocarsi la carta Olimpico, dove il 9 giugno terrà l'unico concerto di questo 2023. Dentro è un lavoro in cui il cantautore fa conto coi trent'anni, tappa da sempre spartiacque e con anni di forti cambiamenti, sia globali, come per la pandemia da Covid, che a livello personale. Ne ha parlato a Fanpage.

Sei arrivato al quarto album, com'è stato lavorarci?

Sì, quarto album, se poi contiamo i repack sono cinque, però in effetti sono passati sei anni dal primo, quindi neanche troppo, calcolando pure il Covid. Sono stati anni produttivi, direi, ci sono arrivato in maniera naturale, propedeutica, cioè un disco dopo l'altro, alla fine i dischi li vedo come capitoli di un libro, siamo al quarto capitolo o come una serie tv, la quarta stagione. Però la storia è sempre la stessa, perché sono io, ma è la quarta stagione di questo io.

Com'è stato passare questi trent'anni, che erano una soglia abbastanza importante per te, no?

È stata un po' una crisi esistenziale, non so se per i trent'anni in sé o per altre circostanze, però sono stati anni travagliati a livello più introspettivo, sono stati anni di costruzione, chiudi l'adolescenza ed entri nella fase in cui devi.

L'album parte con "È tutto a posto, anche se ora tutto ha un costo". Eri partito positivo poi è arrivato subito il "però"…

"È tutto a posto, anche se", esatto, mi piaceva l'idea di partire con questo pezzo che è anche uno degli ultimi che ho scritto di questo disco. Ci ho messo un anno e mezzo a scrivere e arrangiare quest'album e sì "è tutto a posto, anche se ora ha un costo, ora tutto ha un costo, come la mia faccia piena di mannaggia". In questo disco cerco di tirare un po' le somme rispetto agli ultimi tre anni della mia vita che sono passati in maniera non semplicissima, come per tutti, sia per quello che abbiamo vissuto come umanità intera, sia nella mia sfera personale, privata. Sono stati anni in cui sono cambiate tante cose: ho cambiato casa e già questa è una cosa, poi ho chiuso una storia d'amore, ne ho iniziata una nuova, c'è stato il Covid, che ci ha fatto riflettere molto sulle priorità. Tutto questo a cavallo dei trent'anni, che è già una fase di cambiamento in sé. Sono stati anni decisivi per questo ho deciso di scriverne, così ho scritto queste canzoni piano piano, un po' alla volta, non tutte di getto. Rispetto agli altri dischi mi sono preso tanto tempo per scriverlo, e invece di concentrarmi in due, tre mesi, ho scritto una canzone ogni tanto, quando mi andava, con più calma e con più tempo per ascoltarle e decidere se erano quelle giuste o meno. È un disco selezionato, Gazzelle DOP.

Ci sono immagini che tornano, come quando canti "E ho lasciato alcuni pezzi di me dentro le persone sbagliate" e subito dopo in "E pure": "Ogni persona che ho staccato via, le brutte vibrazioni nella pancia". Stai facendo un po’ di conti?

Ho tirato le somme, sono successe tante cose, è cambiata la mia quotidianità, ho cambiato amicizie, ho cambiato amori, ho chiuso delle cose e ne ho aperte altre, questo ti lascia comunque delle cose dentro che vanno elaborate e io lo faccio con le canzoni. E in canzoni come "E pure…", forse quella più pensierosa del disco, in cui parlo a me stesso e faccio un elenco di cose, arrivo anche a dire che vorrei morire, ma tutto sommato non mi va. O anche in "Idem", dove parlo appunto del fatto che ho ritrovato me stesso da solo in un cesso, ecc. Se uno le va ad analizzare bene, dietro ogni canzone c'è una storia, è un puzzle che va unito e alla fine esco io.

"Facci un sorriso almeno uno dai”. Senti, questo racconto di un Gazzelle sempre un po’ malinconico è realtà o esagerazione? Ti pesa o non te ne frega?

Non so neanche se l'ho deciso io alla fine, nel senso che ho fatto uscire tante canzoni e i fan hanno deciso che quelle più tristi erano quelle che mi qualificavano meglio o che qualificavano loro, quindi si è creata questa immagine di me che non ho creato totalmente io. Io non lo so se sono così, però non mi dà alcun fastidio, anzi in parte mi torna e me la sono pure cercata. Mi piace che la gente pensi di me che sono una persona normale, come loro, con alti e bassi, e in questo disco ho cercato anche di mostrarlo perché non voglio diventare una parodia di me stesso, non voglio essere accondiscendente con il pubblico che vuole le canzoni tristi e quindi devo scrivere canzoni tristi: scrivo canzoni tristi quando sono triste e canzoni d'amore quando sono innamorato. ‘La prima canzone d'amore', per esempio, non è triste, "Idem", se l'ascolti bene, non è triste, però è piaciuta alla gente, quindi penso che alla fine l'importante è essere sincero. Poi nella vita vera sono una persona malinconica, questo non lo posso negare, ma so anche essere leggero, a volte anche simpatico.

Questa cosa mi pare che si leghi anche a quel "Flavio dai, Flavio dai"  che pare una richiesta al pubblico…

Quella è una canzone che un po' parla di me e un po' parla di come gli altri mi stanno addosso, mi punzecchiano, di come questo lavoro a volte ti fa sentire un po' sotto pressione o che a volte non ti va di farlo, a volte vorresti essere solo Flavio. Però è una canzone che ho cercato di scrivere in maniera ironica, tipo quando canto "Facci un sorriso, almeno uno, dai!" che è una cosa che mi dicono quando mi trovo a fare delle foto, degli shooting, cose che a me non vanno troppo e per questo non rido mai. Ho cercato di prendere tutte le situazioni vere della mia quotidianità, soprattutto di quella lavorativa, che magari la gente non conosce perché non l'ho mai raccontata e non la mostro neanche troppo sui social, visto che sono abbastanza un fantasma. Insomma, mi piaceva scrivere una canzone che raccontasse in maniera anche ironica, e sdrammatizzandolo, il mio mestiere.

"Scomparire è più facile che riapparire", canti.

Sì, perché è più facile andarsene che tornare, è più facile sbagliare che rimediare. Insomma, in sintesi è più facile scomparire che riapparire e affrontare i problemi. È più facile darsela a gambe, ma non parlo di qualcuno in particolare, magari parlo anche di me, non è una polemica.

Come artista, però, è una condizione complessa, no?

Diciamo che io sto in un limbo in cui appaio ma appaio poco e a volte scompaiono ma poi riappaio. Questa è un'epoca in cui c'è la gente vuole esserci a tutti i costi, però va un po' contro la mia natura, io preferisco più non esserci, il mio obiettivo finale sarà quello di non esistere, però non è facile.

Michelino chi è?

Michelino sono un po' tutti, vorrei che rappresentasse le persone che ti dicono che non puoi fare qualcosa o quelle che sono sempre arrabbiate indipendentemente dai motivi, che non riescono a captare un'emozione, a intercettarla e a goderne. Tutti conosciamo uno così, uno che te la fa prendere a male, che ti fa pesare i suoi problemi e non riesce neanche a godere delle gioie altrui. Quelle persone che non empatizzano, e io non voglio essere così.

E tu perché l'hai scritta?

Non lo so mai quando scrivo le cose, vengo un po' rapito dalle parole. Però evidentemente sentivo dentro di me questa esigenza di strillare che io non voglio avere a che fare con gente così, non voglio essere triste così, è un modo per magari cercherò di dire a me stesso smettila di piangerti addosso.

Canti "L’ultima volta che hai sorriso era in un palazzetto", dici anche "sul pavimento" ma l'altra mi serviva per chiederti: cosa succederà allo Stadio Olimpico a giugno?

"L’ultima volta che hai sorriso era in un palazzetto", come al solito scherzo, però mi serviva per esasperare quanto mi siano mancati i concerti, quanto mi diano tutto, quanto per me siano la cosa più figa in assoluto di questo lavoro, mi fanno sentire vivo e quindi sì, l'ultima volta ero in un Palazzetto e adesso invece dovrò fare l'Olimpico. È l'unico concerto dell'anno e mi fa strano, manca poco…

Come dicevi, le cose ti sono esplose in mano…

Sì, poi piano piano, anno dopo anno, ti rendi conto che è successo qualcosa, per quello si chiama "successo", perché accade. Qualche anno fa pensavo che era stato tutto velocissimo, però adesso vedo anche carriere di ragazzi che sono molto più veloci, quindi tutto sommato la mia carriera diventa lunga, è stata quasi lenta se ci penso: sei anni fa forse lavoravo in un bar e oggi faccio l'Olimpico. No, è stata comunque veloce.

A un certo punto canti pure: "Tutti ‘sti soldi chi li hai mai visti"…

In quella canzone che è "E pure…" parlo con me stesso, è una canzone molto introspettiva e parlo di cose molto che conosco solo io. Dico "L'estate in cui ho buttato via i vestiti, gli amici, amici, amici, amici, amici" cerco di parlare me stesso e quindi quando dico "tutti questi soldi ma chi li ha mai visti" lo dico perché obiettivamente la mia vita è cambiata anche sotto quel punto di vista. Io non sono nato cantante e c'è anche un velo di critica in questa cosa, non ci sono abituato, quindi non li flexo.

Sei un personaggio che mi pare divida molto, c'è chi ti ama incondizionatamente e chi non ti sopporta…

Più che non mi sopporta a cui sono indifferente. Ma se un artista non divide c'è qualcosa che non va, vuol dire che un venditore. Tutti gli artisti che mi sono piaciuti sono stai sempre divisivi, anzi mi piacerebbe dividere ancora di più. Di base a me c'è gente che o mi ama o non mi ascolta, è difficile che mi odino, anche perché non mi espongo troppo, non è che metto bocca su tutto, non vado a caccia di odio.

Come mai la scelta di far uscire prima la prima metà di Dentro?

Fondamentalmente perché mi piace fare le cose come mi pare, anche per sorprendere un po' le persone, per divertirmi, per non fare la solita cosa. Sono al quarto album, ogni volta cerco di fare qualcosa di diverso, ne ho fatte di tutti i colori a livello di marketing, è una cosa che mi piace, mi stimola, non mi piace prendere la strada, quella più classica, più istituzionale, avevo voglia di fare una cosa diversa e la gente è rimasta contenta. Era prevedibile, però, perché secondo me un artista si deve impegnare a rendere sempre accesa la fiamma e la curiosità, l'entusiasmo, perché sennò sembra che manco a te interessa di questo disco. Bisogna usare la creatività che uno ha per cercare di fare le cose un po' più divertenti, divertendosi.

Con dentro hai anche cominciato a dare respiro ai titoli, ai titoli delle canzoni che non sono caratteristiche della singola parola.

C'è sempre, comunque, poi quando sono troppo lunghe faccio un acronimo tipo LPPBDS, quindi "La primavera più brutta di sempre", quella sta in tutti i dischi. Pensa che anche per il titolo di questo disco volevo cambiare, volevo fare un titolo lungo, con tante parole, però alla fine non ci sono riuscito, mi è venuto quello.

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