Foja, un album d’amore e impegno: “Scrivere Miracoli e Rivoluzioni ci ha salvato in pandemia”
Si chiama Miracoli e rivoluzioni l'album che segna il ritorno discografico dei Foja, la band napoletana che trovò la popolarità nazionale grazie al singolo "‘O sciore e ‘o viento" e che negli anni ha trovato un proprio suono e una propria identità che gli ha permesso di rimanere una delle band capofila del nuovo suono napoletano, in grado di mescolare blues, tradizione, rock in un cantautorato che fa di Dario Sansone uno degli artisti più credibili del nuovo sound partenopeo. Quest'album arriva dopo due anni di pandemia e a causa di questa dilatazione dei tempi è cambiato rispetto all'idea iniziale, come spiega il frontman a Fanpage.it, presentando canzoni che si dividono in brani che raccontano l'amore e altri di impegno, come da storia della band napoletana che questa volta porta con sé una serie di ospiti, da Clementino a Enzo Gragnaniello, passando per Lorenzo Hengeller, Davide Toffolo e Alejandro Romero con cui hanno collaborato alla rivisitazione di "‘A mano ‘e D10s".
Mancate dal 2016 con un album, ormai, come è stato ricominciare?
Sì, abbiamo fatto uscire qualche singolo, ma non siamo stati fermi neanche durante il lockdown. Abbiamo organizzato un'iniziativa legata al primo singolo dell'album per una raccolta fondi per l'emergenza Covid e le famiglie in difficoltà, poi sono usciti "‘A mano ‘e Dios" e "Duje comme nuje" legato al film di Rak "Yaya e Lennie – The Walking Liberty". La musica ci ha salvato in questo momento difficile, però un album è un racconto più ampio, più complesso, e quest'album è figlio di questo ritardo, perché in linea teorica sarebbe dovuto uscire prima ma fortunatamente non è stato così. Dico fortunatamente perché col tempo sono uscite altre canzoni e nati altri arrangiamenti.
Quando doveva uscire?
Nell'ottobre 2020. Facemmo uno spettacolo al Teatro Festival di Napoli che si chiamava proprio Miracoli e Rivoluzioni, appunto, che avrebbe dovuto fare da apripista al concept dell'album che non abbiamo più registrato. Siamo entrati in studio a ottobre 2020 e da lì è stato un disco girovago.
Quindi non è come era pensato all'inizio?
Il concept sì, era quello, sei canzoni d'amore e sei canzoni d'introspezione e indagine sociale, legate al concept con atmosfere e suoni ben riconoscibili, con le canzoni d'amore con un sound più acustico e classico Foja e le altre più sperimentali, elettroniche con il coinvolgimento di artisti con cui volevamo collaborare da tempo.
Si sente una ricerca del suono ma è molto Foja. A un certo punti canti "e ‘a casa nosta, no, nun tene mura”, che rispecchia proprio la questione di barriere e generi da abbattere, no?
Immaginare che una canzone o un intero album debba avere lo stesso suono non appartiene al mio modo di pensare. La forma canzone, poi, è mia, non riesco a cambiare completamente tutto, ma la vedo come una cosa buona, è qualcosa a cui arrivi dopo tanto tempo. Anche il modo in cui abbiamo lavorato alla produzione è stato diverso: alcune cose sono state fatte a casa, altre in studio, la voce di Romero dall'Argentina, una fisarmonica arrivata, grazie ai Guappecartò, dalla Francia… È stato un continuo rimodellare fino all'ultimo secondo, fino all'ultimo ho avuto possibilità di intervenire.
Quando hai messo un punto?
All'ultimo secondo, anche perché secondo me una canzone non si finisce mai di scrivere, ci sono pezzi che dal vivo ho cambiato totalmente e questa è la magia di avere la creazione a portata di mano.
L'album comincia con “A furia ‘e dicere che è cosa ‘e niente addiventammo niente”, che è una frase simbolica…
Sì, è una citazione di Eduardo in un pezzo che parte con voce e chitarra. Questo per mettere un po' le cose in chiaro: le parole hanno un grande peso sia per il significato che a livello sonoro e cominciare così è servito anche per spiegare che non è un disco serioso, ma serio, in cui ci sono cose a cui tengo molto, cose che volevo sottolineare con forza. Cominciare così era fondamentale.
Usi più volte il termine “guerra” nelle canzoni, è un caso?
Credo che avvenga perché viviamo un periodo di conflitti e anche quello che viviamo oggi è frutto di una dimensione umana che è un po' dispersa: per quanto ci pensiamo vicini e legati a una causa siamo distanti nel vivere le cose. La distanza degli ultimi anni è stata terribile soprattutto per noi artisti, che viviamo di questo scambio immediato col pubblico. I conflitti interiori confluiscono in quelli umani, probabilmente questa parola, quindi, la vivo al mio interno.
In “A cosa stai pensando” canti: “Ma addò sta scritto c'hamma pensà sempe ‘e fatt'e ll’ate”, un riferimento al mondo social, sei esasperato anche tu?
La canzone nasce anche dal mettersi davanti a uno specchio, quello che dico nella canzone lo dico anche a me, perché i nostri ambiti lavorativi sono legati ai numeri, a quanti ne fai, a quanti mi piace hai ed è tutto un turbocapitalismo, va tutto a una velocità estrema e tutti si brucia subito. Rispetto al primo album in cui avevamo un solo singolo, "‘O sciore e ‘o viento" e due foto, questa volta abbiamo fatto 3 set fotografici, tanti video etc, ma tutti che durano il tempo di una visione non attenta.
A livello di feat, invece?
Gragnaniello è la linea di sangue, Clemente è coetaneo ma è anche l'altra faccia, rock e rap che si incontrano dopo percorsi differenti, Toffolo condivide con me anche l'altra vita, quella del fumetto, Romero condivide Maradona… ci sono tutti punti di contatto reali ma storie diverse e questa è anche la meraviglia della musica, ci sono cinque musicisti che parlano lingue diverse, ma se gli metti gli strumenti in mano suonano tutti insieme.
Mi racconti come nasce "‘A mano ‘e D10s"?
Nasce da un invito che ho ricevuto per una rete locale campana da Peppe Iodice, che mi chiese di creare qualcosa di speciale. Era da un anno – prima della morte di Maradona – che investigavo su questa canzone che a livello musicale sentivo distante dal mio mondo, ma era una biosong potente con una melodia incredibile e siccome le cose non accadono per caso, visto che era la canzone su Maradona preferita da Diego, un giorno mi misi e denudandola ho cambiato l'atmosfera, raccontando la sua vita però con gli occhi nostri, visto che quella era una canzone molto legata a una visione argentina. Dopo l'esecuzione ha avuto un bel ritorno e qualcuno l'ha fatta arrivare a Romero che l'ha apprezzata, l'abbiamo contattato e deciso di realizzare un progetto più ampio e legato alla solidarietà: grazie alla vendita del singolo abbiamo portato strumenti musicali e attrezzature sportive ai ragazzi di Nisida.
Aspettate la dimensione live immagino, no?
Non vediamo l'ora di scaricare tutta questa energia, anzi temiamo di fare troppo, tipo tre o quattro ore. Stiamo costruendo un live nuovo e intorno al concept, che parte dallo spettacolo di due anni fa, che unisce sempre amore e le rivoluzioni interiori e non.