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Enzo Avitabile: “Dicono che non posso cantare con Ligabue, ma non si può ingabbiare la musica”

Enzo Avitabile è tornato col nuovo album “Il treno dell’anima” con feat di Ligabue, Jovanotti, Guè e Rocco Hunt, tra gli altri.
A cura di Francesco Raiola
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Enzo Avitabile (ph Titti Fabozzi)
Enzo Avitabile (ph Titti Fabozzi)
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Enzo Avitabile è uno degli artisti che l'Italia dovrebbe tenersi più stretto e celebrare un po' di più. Il suo messaggio è da sempre quello di fratellanza, di vicinanza agli ultimi, la sua musica scandita dal ritmo del mondo. Il ritmo, proprio lui, quello che Avitabile segue perennemente, che chi lo ama sa che non mancherà mai, il suo "‘e mane ‘ngopp ‘o groove" è una certezza dei suoi live, cinque parole che descrivono perfettamente una carriera lunghissima e ricca, che lo ha visto scrivere canzoni che sono diventate classici, collaborare con miti della musica, da James Brown a Tina Turner, diventare il protagonista di un documentario a lui dedicato, girato dal Premio Oscar Jonathan Demme, un artista che scardina l'idea per cui con il passare del tempo la creatività venga meno. Forse il segreto è in una curiosità che lo percorre perennemente, nella sua idea di sincretismo musicale, in questa voglia di dimostrare che la musica è ancora un porta di fratellanza, uscendo fuori da qualsiasi retorica che col tempo si è costruito attorno a questo binomio. Con "Il treno dell'anima", suo ultimo album uscito sempre per Black Tarantella, Avitabile esplora ancora di più il suo lato più pop senza dimenticare di come sia stato uno dei rapper ante litteram della musica italiana. Lo si vede dalle collaborazioni, quelle con Ligabue, Jovanotti, Giuliano Sangiorgi, Edoardo Bennato, Rocco Hunt e Boomdabash da una parte e Guè e Speranza dall'altra.

"Il treno dell'anima"  è il tuo ultimo album, un omaggio a Soul Express, tuo storico brano del 1986. Da dove parte la tua musica?

Parte innanzitutto dal concetto della musica soul che è stata quella che mi ha avvicinato alla musica: il suono amico, il suono che a Marianella sentivo dal jukebox, James Brown e Tina Turner, Afrika Bambaataa, Richie Havens. Volevo suonare il sassofono e volevo incontrare tutti quelli che stavano nella scatola magica. Li ho incontrati, ho incontrato la Soul Musical, poi mi sono reso conto che andava fatta un'operazione di disamericanizzazione, cioè dovevamo ritrovare il nostro suono, la nostra matrice: ritroviamo la nostra parola, la nostra danza e portiamola nel mondo. Questa è stata la mia operazione della vita. La prima parte di un suono amico che però doveva contaminarmi e non colonizzarmi e la seconda quella di avere una coscienza di portare un suono nel mondo.

Nell'album ci sono collaborazioni importanti come quelle con Ligabue, Jovanotti, Antonacci e Sangiorgi, tra gli altri. Featuring molto pop, ce ne parli?

C'è chi dice: "Non è possibile che Ligabue canti con Avitabile: ma perché?". Perché secondo loro esiste una scatola, il contenitore di Ligabue, ma come si fa a inscatolare la musica? Io sono curioso, mi piacciono gli incroci, sono molto amico pure dei miei colleghi. Da questi rapporti di amicizia nascono le curiosità: con Liga parto io e magari scopre che a lui va bene anche il testo che tu hai scritto. Con Biagio (Antonacci, ndr) scopri che a lui piace che tu entri in napoletano con il tuo modo di fare. Poi questo è un disco straordinario, secondo me, destruttura Soul Express, che è un evergreen, ma come direbbe Stravinsky, noi lo smontiamo e lo rimontiamo con questi pezzi a modo nostro e così ci entrano Rocco Hunt, Boomdabash. Insomma, così tu rivivi la tua musica attraverso l'occhio e il suono dell'altro. Secondo me è bello.

E con Guè, invece, come è nato l'incontro?

Tutto parte dai Co'Sang, chiaramente, che sono i miei nipotini, Antonio (Ntò, ndr) è proprio mio nipote, Luchè è una sorta di nipote acquisito. Poi attraverso loro ho conosciuto Enzo Chiummariello (manager di molti rapper napoletani, ndr), che mi ha fatto incontrare con Guè. Assieme abbiamo fatto "La malaeducazione" che è una cosa molto bella, qualche concerto, sono stato io ospite e ho chiesto a Guè di fare "Tutte eguale song ‘e creature" che però è diventata "Nisciuno è figlio ‘e nisciuno", ovvero "Nessuno è figlio di nessuno", quindi ancora destrutturare un brano e riviverlo. Mi piace molto questa cosa multi generazionale, quante più possibilità ci possiamo dare con la musica, ce le diamo e ce le viviamo.

I testi dei tuoi brani, pur trattando temi diversi, sono legati dalla stessa impronta stilistica. Come nasce la tua scrittura?

Il mio rapporto proprio con i testi, con il modo di scrivere in dialetto, di essere più viscerale, nasce dall'incontro con il mio produttore storico che è ancora e sempre sarà Andrea Aragosa, che mi ha dato la possibilità di andare fino in fondo. Io credo che uno dei nostri nemici è la retorica, lo dico sempre, invece con la musica è diverso: la parola, l'accordo, il suono, la melodia, la non melodia, la non regola che diventa regola e che poi di nuovo tu che vuoi superare. La musica ti dà questa possibilità di parlare da cuore a cuore e l'emozione anticipa il messaggio: "‘O ritmo nun ce sape, ma ‘o ritmo ce sana", ovvero "Il ritmo non ci conosce, ma ci guarisce". È la stessa cosa che diceva Bob Marley: "Pensando possiamo ballare, ballando possiamo pensare".

Possiamo dire che i punti cardine della tua musica siano ritmo e fratellanza?

Penso che una delle cose più innovative e una delle cose più miracolose sia emozionare attraverso il ritmo. Quindi ho sposato e ho conosciuto nella mia vita – perché c'è un karma – i grandi maestri del ritmo con cui ho suonato, quindi James Brown, Fela Kuti, e poi i grandi maestri di suoni del mondo: Youssou N'Dour, Goran Bregovic, Cesaria Évora, insomma, chi più ne ha più ne metta. Con James Brown, poi, conobbi Afrika Bambaataa e assieme abbiamo fatto il primo esperimento hip hop, per intenderci. "Street happiness" fu sicuramente pionieristico come esperimento, pensa che andai nel Bronx a fare questa cosa con Bam, con Afrika Bambaataa e poi l'ho portato nella 167, a Scampia, quando ancora era in costruzione l'Asse mediano. Vedi, nel buddismo si dice che abbiamo messo un seme, ma visto quello che poi è accaduto dopo, il seme è stato messo bene.

C'è un artista con cui vorresti collaborare ma con cui non sei ancora riuscito a farlo?

Rimasi molto male perché dovevo cantare con Stevie Wonder a Lucca Summer Festival, con Mimmo D'Alessandro che aveva creato questo incontro. Dovevamo avere questa prova nel pomeriggio, ma purtroppo c'è stato un ritardo del suo elicottero, poi c'è stato un ritardo per la pioggia, quindi il palco era anche un po bagnato, eccetera, per cui non c'è stata questa possibilità. L'incontro comunque c'è stato, sono stato con lui, ho fatto le foto, ci siamo scambiati cose, pensieri, delle dolcezze infinite, ma non demordo, spero di incontrarlo ancora.

Si può dire che il rap sia sempre stato nelle tue corde?

Uà, la parola sul ritmo: nel 1981 io ho fatto delle cose velocissime, sul groove, quindi questa poliritmia che partiva dalle crome andava nelle semicrome, i gruppi irregolari, nella voce e nel modo di scandire… questa cosa credo che sia un po' una preilluminazione di certe cose, anche se James Brown, in uno dei suoi testi parla proprio di "My rap is strong" (In "Soul Power", ndr), "Il mio rap è forte".

A proposito di James Brown, ci racconti il vostro primo incontro?

Io dovevo suonare con lui e lui non arrivava. Arrivò che io già avevo suonato, e stavo male. Comunque a Pordenone fu un miracolo, ce steva ‘o patapato ‘e l'acqua (pioveva fortissimo, ndr), riuscii a suonare e James stava nella sua roulotte, ma ascoltò e ne rimase contentissimo, folgorato, uscì dalla sua roulotte con questi bigodini e il bermuda. Venne ad abbracciarmi, mi portò dentro la sua roulotte, mi regalò le scarpe, le scarpe Soul che ho usato per tanti anni, lui era così. Una volta mi disse: ricordati che io sono il più veloce di tutti, più veloce di me c'è solo Dio.

Ti fermi mai a pensare al tuo percorso artistico e a quello che la tua musica rappresenta per l'Italia e per il mondo?

Tu da piccolo hai un desiderio e si dice che ogni desiderio è un'illuminazione e così attraverso lo studio, la dedizione, ho conquistato delle cose. Però io sono un po' così come carattere, penso alle cose che devo fare il giorno dopo. È brutto anche essere così perché a un certo punto devi pure goderti i risultati, io me li godo, ma non ho questa grande coscienza di ciò che ho fatto e di ciò che farò, ma forse questa è una cosa buona.

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