Ensi e Nerone: “Potremmo festeggiare il rap in Italia quando un nonno canterà i Club Dogo ai nipoti”
Direttamente da The Good Fellas di Martin Scorsese, Ensi e Nerone hanno pubblicato lo scorso 2 giugno il loro joint album Brava Gente. Un ristorante da 12 portate in cui sono intervenuti alcuni dei migliori rapper italiani, da Salmo a Shari, da Silent Bob a Speranza, passando per la Six Pack composta da Gemitaiz, Nitro, Fabri Fibra e Jake La Furia. Dopo aver presentato il disco con una comunicazione legata all'ironia dei due personaggi, l'album è tutt'altro che da prendere con leggerezza, anzi. Brava Gente è competizione elevata, è la combinazione tra due dei migliori punchliner dello stivale, che non mancano anche in pezzi più introspettivi come Tagli come sorrisi e Quando nessuno guarda. Qui l'intervista a Ensi e Nerone.
Dove parte l'idea di mettere da parte i vostri progetti personali per lavorare a Brava Gente?
Ensi: Era il momento giusto, maturo per entrambi. A causa della pandemia si erano dilatate le tempistiche rispetto ai miei progetti personali. Questo joint album era nell'aria e finalmente si è palesata l'occasione: da lì abbiamo messo tutto l'impegno nel progetto. È tutto nato e cresciuto in questi mesi: basti pensare che fino a un anno fa questo progetto combo non era previsto.
Nerone: Io avevo 50 pezzi da parte e stavo lavorando in studio. Abbiamo preso il meglio di quello che avevamo e lo abbiamo investito in un progetto che inizialmente doveva essere di otto pezzi.
Che cosa ha fatto scattare la scintilla?
Nerone: Eravamo in studio da Shocca per fare il punto del suo progetto e ci è venuta l'idea di scrivere le strofe assieme. Abbiamo cominciato a farla e da un pezzo siamo arrivati a cinque, da lì a 12 e poi a 20. È stato tutto molto coeso e forse è uno degli aspetti più importanti di Brava Gente.
È un album in cui si avverte quanto vi siate divertiti a fare rap: c'è stato un momento in cui il rap non vi divertiva più?
Ensi: Ci sono stati dei momenti, certo, poi il fatto che il rap sia diventato un impegno da tanti anni, un lavoro, non ha sempre aiutato a divertirsi. Però questa musica è la mia passione. Quando, in passato, facevo turni di lavoro da otto o dieci ore, non mi portavo quel lavoro a casa. Con la musica invece è diverso: ci sono tanti meccanismi che ti permettono di lavorare. Tanti aspetti di cui prenderti cura e questo mi ha reso la musica meno attraente. Fortunatamente ho sempre trovato nella musica la formula per evadere, anche per avere una maggiore ispirazione. Dall'altra parte, non ho mai dovuto fare un album perché mi era stato imposto: per esempio quando ho avuto lo stop dal 2014 al 2017 che sono stati anni fondamentali per il genere in Italia. Ho fatto album e musica per esigenza e quando avevo voglia veramente di farla.
Un joint album rap che ha nel suo Dna la competizione: vi siete un po' pizzicati su chi dei due avesse fatto meglio nell'intero disco o magari in qualche traccia particolare?
Nerone: Sono cose che non si dicono, ma si capiscono. Per esempio, magari dopo aver ascoltato l'altra strofa, vai a casa e riscrivi la tua. È un tacito accordo che ha vinto l'altro. Poi io e lui scriviamo in maniera diversa: io molto più di getto mentre lui ci mette un po' di più.
Ensi: Più che una competizione malsana, è qualcosa che ti motiva: quello che conta è il risultato finale e tutti devono aver dato il meglio. Per esempio se Max (Nerone) fa la strofa più grossa dell'anno, io sono uno di quelli che si complimenta. In questo disco penso alla strofa di Speranza, una delle più clamorose del 2023.
Poi c'è anche Six Pack con Nitro, Fabri Fibra, Jake La Furia e Gemitaiz.
Ensi: Ecco, per esempio, se vuoi fare la strofa più grande con questi artisti, devi essere bravo. Ma poi dobbiamo ritornare alla questione del gusto e di ciò che ti piace di più.
Nerone: Io per esempio l'ho sparata più grossa di tutti. Era il mio obiettivo nella canzone, far ricordare ciò che dicevo. Dovevano sapere che a un certo punto sarebbe arrivata la rima "bastarda".
Ensi: C'è un buon equilibrio tra tutti noi, non è una gara per sé.
Siete due tra i freestyler migliori in Italia: il vostro tour estivo potrebbe diventare un palco per le vostre sfide?
Nerone: In realtà ci teniamo principalmente a far sentire l'album, anche perché fare freestyle su richiesta mi ha riempito. Vorrei che rimanesse qualcosa da fare volentieri quando ne ho voglia: per esempio come l'altro giorno in studio. Stavamo fumando un attimo e abbiamo messo in mezzo un tema: i pirati. E da lì è avvenuto lo spettacolo. Se poi, quando sono sul palco con Ensi, la gente ci chiede di fare freestyle, magari non ha capito realmente perché siamo qui.
Ensi: È ovvio che la fama ci precede e che il fan lo chieda. Dall'altra parte, però, abbiamo sempre fatto un grande processo di scrittura in quest'album – ma mi permetto di dire anche prima – e se vieni solo per il freestyle non lo stai valorizzando. Invece se siamo presi beni anche dal concerto e dal modo in cui abbiamo suonato, c'è anche voglia di farlo.
Una maglia che comincia a starvi stretta?
Ensi: Ho dato veramente tanto al freestyle e ho vinto tutto quello che c'era da vincere. Per un po' mi hanno dato questa bandiera e l'ho portata, quindi non voglio assolutamente sputare in quel piatto. Dall'altra parte, mi sono impegnato veramente tanto per rimarcare la differenza tra ciò che faccio nell'album e ciò che faccio in freestyle.
Nerone: Quando viene fuori ben venga, ma sul palco abbiamo un album da suonare. Per esempio, per la prima volta siamo partiti live sul palco alla mezzanotte dell'uscita del disco: c'erano 4mila persone che si abbracciavano e urlavano un disco che non conoscevano. La stessa cosa è successa il giorno dopo.
Perché adesso sembra che fare rap sia qualcosa di classic, quasi un'accezione negativa?
Nerone: Come diceva Bassi in S.a.i.c: "Okay, tutto il mio rispetto, ma questo è solo rap, non hip hop, e suona pure vecchio". Invece noi no, possiamo suonare su qualsiasi base, anche sulla drum and bass ma in questo momento non ci interessa. Non abbiamo voluto seguire neanche il filone della drill. Abbiamo fatto un album con suoni rap dei giorni nostri, non può suonare anacronistico. Abbiamo scelto 12 tra i top producer d'Italia, gente con cui non avevamo neanche mai collaborato in alcuni casi: avevamo il rischio di fare la compilation. Invece l'abbiamo costruita nel modo giusto, per farla suonare bene senza far capire cosa stessimo promuovendo alla fine. Poi è un album di cui capisci il genere dal primo all'ultimo momento, cercando di rinnovare in maniera innovativa anche tematiche già utilizzate in passato: soprattutto nei pezzi un po' più introspettivi. Lì c'è la personalizzazione, il vissuto, i sentimenti e i pensieri: oltre alla penna un po' più matura.
C'è anche questa comunicazione per la presentazione del progetto che si allontana dal "purismo" e cerca di prendersi, almeno in quel senso, poco sul serio?
Ensi: Io e Max abbiamo riferimenti comuni a livello di comicità: siamo figli di quel prendersi in giro, ridere e scherzare, avere sempre la battuta pronta. È un nostro segno e lo abbiamo utilizzato per promuovere il disco. Questo non significa che ci sono pezzi comici all'interno dell'album. Volevamo rimarcare cosa ci fosse in questo disco, farci una bella risata e trovare un modo originale di fare le cose. In realtà siamo tra i pochi che possiamo permetterci di prenderci per ciò che siamo: in tanti non se lo possono permettere, perché devono prendersi sempre sul serio, anche un po' troppo. In realtà, chi è venuto a vederci dal vivo, sa che abbiamo quel tratto comico, scappa anche la battuta.
Cosa significa essere indipendenti oggi?
Ensi: In questo momento, l'indipendenza è una meta meno ambita, soprattutto per i più giovani. C'è questa ricerca dell'affermazione attraverso un grande contratto, c'è tanta confusione e nel 95% dei casi alcuni non sanno cosa stanno firmando e perché lì stanno pagando. C'è semplicemente una corsa al piazzamento per una cosa sentita dire da un altro. Ognuno ha il proprio percorso e il proprio processo, e chi ha la testa sa distinguere bene le cose: non vuol dire che l'indipendenza sia meglio o peggio. Dal punto di vista personale, da qualche anno sono ritornato indipendente dopo esserci già passato all'inizio del mio percorso, anche perché non potevo ambire ad avere un'etichetta visto non esisteva un mercato musicale legato a questo genere. Ma ho avuto anche la mia avventura discografica importante con la major nel 2014, ho lavorato con le grandi multinazionali, con le piccole indipendenti, con le grandi indipendenti e con l'autoproduzione. Quella che facciamo adesso è un'indipendenza 2.0, dove siamo usciti ovunque e stiamo lavorando a 360 gradi sul progetto con un team di poche persone: questo significa oggi essere indipendenti.
Nerone: Per quanto riguarda la mia carriera, io non ho grandi pretese, però quando ho bisogno di uscire con la musica, ho bisogno di essere la priorità: questo puoi farlo da indipendente. Se fai parte di un roster importante con gente che sposta equilibri economici molto più importanti dei tuoi, è normale che tu non sia la priorità.
Ensi: È importante che passi il messaggio che bisogna credere nel processo. Adesso c'è l'ambizione di fare successo in fretta, che non mi sembra abbia funzionato come modello. Se uno ambisce a creare qualcosa di solido che duri nel tempo, c'è bisogno di pazienza. Anche perché questa cosa nasce dall'esigenza di doverlo fare, quindi non fa cambiare la direzione alla bandiera quando cambia il vento. Solo in quel caso puoi dire che quello è il tuo successo: ammetto però che se non avessi avuto dei riconoscimenti importanti, avrei continuato con meno impegno.
L'11 agosto, negli Stati Uniti si festeggiano i 50 anni dalla nascita dell'hip hop. Ci si prepara con grandi festeggiamenti, come già avvenuto ai Grammy: secondo voi sarebbe possibile una cosa del genere in Italia o sono due situazioni troppo differenti?
Nerone: Un evento per far fare la pace un po' a tutto il nostro mondo? Diciamo che in America tutti si rispettano perché tutti hanno lasciato qualcosa e tutti hanno preso da tutti. Non tutti hanno questa concezione, anche se devo dire che il disco di Dj Shocca è stata una bella sensazione, come il ritorno dei Sottotono in grande spolvero. Diciamo che alcuni personaggi sono ancora un po' vittima del retaggio di internet, hanno confuso la merda con il cioccolato. Ci sta che per colpa di qualcuno dei nuovi io non venga visto con il rispetto che merito dalla vecchia scuola: per questo bisognerebbe spiegare tutto. E forse alla fine si potrebbe anche fare.
Ensi: Adesso c'è una festa per tutto, quindi non vedo perché festeggiare. Poi i 50 anni di una cultura che è arrivata più tardi, ma comunque se osserviamo la situazione con una lente di ingrandimento, abbiamo anche noi una cultura di 30 anni di musica rap radicata. È un genere che comunque è stato influente e continua a esserlo, bisogna capire come tramandarla diversamente a livello culturale.
Quale potrebbe essere la chiave di volta?
Ensi: Quando vedremo dei nonni che tengono in braccio dei nipoti mentre cantano le strofe dei Club Dogo. Abbiamo già una terza e una quarta generazione pronta a raccontare una bella storia. Non ci dobbiamo dimenticare che arriviamo dal nulla cosmico dei primi anni 2000, una cosa del genere ce la sognavamo. Un ragazzo adesso può cambiare la propria vita facendo questa musica: la dice lunga su quanto siamo cresciuti.