“Ecco perché i Maneskin hanno vinto l’Eurovision” lo spiega l’esperto della delegazione italiana
Quando si dice Eurovision, in Italia, si dice Eddy Anselmi. Forse il nome del giornalista e autore televisivo, che è stato assistant head of delegation per l'Italia e autore per edizione italiana di questa edizione olandese è meno noto al grandissimo pubblico, ma tra gli addetti ai lavori Anselmi è la persona da chiamare per avere notizie, statistiche, curiosità sulla manifestazione. Da 10 anni, ormai, l'Eurovision è parte integrante della sua variegata carriera professionale, e quest'anno ha vissuto dal di dentro una vittoria storica per il nostro Paese. Era, appunto, nella delegazione che ha supportato la vittoria dei Maneskin e a Fanpage.it ha raccontato la grande professionalità della band, come è cambiato l'Eurovision in questi anni e cosa rappresenta per il Paese e per la Rai: "Sapevo che sarebbe stata una corsa al fotofinish e lo è stata, però alla fine la Francia non è riuscita a raggiungerci".
Ho parlato coi Maneskin e pensavano che dopo la classifica della giuria non ci fosse molto da fare. La tua esperienza, immagino, ti diceva il contrario, giusto?
Assolutamente, i distacchi erano assolutamente recuperabili col televoto. Giuria e televoto votano secondo pattern completamente diversi e negli anni si è visto: la giuria comunque ci ha messi quarti, che è comunque lo stesso risultato di Mahmood del 2019, a dimostrazione che esiste un sistema Italia che è riconosciuto qualsiasi cosa porti. Quest'anno, poi, abbiamo avuto una canzone che al televoto ha spaccato, questo ha fatto la differenza.
Come mai secondo te?
Per la forza della band, la forza della canzone ma forse la differenza, quest'anno, l'ha fatta lo staging, che abbiamo interpretato come se fosse un concerto dal vivo, in un momento in cui la gente ha fame di concerti live e si è visto anche l'ottimo risultato della Finlandia, arrivata al sesto posto con un brano rock, che non era dato neanche in top 10. C'era voglia di stare su un palco e quel palco è stato costruito proprio pensando a un'esibizione dal vivo, pensando a un concerto, quello che alla gente manca. Il merito è anche del direttore creativo Claudio Santucci per Giò Forma, che secondo me ha vinto quasi quanto Maneskin.
Come li avevi visti in questi giorni?
I ragazzi riescono a essere professionali, perfetti, precisi, con la consapevolezza che stanno lavorando e a godersi ogni momento di pausa come se fosse una gita tra amici, riescono a passare dal divertimento al lavoro in un attimo. Sono professionisti preparatissimi, li ho sentiti discutere in inglese anche in momenti delicati della preparazione dello show, con cognizione di causa, preparazione linguistica, consapevolezza dei propri mezzi e preparazione di se stessi. È stato molto semplice fare l'Eurovision – che è un'operazione molto complicata, che presenta moltissime criticità – con loro, anche grazie al team che hanno alle spalle che è sempre stato una garanzia, parlo di Sony Music e del management Latarma. Quando hanno vinto Sanremo ho pensato che era stata una fortuna perché avevamo una serie di persone che aveva già fatto qualche Eurovision, che è un mondo complicato e direi che è andata nel migliore dei modi possibile.
La polemica francese fa parte della geopolitica della manifestazione?
Sono cattivi perdenti, ma d'altra parte la stampa è libera di amplificare, ha un pubblico di riferimento, anche da noi esiste la stampa scandalistica.
Chi vincerà il prossimo festival giocherà in casa, ma probabilmente sa già che non si giocherà l’Eurovision, giusto?
Per quanto ci riguarda solo una volta abbiamo portato alla nostra edizione di casa chi ha vinto Sanremo, fu Bobby Solo nel 1965 e arrivammo terzi, nel 1991 la Rai scelse Peppino Di Capri, ma era un altro mondo, diciamo che per quanto riguarda l'impegno del servizio pubblico è più vicino al 65.
Però statisticamente è difficile che una nazione vinca più volte consecutive, no?
Non succede dal 1992/93/94 quando l'Irlanda vinse per tre volte consecutive, era successo un'altra volta a Israele nel 79. Parlare della vittoria per due volte consecutive, essendo 39 paesi in gara, è molto difficile, diciamo che chiunque ci rappresenterà il prossimo anno, però, avrà le stesse possibilità che abbiamo avuto quest'anno. Credo che sia dal 2016 che un artista che ospita non arriva in top 5, allora fu la Svezia: la vittoria è la ciliegina sulla torta di un percorso che si focalizza più sull'impegno del servizio pubblico, su una serie di show televisivi (le semifinali, la finale, le anteprime) e sulla promozione della nostra industria musicale all'estero.
Un'industria che è cambiata e cambia anche per l'Eurovision.
Una volta si vendevano i dischi e quelli dell'Eurovision non arrivavano a essere distribuiti in tutti i Paesi, oggi con lo streaming è immediato, quindi in tutto il mondo la compilation non ha bisogno di una distribuzione fisica. Questo ha cambiato le carte in tavola e fa sì che la notizia televisiva di un attimo si ripercuota immediatamente sugli ascolti di tutto il mondo. Considera anche le differenze con Sanremo, dove i pezzi nascono la settimana del Festival, mentre all'Eurovision le canzoni sono dichiarate mesi prima, quindi tutte le canzoni hanno almeno un paio di mesi di vita nei circuiti di streaming perché i fan, gli appassionati, le sentono con largo anticipo e una canzone può arrivare all'Eurovision già con 100 milioni di visualizzazioni. Una volta era diverso, c'era meno distanza tra la rivelazione del brano e la sua esecuzione al concorso, adesso questi due mesi servono a monetizzare visualizzazioni, streaming, ascolti. Alcuni le scoprono in tv, ma altri le conoscono già.
Per la Rai cosa vuol dire riportare in Italia questa competizione?
Parlo a titolo personale, ovviamente. Credo che sia una grande opportunità per l'Italia per fare sistema e credo che il servizio pubblico, che è la più grande industria culturale del Paese, possa dare il suo contributo a questa gigantesca opportunità. È un anno di ripartenza, creerà indotto, opportunità, promozione turistica. L'Olanda ha aperto una porta e possiamo passarci attraverso. È una sfida importante che il nostro Paese, a ogni livello, dalla creatività all'operatività, ha tutte le carte in regola per giocare e vincere.
Quali erano i tuoi preferiti a parte i Maneskin?
Il mio cuore è per Senhit, la rappresentante di San Marino, era l'altra cantante italiana in concorso. Abbiamo lavorato assieme all'Eurovision 2011, era il mio primo all'interno di una delegazione, quindi le sono grato per avermi dato, tanti anni fa, l'opportunità di partecipare all'Eurovision, diventata la mia occupazione principale. Sono contento che nel momento in cui il mio percorso arriva a fare parte del team e a lavorare con la band che ha vinto ci fosse anche Senhit in finale: nel mio sogno eravamo primi e secondo. Poi mi è piaciuta la canzone della Norvegia.