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E se la diplomazia fosse il cancro del rap?

Il rap è cambiato in questi anni e talvolta si è legato a mondi in apparenza molto diversi dal suo tirandosi addosso, dal pubblico storico, una serie di critiche alle quali risponde sempre più frequentemente con diplomazia. Ma siamo sicuri che questo è un bene.
A cura di Stefano Cuzzocrea
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È strano. Nell’ambito hip hop, per bocca di Neffa, Deda e Gruff, fin dall’epoca di Sangue Misto, non bisogna chiedere se un rapper “canta forza Italia o no”, poi arrivano i mondiali e la nazione improvvisamente ritratta. A parte che un Paese è fatto da tutti, musicisti compresi, e quindi tra i tifosi ci saranno certo anche m.c. e dj quindi, ma oltretutto si potrebbe intendere la cosa come una metafora. Non è forse la questione di cantare in italiano a contribuire parecchio a questa nuova età dell’oro del rap, qui ed ora? Sono altri nazionalismi, più legati al logos che al credo politico, eppure semantici. Non a caso Rumore, questo mese, mette in copertina Ghemon e Brunori, stabilendo o semplicemente ammettendo, sempre qui ed ora, un legame concettuale e principalmente linguistico, tra hip hop e cantautorato.

Il confronto ha anche un qualcosa di antropologia geografica: il calabrese che si lega alla tradizione e il milanese, tanto più che d’adozione, dedito invece a sperimentazioni. Una vecchia storia? Potrebbe anche darsi, ma avvalorata, a prescindere dalle ubicazioni nello spazio e dalle differenze tra regioni, da una new che sancisce meglio quanto questi due linguaggi siano ormai in simbiosi. Difatti, finanche Mogol ha ormai promosso l’hip hop a elemento imprescindibile della composizione contemporanea. Al bando i vetusti preconcetti. Non a caso, il Tour Music Fest da lui diretto vanta da quest’anno un corpo docenti più ampio, nel quale capeggia l’m.c. cosentino Kiave. Ebbene sì, proprio questo rapper, all’anagrafe noto come Mirko Filice, impartirà lezioni agli aspiranti cantanti nel più grande e rinomato campus musicale d'Italia, situato nel verde di Avigliano Umbro. I corsi inizieranno il 22 agosto e le iscrizioni sono ancora aperte. "Oggi il rapper può considerarsi il cantautore moderno, con lo stesso fascino e lo stesso carisma della classe cantautorale italiana anni '70, anzi forse sono gli artisti che riescono ad esprimere e a trasmettere meglio i concetti, che siano disagi, situazioni corrotte o corrette, la confusione che la nazione vive ormai da anni, con un linguaggio diretto e di facile comprensione", con queste parole il project manager del Tour Music Fest ha spiegato da dove è nata l'idea di aprire il campus a queste discipline.

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Il rapper Ghemon

Cosa ci sarebbe da aggiungere? La prima eccezione arriva dal pubblico, dalla scena, che ha da contestare la scelta di Kiave. Si tratta degli stessi “talebani” che non accettano il fatto che l’hip hop sia ormai una matrice, dopo 35 anni di storia, capace di essere anche anagraficamente genitore e progenitore di altri generi e nuove individualità meticce. Da dove arriverebbero dischi elettronici come quelli di Capibara e God Bless Computer altrimenti, sempre limitando il discorso al qui ed ora? Tale chiusura mentale è mitigata dalla diplomazia, altrimenti ci troveremmo di fronte ad un frazionamento della scena che l’ha mandata in rovina, a suon di inimicizie, già alla fine dei 90. I rapper non sono affatto dei cretini e dunque tentano di non ripetere i propri errori, sebbene la cosa renda l’hip hop più vicino al fare dei politici italiani che a quello praticato dove questa musica è nata. Sul fatto che Kool Herc, pioniere fondatore del djing, abbia dichiarato quanto Obama sia un presidente hip hop si può divergere per una questione di posizioni economiche e di pace internazionale, certo, ma ciò non toglie che quel leader rappresenti la black music, tanto da dichiarare il valore di Frankie Knuckles al mondo intero, dopo l’addio del dj a questa Terra. Renzi, oltre ad indossare i jeans, si limita a citare Holly e Banji e non certo Joe Cassano, nelle proprie pertinenze plateali col mondo giovanile o post-giovanile, dunque l’Italia è lontana dal considerare il rap e la musica alla stregua di elemento imprescindibile della nostra Cultura, tant’è che i cd vengono tassati come beni di lusso a differenza dei libri e dei film.

E-Green
E-Green

Ma il fatto che la scena non sia realmente coesa è il modo più sano per riconoscere questa differenza: incolpare i Palazzi è una soluzione da grillini e non certo da rapper. In realtà, in questi 25 anni di rap in italiano, pur avendo strizzato l’occhio ai centri sociali e al marxismo, l’hip hop nostrano non ha saputo costruire una collettivizzazione degli apparati dei quali è stato parte essenziale, lasciando fallire magazine come Aelle, Da Bomb, Superfly, nati al suo interno, ed è toccato anche a etichette e distributori fare la stessa fine. Ultimamente sembrava che qualcosa fosse rimasto in piedi, ma gli avvenimenti questa settimana fanno riflettere. Cos’altro è successo? E-Green, uno dei migliori rapper in circolazione, divorzia da Unlimited Struggle, una delle migliori crew-label in circolazione, avvenimento normale se non fosse per le rispettive “circolari” che chiudono il cerchio. "Da oggi Evergreen A.K.A. E-Green non fa più parte dell’etichetta e della crew Unlimited Struggle . Abbiamo sempre fondato il nostro lavoro sulle persone prima che sulle capacità artistiche e quando questo tipo di rispetto viene a mancare è impossibile continuare un rapporto, sia esso lavorativo o artistico. Auguriamo ad E-Green “buona pesca” in questo grande mare e vi salutiamo con uno dei suoi pezzi migliori dove si parla di cuore, ma soprattutto di fame. “La Superbia ruba l’anima agli artisti e li tramuta in schiavi”
dichiara Stokka, il label manager". Mentre, la controparte, il rapper, si esprime con tono apparentemente diverso: "Da oggi la mia etichetta discografica non è più UNLIMITED STRUGGLE. A poco più di un anno dalla pubblicazione del mio disco ‘Il cuore e la fame' e in precedenza dei mixtapes ‘entropia' e ‘bricks & hammers', non posso che esprimere una grande riconoscenza al collettivo di cui ho fatto parte e che mi ha accompagnato in 3 anni ricchi di soddisfazioni. E' una scelta molto sofferta, frutto di una necessità personale e dettata da alcune divergenze di natura professionale. ‘BEATS n HATE' sarà il titolo del mio prossimo album, in uscita questo inverno. Il disco è a tutti gli effetti in fase di autoproduzione. La fase promozionale con tutto ciò che ne concerne avrà inizio nel mese di settembre 2014, con un’importante novità anche dal punto di vista del live act".

Ma non era il rap scevro da compromessi linguistici tanto da meritare un’avvertenza per via del messaggio troppo esplicito in copertina da esibirsi coattivamente? A cosa serve tanta diplomazia? Avremmo anche noi la nostra Banana a guidarci forse? Speriamo solo di non trovarci Bingo Bongo come capo del Governo, dato che Celentano, a detta sua, avrebbe inventato il rap…

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