È impossibile non amare i Red Hot Chili Peppers: guida a Unlimited Love col ritorno di Frusciante
La chitarra di Black Summer che apre Unlimited Love, ma anche il basso di She's a lover e Aquatic Mouth dance, che riporta alla mente il funk che da sempre contamina la loro musica. I Red Hot Chili Peppers sono tornati a sei anni da The Getaway e lo hanno fatto con qualche novità. Se possiamo definire veramente novità il ritorno a casa, ancora una volta, di John Frusciante e quello di Rick Rubin che dopo un album di pausa torna con la band di cui ha contribuito a costruire il suono. Quello del chitarrista, invece, è il secondo ritorno, dopo quello di Californication e l'abbandono dopo il tour di "Stadium Arcadium" che fu meno traumatico del primo, quando Frusciante si stava distruggendo con l'eroina e fu sostituito da Dave Navarro per "One Hot Minute".
Dopo la "sperimentazione" di The Getaway, che la band mise nelle mani di Danger Mouse cercando un suono altro (anche se è impossibile togliere i RHCP dai RHCP), questa volta la band torna con un album che li rispecchia maggiormente, in cui si sente di più il suono che abbiamo imparato ad amare negli anni, con quel calderone di rap-rock-funk in cui ognuno dei componenti mette del suo, con tratti che sembrano irripetibili. Per questo l'attacco di Black Summer è quasi una madelaine, fa scorrere nella mente il film a velocità triplicata delle tante canzoni della band che generazioni di ascoltatori hanno mandato a memoria. Come dice al Guardian Anthony Kiedis, quest'album è un po' un "tornare alle origini: suoniamo semplicemente musica insieme senza aspettative" benché ritornare alle origini sia anche “un po' imbarazzante (…), quello era un momento in cui non c'era davvero nient'altro da fare che divertirsi ed essere odiosi, sfacciati, grossolani – tutte caratteristiche che avevamo da giovani di 20 anni".
È indubbio che i Red Hot siano una band fondamentale per la storia del rock mondiale, Blood Sugar Sex Magik li catapultò nell'arena principale, gli portò milioni di fan, portò anche un'enorme carico di responsabilità – e Frusciante ne sa qualcosa – facendoli diventare punto di riferimento di una generazione. "Under the bridge", "Suck My Kiss", "Give it away" sono singoli enormi, che gli hanno permesso di sopravvivere anche allo scossone dell'abbandono di Frusciante (che non è membro fondatore, ma dopo essere stato fan della band entrò per registrare Mother's Milk) con un album che fu accolto freddamente e col tempo fu rivalutato. Il suo rientro, però, segnò un momento importante, "Californication" fu un successo strepitoso, confermando la loro attitudine, enfatizzandone la capacità di scrittura, lasciando singoli come "Scar tissue", "Other Side", "Road Trippin'".
Questo Unlimited love, questo amore illimitato, segna una sorta di bisogno di riprendersi in mano quel suono, quella voglia, per questo il ritorno del figliol prodigo è quasi stato sentito come una necessità: c'era ancora qualcosa da scrivere, qualcosa che non era stato chiuso, c'era da fare ancora i conti con quel fantasma, come Flea spiegò a Josh Klinghoffer – che per 10 anni di Frusciante aveva preso il posto -, quando lo licenziò comunicandogli il ritorno del vecchio chitarrista. E in quest'album si sente quell'attitudine funky, l'amore per il rock da stadio che non possono non aver sviluppato, si sente la voglia di hard rock ("These are the ways"), la capacità di abbassare la velocità, come in pezzi come "White Braids and Pillow Chair" o "It's only natural", ma soprattutto c'è Kiedis che scrive di vecchiaia, canta di grandi scimmie che vogliono essere libere ("All of my love and half my kisses. Superstar don't do the dishes. I just want the great apes to be free"), ma anche di disastro ecologico, come abbiamo visto in Black Summer, amore e amore tossico come in "Here Ever After", mentre in "The Heavy Wing" lascia spazio a Frusciante nel ritornello, come fece in Dosed di By The Way.
I RHCP si confermano come una band che sa ancora bene come muoversi, che non lascia il solco che hanno faticato a scavare in questi anni, cercano di ricongiungersi a quel suono che li ha portati a essere una delle band più importanti degli anni 90/2000, una band arrogante, iconica, talvolta esagerata (anche questa volta piazzano 17 canzoni), ma proprio per questo ammaliante, capace di far innamorare un po' tutti, in grado di scrivere pezzi come Under the Bridge, Pea e My friend, ma anche Higher Ground, Can't Stop, Give It Away, ognuno diverso dall'altro, ognuno perfetto a modo suo. Per questo alla fine è impossibile non amare questi quattro ex ragazzacci californiani che a petto nudo hanno conquistato il mondo e, nonostante tutto… sono ancora qui.