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Dadà si trasforma in Mammarella: “X Factor è stata solo una vetrina, ora ho bisogno di altro”

Dadà, nome d’arte di Gaia Eleonora Cipollare, dopo l’esperienza a X Factor 2022, esordisce con il suo primo Ep Mammarella. Qui l’intervista.
A cura di Vincenzo Nasto
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Dadà, nome d'arte di Gaia Eleonora Cipollaro
Dadà, nome d'arte di Gaia Eleonora Cipollaro

Dopo l'avventura a X Factor 2022, Dadà ha annunciato nelle scorse settimane il suo primo Ep dal titolo Mammarella: un progetto in cui i sei brani verranno svelati ogni venerdì a partire dal 30 giugno e fino al 4 agosto. Si comincerà con Verd Mìn, il primo capitolo che vedrà protagonista "Tarantina, 88 anni, dea popolare, terrena, mediterranea", come recita il suo profilo Instagram. Dadà ha voluto raccontare la nascita di Mammarella, con il titolo che si lega a due significati: quello di "piccola mamma", ma anche una varietà di carciofo che cresce ad Acerra, terra di Pulcinella. Proprio la maschera napoletana della commedia dell'arte è diventata il fulcro grafico del progetto, che vede sulla copertina Gaia, il vero nome di Dadà, nei suoi panni: "Pulcinella è maschio e femmina, è buono e cattivo, è maschera e persona e in questa placida fluidità voglio fare il primo passo verso la mia identità, aprendomi a voi". Qui l'intervista a Dadà.

Come sono stati i primi mesi del 2023?

Molto diversi rispetto all'anno precedente, è stato un periodo molto difficile per me, anche all'interno di X Factor. Riconosco che la grande vetrina mi è servita tantissimo, però in quel momento avrei dovuto impegnarmi il doppio per quella visibilità.

Pensi che il modello X Factor non fosse sostenibile per scoprire la tua musica?

Credo che rappresenti una grande opportunità "one shot", ma la quotidianità è diversa. Non combacia con il mio modo di vedere il mondo, anche perché il pubblico non riceveva un'esibizione a 360 gradi, si lasciano troppe cose dietro.

E con Mammarella cosa hai raggiunto?

È tutto più largo, e si avvicina anche a ciò che vorrei fare io con la musica: testimoniare che vengo dal mondo della musica classica. Sono una strumentista e poi cantante: mi sono avvicinata al mondo del clubbing per un mio gusto personale.

Senti che mancava qualcosa nel tuo racconto?

Mi fa piacere che gli altri abbiano una visione più completa della mia musica, notando questo percorso che viene chiamato volgarmente gavetta. Magari tutto questo scompare dietro la cassa dritta, ma non per me.

E invece perché hai scelto la strada di un Ep a puntate, in cui ogni settimana viene svelato un brano?

Quando ho incominciato a riflettere su un tetto che potesse raccogliere tutti i brani sotto il tema del dualismo, ho vagato in tutta la musica che ho scritto. All'interno di Mammarella ci sono canzoni che ho scritto a 17 anni e altre che ho scritto solo l'anno scorso: ho scoperto che riesco ad esser più felice come persona e artista quando mi do la possibilità di crescere gradualmente, come quando sboccia un fiore: perché io dovrei privarmi di questa crescita?

Un passo decisamente controcorrente rispetto all'idea di un progetto chiuso tra le tue mani, un prodotto fatto e finito.

Credo che in ambito musicale, soprattutto oggi, riusciamo a leggere i risultati perché ci vengono trasmessi grazie alle piattaforme di streaming e ai social. Ma in realtà, credo sia brutta la sensazione di sentirsi persi con qualcosa tra le mani. È una misura di salvaguardia anche verso me stessa.

Da questo punto di vista, quale criterio hai utilizzato per scegliere i brani in uscita?

Il primo e l'ultimo si sono scelti un po' da soli. Da una parte c'è una persona introdotta in questo battesimo, come primo momento simbolico della propria vita: non è per forza legato alla radice cristiana di un individuo. In questo percorso, nel video, c'è una donna transessuale di 88 anni a traghettare tutta la scena. Mentre per quanto riguarda l'ultimo brano, c'è il senso di eternità che rappresenta una perfetta chiusura: nel video c'è una coppia di 84 anni a cui ho voluto lasciare la parola. Io sono ancora troppo piccola per aprire e chiudere questi capitoli.

Musica classica e clubbing: qual è il filo rosso che li lega?

I miei genitori mi hanno chiamata Gaia, un nome che nasce dal caos, quindi quasi per natura non c'è un ordine. Capita anche nella vita di tutti i giorni: posso scrivere un brano chitarra e voce, ma anche lavorare a qualcosa con altre sonorità. Adesso che ho un atteggiamento molto più clubbing, sono riuscita a concepire un caos "ordinato".

Mentre dal punto di vista visual, è un progetto che richiama molto l'ambiente teatrale. 

Credo che il lato estetico sia il contrasto più grande del progetto. Ho avuto l'opportunità di entrare nel mondo teatrale, facendomi realizzare abiti su misura per i video. Ho lavorato molto con il regista sulle inquadrature, sull'attenzione ai dettagli: quelli a cui sono più affezionato sono le storie della bambola e della sirena. Hanno una componente magica, quasi cartoon, mentre gli altri video hanno una nota teatrale, anche perché rimangono nell'umano, nel quotidiano.

C'è il mondo del teatro nel tuo futuro?

Non ne faccio mistero, è uno dei miei pallini. Fin da piccola ho dovuto scegliere se studiare chitarra, ma ho provato anche a cominciare teatro, rivolgendomi a quelli napoletani. Vorrei spingere sull'acceleratore adesso, anche perché è ciò che, assieme alla musica, mi dà la soddisfazione più sincera.

Questa forma teatrale arriverà anche sul palco dei live estivi?

Sai, arrivando dalla musica classica e dal folk sono sempre stata ferma sul palco. Il pubblico, durante i live, riconosce questa timidezza e cerca di venirmi incontro. Per adesso, con gli abiti che sto facendo realizzare, sto cercando di catapultare questa esperienza live in un ambito teatrale, com'è avvenuto durante il concerto a Palazzo Reale a Napoli, quando ho indossato un abito enorme.

Che tipo di immagine vuoi trasmettere?

Ho scoperto di sentirmi a mio agio in un mondo lontano da quello attuale, sempre un po' attillato, in cui il corpo viene spesso veicolato come prima cartolina. Mi sono riscoperta come una Pulcinella non troppo mascherata.

Un gioco di ombre?

Il teatro ha anche bisogno di una forza espressiva che non è la potenza delle immagini: per me è altro, infatti punto tutto sull'intensità e l'interpretazione.

Che ambiente si deve aspettare il pubblico?

Sicuramente ogni racconto avrà un set diverso, visivamente parlando. Questo può essere anche statico, non per forza un balletto.

In quest'ultimo anno qual è la consapevolezza più grande che hai raggiunto?

Credo rispettare la mia opinione. In un mondo in cui il criterio di rilevanza è data da una spunta blu, ho imparato che la cosa più preziosa è la mia opinione, la mia consapevolezza. È una cosa che posso modificare nel tempo se voglio, ma per me ha una grande valenza.

Invece la paura maturata negli ultimi anni della tua carriera musicale?

Non credo sia più quella di esplorare l'universo pop e di fare una brutta figura, ma di riuscire a testimoniare ciò che vivo agli altri. Essere fedele a me stessa e alla mia poetica.

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