Con “Cosa siamo diventati” Diodato scava dentro di sé tra rock, poesia e natura
Ad Antonio Diodato non gliene frega niente delle mode, si muove in bilico tra una serie di atmosfere, sceglie di percorrere una strada che ha ben delineata nella propria testa e va avanti come un carro armato, come avviene anche in ultimo album, il secondo di inediti – intervallato c'è stato un album di cover ("A ritrovar bellezza" nato in seguito alla partecipazione del cantante, in qualità di resident artist, a "Che tempo che fa" – "Cosa siamo diventati" (Carosello). Il cantante tarantino che due anni fa sorprese il pubblico del Festival di Sanremo e l'Italia intera con "Babilonia", ha cacciato fuori dal cilindro un album che rafforza quello che è il suo percorso di personaggio fuori dagli schemi e dai compartimenti stagni che in questo momento caratterizzano e a volte soffocano la musica italiana, muovendosi in bilico tra una propensione a un pop destinato al grande pubblico, ma senza mai perdere un animo, un gusto, una sensibilità, di una raffinatezza rara.
Diodato è uno di quei musicisti che hanno un'enorme tecnica supportata da una voce e una vocalità che difficilmente troviamo nel panorama attuale, ma è anche uno che non ha paura di prendere la chitarra in mano e mostrare il suo lato rock per scrivere queste canzoni che sono soprattutto d'amore: "Ho lavorato a lungo a questo album perché volevo potesse essere una fotografia nitida del mio vissuto e della mia attuale visione musicale – ha dichiarato, parlando dell'album -. Ho cercato a lungo le parole giuste arrivando a scavare a fondo in un processo che talvolta, non lo nego, è stato anche doloroso. Volevo ci fosse tutta la verità, tutta la sincerità possibile".
E per capire quello che intende, basterebbe guardare il primo singolo estratto, "Mi si scioglie la bocca", accompagnato da un video da pelle d'oca. Ma tutto l'album è un percorso che alterna, anche nel giro di pochi secondi, la tensione emotiva di una ballad alle sfuriate rock, in bilico tra la morbidezza del pianoforte e le spigolature della chitarra ("Fiori immaginari" per dirne una): "Gran parte dei brani è stata registrata in vere e proprie sessioni live e tutto il lavoro produttivo successivo ha cercato di tutelarne l’intensità e di valorizzare l’interplay, il dialogo, creatosi tra i musicisti".
C'è anche un'attenzione ai testi, che talvolta danno vita a racconti veri e propri ("Guai", "Cosa siamo diventati") altre volte a storie nate da accostamenti di immagini e suggestioni ("Paralisi nel deserto degli alibi, brucia il sole si questa terra arida" in "Paralisi" o "L'ho dato al vento il mio tormento per te, perché ho temuto che il fuoco potesse ridurmi in cenere" nel primo singolo uscito). E chissà se è un caso che ci sia un campo semantico entro cui il cantante tarantino si muove con maggiore attenzione, quello naturalistico: a caratterizzare la copertina e l'artwork dell'album sono le foglie (che si tramutano in uccelli) e i rami, ma poi ci sono le sabbia mobili, il calore, il sole (che brucia), la terra arida, gli alberi senza terra, il vento, i fiori immaginari, il fuoco, a descrivere queste storie d'amore che sono, spesso, tormentate: "‘Cosa siamo diventati' racconta un vissuto fatto di fragilità, di sensi di colpa, di felicità, di incontri luminosi e distacchi dolorosi, di ombra e di luce, di caduta e di rinascita. C’è la consapevolezza che tutto si arrende all’inarrestabile divenire delle cose", parola di Diodato.
La produzione artistica è stata affidata anche questa volta a Daniele “ilmafio” Tortora mentre la band è sempre composta da Daniele Fiaschi (chitarre), Duilio Galioto (piano, organi e synth), Alessandro Pizzonia (batteria) e Danilo Bigioni (basso), a cui si sono aggiunti, però, Fabio Rondanini, già batterista dei Calibro 35 e degli Afterhours, e il GnuQuartet che ha registrato archi e flauti per tre brani dell’album.
Diodato sarà protagonista in due live che si terranno venerdì 24 febbraio al Lanificio 25 di Napoli e il giorno dopo, sabato 25, al Villanova di Pulsano (Ta).