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Colombre a un anno da Pulviscolo: “Insegnando a scuola ho imparato che non puoi dire falsità”

Colombre è una delle sorprese musicali del 2017, grazie al suo primo album solista “Pulviscolo”. Il cantante che è anche prof di Lettere ha parlato anche del suo rapporto con gli alunni con cui parla anche il linguaggio musicale.
A cura di Francesco Raiola
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Colombre
Colombre

È stato Dino Buzzati a ispirare a Giovanni Imparato, professore di Lettere e musicista, il nome che avrebbe dato il la al suo nuovo percorso artistico, dopo l'esperienza con i Chewingum. Si sarebbe chiamato Colombre, come un racconto dello scrittore famoso per quel capolavoro che è "Il Deserto dei Tartari", perché, spiega a Fanpage.it "a differenza del protagonista del racconto io ho voluto affrontare adesso, nel presente, questo mostro che è la paura di svelarsi, di affrontare qualcosa di cui magari pensi di non essere all'altezza". E la paura l'ha affrontata con un album d'esordio, "Pulviscolo", che ha avuto ottime critiche e in cui mescola pop, psichedelia, una forma canzone diversa dal pezzone radiofonico e una grande attenzione anche ai testi. In occasione della data napoletana gli abbiamo fatto qualche domande, affrontando anche la commistione tra musica e scuola.

Siamo a un anno dall’uscita di “Pulviscolo”. Quanto è un anno nella vita di un artista rispetto al proprio album? E che significa ritrovarsi a farci i conti a un anno dalla sua uscita?

Significa aver fotografato un momento molto importante, di cambiamento, anche di crescita, di quella voglia di mettersi in gioco, a nudo, raccontando quello che erano le cose che uno prova e si vergogna di dire. La sfida era proprio questa: mettermi a raccontare delle cose che non avevo raccontato o magari avevo raccontato in modo diverso. Fotografare questo momento che è condensato in quasi tre anni: una cosa veloce, pazza, che però mi rende molto orgoglioso di quello che nel mio piccolo sono riuscito a fare.

Starai lavorando al nuovo album, su quali binari ti stai muovendo? Questo ha varie sfumature, ma ci sono alcuni punti fermi di scrittura, come nella forma canzone, nella malinconia di fondo etc e volevo capire dove stai andando adesso.

Per me ci sono dei capisaldi che sono quelli legati al fatto che la musica deve essere una cosa molto istintiva e solo in un secondo momento ragionata. Il fatto che tu hai sottolineato della mancanza di un canone nel creare la canzone forse è legata al fatto che l'istintività mi porta a improvvisare qualcosa, la qual cosa viene razionalizzata e a quel punto non sempre serve per forza un ritornello al minuto tot: prendi un pezzo come "Pulviscolo", è un'improvvisazione che ho fatto con l'organo e la melodia sopra. Le cose nuove si muovono sempre in questa formula, a livello di musica e melodie, nasce tutto dall'improvvisazione. Questo per quanto riguarda la musica, mentre per i testi sono cose più non ragionate: i testi di Pulviscolo sono venuti fuori in un momento preciso, dopo che era passato del tempo e avevo avuto il bisogno di rendermi bene conto di quello che avevo vissuto, sputandolo in questo modo. Per quanto riguarda le prossime canzoni non lo so bene, è legato molto all'istinto, al momento e sicuramente la sfida ulteriore è parlare di sé per parlare degli altri, ancora di più.

In Colombre, lo sappiamo, c’è Buzzati: parlami dell’attesa e di come Pulviscolo si oppone a questa cosa, anzi, parla dell’andare avanti. Se le cose hanno un senso o lo hanno solo per chi come me lo interpreta così.

Ma vedi, il punto era proprio questo, quando ho letto quel racconto avevo capito che era il nome perfetto per l'avventura che stavo per cominciare, però contrariamente a quello che ha fatto il protagonista del racconto, che ha vissuto una vita di attesa nei confronti di questo mostro che pensava che gli avrebbe portato sventure e invece gli portava la felicità, la perla del mare, io ho voluto affrontare adesso, nel presente, questo mostro: la paura di svelarsi, di affrontare qualcosa di cui magari pensi di non essere all'altezza e secondo me era proprio quella la cosa interessante, mettersi in gioco cercando di essere più onesto e sincero possibile con te stesso, affrontando tutto senza aspettare di diventare vecchio.

Ci sono due entità altre che aleggiano su quest’album: tuo fratello e Letizia ((conosciuta anche come la cantautrice Maria Antonietta) a cui è dedicata “Dimmi tu".

Sì, sono due capisaldi senza i quali non potrei aver fatto quello che ho fatto col disco, per come è stato realizzato: mio fratello ha suonato le batterie, quindi a livello ritmico mi ha dato un supporto vitale, così come ha fatto Letizia che mi ha dato un orecchio esterno fondamentale, perché a volte, quando sei chiuso nel tuo mondo a scrivere le tue canzoni, potresti perderti in esse e non riuscire ad avere più una via precisa. Invece ho avuto la fortuna di avere Letizia, che ha sentito passo per passo le cose, anche solo magari con un parere, cose su cui ragionare e mettermi ulteriormente in gioco

Insegni ancora?

Insegno, ma da quando è cominciato il tour no, perché non riesco, sono molto impegnato. Appena mi fermo, però, se dovesse ricapitare una supplenza, all'ultimo, perché no.

I ragazzi sapevano quello che facevi? Ti ci sei mai confrontato?

Con i ragazzi è un rapporto molto speciale: adesso lo sanno perché mi seguono su Instagram, prima forse l'hanno potuto intuire, anche perché le lezioni erano incentrate su contenuti musicali etc. Questo discorso dei ragazzi, tra l'altro, è stato importante per scrivere i testi. Con l'esperienza che ho avuto a scuola ho capito che quando scrivi qualcosa che va fuori la tua casa, non puoi, nelle canzoni come a scuola, dire delle cose false, con te stesso e con gli altri, quindi questa esperienza mi ha aiutato a essere diretto e ancora più sincero nelle cose da dire, senza giocare a nascondino sotto formule allegoriche.

Eri uno di quei prof che portava quel mondo là in aula?

Non necessariamente, nel senso che anche quella era una cosa di istinto, quel lavoro là, come la musica, è molto legato all'istinto e alla vita che vivi nel momento in cui sei nel mondo. Banalmente: muore Bowie, entri in classe e gli fai ascoltare a un volume stratosferico ‘Heroes' e visto che i ragazzini non conoscevano quella canzone ne vengono travolti e ne escono entusiasti. Oppure ricordo che una mattina in cui dovevo spiegare la poesia a una seconda media ed è difficilissimo, a meno che tu non ti rifai a quello che è il manuale, ma anch'esso è difficile da spiegare. Pensai, quindi, di fare un excursus musicale, passando da Dylan e arrivando a Ghali, spiegando come il testo cambia forma nel corso degli anni fai in modo che si avvicinino al testo poetico più facilmente, con qualcosa che li riguardi. Vedere dei ragazzini che sono fan di Ghali, vederselo spiegato in una lezione di poesia, casomai quando leggi Petrarca, ha un altro fascino. Ricordo anche una lezione alle Superiori, quando portai il computer a scuola, lo attaccai alle casse, messi su Ableton, un synth con un beat e gli feci rappare Petrarca in una gara e loro hanno capito che quell'uomo non era solamente un tipo palloso che viveva centinaia di anni fa che ha scritto cose bellissime e lontane da loro, ma era qualcuno che in un certo qual modo poteva essere equiparato a un cantante che circonda la loro vita. Capendo questa cosa, mi sono reso conto, dal compito in classe che avevano tutti studiato Petrarca.

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