Colapesce Dimartino: “Rivendichiamo spazi di riflessione, nonostante pop sterile e attacchi da destra”
Colapesce Dimartino, quasi come un'unica parola, quella che negli ultimi anni tantissime persone hanno cominciato a conoscere grazie a due Sanremo fortunati, uno con Musica Leggerissima e l'ultimo con Splash. Due artisti che da anni accompagnano il cantautorato italiano verso una nuova età adulta, lavorando a una terza via che sia tra l'idea polverosa che per molti ha il cantautorato e il pop leggerissimo, anche troppo. Come provano a fare da anni, ormai, da quando Colapesce era Colapesce e Dimartino era Dimartino, due entità singole seppur molto vicine, la ricerca è quella di una strada che, senza snaturarsi, potesse suonare "comoda" anche a un pubblico ampio, abituato allo zapping radiofonico, ma regalando più chiavi di lettura delle proprie canzoni: c'è chi senza far attenzione al testo, bada all'orecchiabilità – ottenuta senza mai perdersi in compromessi -, chi legge il testo senza troppa attenzione, ma resta comunque catturato dagli hook e i vecchi fan che conoscono bene la scrittura di entrambi e si perdono alla ricerca delle rispettive caratteristiche. Lux Eterna Beach è il loro secondo album insieme e conferma la bontà di un progetto che ha regalato un po' di classici alla discografia contemporanea e che in quest'album continua a mescolare melodie e armonie ricercate senza perdere l'immediatezza e soprattutto senza perdere l'amore per la parola, e il calembour, ma soprattutto con l'intenzione di parlare di qualcosa. Ragazzo di destra è forse l'esempio più semplice, però il colpo di classe è "La luce che sfiora di taglio la spiaggia mise tutti d'accordo", la canzone che dà il via all'album, un brano di 6.20 minuti, che cambia vari registri musicali, non è dotata di una struttura classica a livello di costruzione ma che riesce a incantarti e tenerti dentro fino all'ultimo. E all'interno dell'album si cambia molto, senza mai perdere un'identità e un'idea di suono ben precisa, che sia Trentamila minuti o Sesso e architettura, un inedito di Ivan Graziani o la strumentale che chiude l'album, pescando dalla musica leggera classica italiana ma colorandosi di tante influenze anche internazionali, che alla fine, però, confluiscono in un sound ben preciso.
La spiaggia è un topos della musica che vi serviva per raccontare cosa?
Dimartino: Per ambientarci delle storie, metterci dei personaggi, ci serviva per fare un disco che definiamo cantautorale, un termine che a volte sembra un'offesa, però a questo giro rivendichiamo il ruolo del cantautore: un ruolo che negli anni è diventato sempre più marginale o interpretato come barboso, che racconta storie antiche che non interessano a nessuno. Adesso, invece, il cantautore, secondo noi e il disco che abbiamo fatto, può tornare ad avere un ruolo nella società, che non significa cambiare leggi o fermare una guerra, ma arrivare dritto all'individuo.
Parlando de I mortali mi diceste che cercavate una “terza via al cantautorato polveroso e alla canzone leggerissima”, direi che ci siete riusciti, no?
D: La terza via è qualcosa che cerchiamo da sempre anche nei nostri dischi solisti: canzoni che cercano di arrivare a un pubblico senza risultare vuote, che trasportano significati e Lux Eterna Beach è un disco che si trova nel pieno di questa terza via.
Come mai questo titolo?
D: Lo abbiamo da tanto tempo, almeno da tre anni, ci piaceva come suonava. Nel nostro film, "La primavera della mia vita", c'è un easter egg: quando arriviamo su una spiaggia c'è Lorenzo che a un certo punto fa un discorso rispetto allo scrivere un disco libero e lo cita. Quest'album è un limbo di riflessione, ci piaceva anche il fatto che fosse molto luminoso, e anche laddove si inerpica in iperrealismi, resta un disco di luce.
Sempre nella stessa intervista parlavate di come bisognasse andare oltre il pop rassicurante e che del vostro bisogno di raccontare l’attualità: sono due linee che mi pare abbiate seguito anche adesso…
C: Assolutamente, fa parte della terza via di cui parlavamo: siamo convinti che il cantautorato pop, come in altri momenti storici in cui ci sono malcontenti o Governi di un certo tipo, possa avere spazio. Pensiamo a Sixto Rodriguez in Sudafrica o a Victor Jara in Cile, ci sembrava giusto rivendicare questa figura del cantautore che è un po' sparito perché la musica è andata sempre più verso l'intrattenimento, il non prendere mai posizione, non dire niente, o fare canzoni d'amore sterili e basta. A noi, invece, piaceva l'idea di scrivere un disco che andava un po' in antitesi con questa cosa, non per fare gli strani ma perché è un momento storico in cui si possono dire delle cose ed è giusto dirle.
Ragazzo di destra è un esempio…
C: Sì, certo, ma lo facevamo anche prima, è una cifra nostra. Lux Eterna Beach non è un disco politico, ha intenzioni poetiche, non siamo tesserati con un partito e ci stiamo schierando. Ragazzo di destra, per esempio, è un pezzo di pace, che parla di paura, la stessa che c'è – con le dovute distanze – ne La guerra di Piero di Fabrizio De Andrè, dove troviamo questi due soldati con bandiere e divise di diverso colore ma con le stesse paure, infatti si chiude con noi che gli diciamo "Sei sul ciglio di una scogliera, come me hai paura".
Mi incuriosiva anche il ruolo che vi siete trovati attaccati addosso, quasi come se voi foste l'opposizione per una certa parte politica, soprattutto dopo la visibilità di Sanremo. Qualche tempo fa vi siete trovati anche al centro di polemiche per una canzone come Rosa e Olimpo: avete portato quel cantautorato al centro del dibattito.
D: Questo ruolo di autori di canzoni impegnate, che dicono qualcosa, ce lo siamo preso, non perché non volevamo scrivere altro, ma perché è un ruolo che bisogna assumersi: escono diecimila pezzi che parlano della stessa cosa e c'è un momento in cui qualcosa bisogna dirla, e non per forza qualcosa che sia politico. Hai citato Rosa e Olindo che non è una canzone politica, ma parla d'amore attraverso un fatto di cronaca, è una canzone in cui ribaltiamo le prospettive, un modo di fare musica utilizzando il linguaggio che ha il cantautore, la cui figura vediamo soprattutto come quella di un documentarista: rivendichiamo più questo ruolo che quello politico. Ragazzo di destra, per esempio, non è tutti i ragazzi di destra, ma solo uno, è una storia in particolare. Prima che uscisse eravamo consapevoli che saremmo stati attaccati, anche perché ultimamente da destra tendono a vedere nemici che non hanno, anche perché non è che a sinistra troviamo leader super credibili, un'opposizione inossidabile, la destra comanda, nessuno dice niente, quindi sì, c'è consapevolezza.
Ci sono alcune strofe che mi sembrano un po’ manifesto, forse sono versi meno urlati. In Trentamila cantate: "Sottovoce dici qualche cosa, io non ti capisco perché Il mondo grida Dillo un’altra volta"…
C: Certo, tra l'altro forse è l'unica vera canzone d'amore del disco, ma anche una canzone d'amore può assumere una rilevanza politica, sociale, come in questo caso. Mi fa piacere che hai citato quella strofa perché è il cuore del lavoro che abbiamo fatto su Lux Eterna Beach.
Tutti citano Battisti e Battiato, però nelle vostre canzoni ci sono echi di band come War on drugs, Tame Impala, i citatissimi Radiohead. Insomma, è un album che gioca con le sonorità, si va da quelle di Trentamila euro a La luce che sfiora di taglio la spiaggia mise tutti d’accordo che dentro ha vari movimenti: lo avete sempre fatto, ma quanto è stato difficile mantenere questa libertà?
C: Un po' ci viene naturale. Su Trentamila euro c'è stata un'ispirazione per la parte di archi che è "It's Raining today" di Scott Walker, con questi archi dissonanti che sono quasi rubati nella strofa iniziale, in maniera volutamente citazionistica, visto che è un autore che amiamo tantissimo. Ma anche per quanto riguarda la parte di produzione di quel brano, volevamo che gli archi, fatti da Davide Rossi, suonassero un po' ovattati.
Vi piace molto anche questa fase, giusto?
C: Sì, quella della produzione è una parte altrettanto creativa, come la scrittura, ci diverte molto creare un immaginario sonoro. Ovviamente avevamo delle reference, si sentono le cose che ascoltiamo. Ci abbiamo lavorato tanto, è frutto anche del tanto suonare dal vivo: gli anni scorsi abbiamo lavorato anche alla colonna sonora del nostro film che è tutto suonato live e forse un po' questo disco è figlio di quel lavoro, come se quella fosse stata una fase propedeutica per arrivare a una quadra sonora che ci appagasse anche per quest'album. Ci siamo sbizzarriti, è come quando hai una tela bianca e devi costruire il tuo immaginario, quindi troviamo il sitar, gli archi, le batterie che sono quasi tutte triggerate – non sono suoni di batterie naturali – e anche per le chitarre acustiche abbiamo inventato questa nuova microfonazione, che se la visualizzi è una cosa completamente sbagliata, però alla fine ci tornava come sound e l'abbiamo lasciata, così abbiamo queste chitarre che hanno questo suono strano, un po' antico. È una parte divertente che si racconta poco, però siamo molto sodisfatti del sound del disco: mantiene una vena di cantautorato, ma ha un suono molto contemporaneo.
A volte il rischio di dire "Battiato e Battisti" quasi ingabbia, no?
C: Se fai cose così, in Italia, è Battiato o Battisti, non se ne esce.
D: A me piace scrivere cose che mi piacerebbe ascoltare, chi scrive canzoni è prima di tutto un ascoltatore, quindi i riferimenti sono necessari, come si farebbe a scrivere senza nessun appiglio? Trovo che questa cosa dei riferimenti sia anche sana, poi abbiamo la fortuna di avere riferimenti interessanti, gente che nella vita ha rischiato tanto a livello musicale. Penso a Battiato, con ogni disco diverso dall'altro, niente che suonasse prettamente italiano, quindi sono riferimenti che riteniamo sani. A volte ci sono riferimenti, ma le canzoni sono sempre cose nostre, siamo convinti di avere un sound riconoscibile: Musica leggerissima, per esempio, suona in un certo modo, come non suonano altre canzoni, poi puoi sentirci dentro dei riferimenti musicali, ma suona in un altro modo.
Mi raccontate Sesso e architettura?
C: Siamo partiti da un concetto di cui siamo convinti, ovvero che l'architettura influenzi il rapporto tra le persone, in questo caso tra due amanti: se sei nato in una casa popolare o in una casa del ‘600 le relazioni sono diverse, anche solo per come sono organizzate le case, al cui interno ci sono zone di relazione, pensa alle case degli anni '70 con questi corridoi lunghissimi e le stanze su un lato, oppure quei saloni centrali in cui accade tutto. Ma vale anche per l'esterno, ci sono delle forme che hanno a che fare col sesso, noi abbiamo citato spesso lo Spasimo a Palermo che sembra una vagina gigante, c'è della sessualità nell'architettura e il luogo in cui vivi influenza tantissimo la relazione con una persona: a livello di relazioni se stai in una casa di 600 mq e ognuno ha il suo spazio è diverso che vivere in un monolocale. Forse in questo senso è poco battuto nella canzone ma ci sembrava uno spunto importante: insomma, l'amore dipende dalla metratura della casa (ridono, ndr).
Un pezzo come "La luce che sfiora di taglio la spiaggia mise tutti d'accordo", con quei tre personaggi e quelle dinamiche musicali, come nasce?
D: Musicalmente nasce dalla volontà iniziale di voler scrivere un pezzo AOR (Adult Oriented Rock), quindi a un certo punto avevamo questa batteria dritta e questi stacchi (li imita a voce, ndr), avevamo solo questi. Poi siamo andati in questa casetta sul mare, vicino Siracusa e abbiamo ragionato su come incastrare il testo con gli stacchi, ci siamo fatti un giro in macchina e c'è stata l'idea di fare un intro cantato. L'idea del capomastro, della pornostar e dell'anestesista è dovuta a una considerazione legata al concetto di verità: ognuno ha la propria verità, quindi il Capomastro può dire che il cielo non esiste, la pornostar che l'amore non esiste e l'anestesista che la morte non esiste, però in realtà, quando ognuno di noi si accorge di un raggio di sole che sfiora di taglio una spiaggia, si rende conto che il mondo è fatto di cose reali, che siamo tutti umani e ci riconosciamo nel fatto di vivere i sensi. È un concetto abbastanza semplice, ma ci piaceva l'idea di metterlo in una canzone un po' complessa, una canzone iper pop, anche se l'abbiamo trattata allo stesso modo con cui abbiamo trattato gli altri singoli nel New Music Friday, però ci tenevamo che uscisse questo concetto, che poi è quello che aleggia nel disco.
La libertà di prima sta proprio nell'uscire con una canzone che se ne frega degli standard radiofonici…
C: Guarda, quello non è un campionato che ci riguarda, non competiamo con le popstar. L'inizio del brano: "Arrivarono in silenzio i cambiamenti" dà il senso della fase di passaggio alla vita adulta e lì parte il disco: sei cresciuto, hai voluto fare il musicista. Il disco è veramente una sorta di concept, anche con quella chiusura strumentale: dopo aver sentito una vita di parole si spegne su questo brano che potrebbe sembrare una cosa di Disintegration (l'album dei Cure, ndr), ti vedi sulla spiaggia, con il sole quasi spento. Poi c'è un elemento particolare nella copertina, perché ci piace mettere ‘ste stronzate, ovvero l'orario esatto: quella è una foto vera, non fatta con l'intelligenza artificiale, è una meridiana che segna esattamente l'orario, come si vede meglio nel retro del disco, col sole che segna le 13.10. Ecco, anche quella è una dichiarazione: il "qui e ora".
Col senno di poi, com'è stato essere scoperti dal grande pubblico come duo?
D: È accaduto, ci siamo lasciati guidare dalle cose che succedevano, poi la cosa bella è che, ok, c'è stato il successo del duo, ma ognuno ha mantenuto la.propria individualità, ognuno fa le sue cose e il nostro è un rapporto che non è basato su contratti, non escludiamo, tra un anno, di ricominciare ognuno a fare dischi propri.
Il tour sarà l'ultimo atto assieme, per ora?
D: Non c'è una scadenza, per ora va così. Tutto ciò che abbiamo fatto si basa sulla voglia di fare le cose, il grande pubblico ci ha scoperto così, ma poi ha scoperto anche i nostri dischi da solisti, questa è una cosa importante accaduta nella nostra carriera.
C: Non so quanto quello casuale sia un pubblico che riesci a fidelizzare con quello che fai, ma fa parte del successo televisivo.
Però non è scontato non cadere in meccanismi di popolarità, anche a livello musicale.
C: Questo è stato un bivio, come duo: a un certo punto è facile la tentazione di fare un disco con 10 feat, fai milionate di stream e svolti la carriera, però ci teniamo ancora un po' alla musica, pensiamo che quello sia un altro mestiere, è il mestiere della popstar, dell'intrattenimento, ci sembrava pigrizia intellettuale andare in quella direzione. Ci piace fare ricerca sulle parole e sulla musica, anche tornare a Sanremo con Splash è stato strano: ora ci fa ridere, ma quando rileggiamo le chat di un anno fa pensavamo che fosse un pezzo strano, con un intro lungo, con la prima strofa diversa dalla seconda, i due ritornelli diversi, con uno special, e il titolo, Splash, che non diciamo mai se non alla fine: sulla carta era un errore totale, però alla fine credo che le scelte sincere che fa un artista arrivino, e forse sono anche quelle che ti permettono di essere più longevo. Infatti, è vero che esistiamo come duo da pochi anni, però siamo in giro da più di 15 anni.
Con band, da solisti, come duo…
C: Esatto, siamo nati in un momento storico – penso al primo disco di Antonio o al mio primo ep – in cui non c'era nulla: non c'era lo streaming, non c'era la discografia che ti supportava, non c'erano le radio, non c'erano i supporti, non si vendevano i dischi. Siamo nati in un momento di mega crisi, però se riascoltiamo quei dischi, ci vedo una serie di elementi che forse hanno aiutato anche altri – senza volerci prendere la bandiera di precursori -, è un discorso comunque che portiamo avanti da tanti anni, non è cambiata molto l'attitudine, questi siamo.