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Chi era Lou Reed: il genio che ha contribuito alla magia del rock

A 71 anni è morto uno dei cantautori che ha fatto la storia della musica mondiale. Anima ribelle e complessa Lou Reed raggiunse il successo con i Velvet Underground, prima di scrivere pagine memorabili con una lunga e proficua carriera solista.
A cura di Francesco Raiola
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Non è come nel 2001 quando si rincorsero le voci della morte di Lou Reed, rivelatesi, poi, una bufala. Il cantautore, uno dei più influenti della storia, è morto questa sera per cause ancora non note. Il cantante, che aveva raggiunto il successo coi Velvet Underground, creati assieme a John Cale nel 1966, aveva subito un trapianto di fegato per il quale era quasi morto, come dichiarò la moglie Laurie Anderson poche settimane dopo: “È stato molto male, stava per morire non credo che si riprenderà completamente, ma riprenderà le sue attività nel giro di pochi mesi”. Lo stesso Reed si disse "più forte" dopo quel trapianto.

Lou Reed diventò famoso coi Velvet Underground il cui primo album "Velvet Underground & Nico" è una delle pietre miliari del rock mondiale. Celebre per la sua copertina, con la banana disegnata da Andy Warhol che lo produsse, l'album contiene alcuni dei pezzi storici di Lou Reed che mescolò le sue doti cantautorali (facendo non poco scandalo) alla ruvidezza della musica in un mix che fece innamorare l'artista americano che li tirò fuori dalle bettole in cui si ritrovavano a suonare affiancandogli l'algida bellezza e la voce di Nico, modella e attrice svedese. In quell'album pezzi come "Femme Fatale", "Heroin", "Venus in Furs" e "All Tomorrow's Parties", diventeranno dei classici, benché sia l'intero album a fissarsi come un punto fermo del rock, segnando una delle punte più alte del nichilismo sentimentale, cantando storie di disperazione e degrado, dovute anche a un'adolescenza difficile di Reed segnata dall'elettroshock a cui i genitori lo sottoposero a causa dei suoi atteggiamenti omosessuali. L'album, inizialmente, passò abbastanza inosservato ma pian piano, anche grazie al passaparola e all'influenza di Warhol, conquistò la critica e il pubblico. Dopo il successo cominciarono i primi malumori e l'abbandono di Nico, prima, e il susseguente allontanamento dalla Factory warholiana, fecero da preludio all'uscita di "White Light White Heat" nel 1968 e di "The Velvet Underground", l'anno dopo, che dovette fare a meno di un altro pezzo fondamentale del gruppo, ovvero il co-fondatore John Cale.

Ma Lou Reed non è solo Velevet Underground, anzi. Il cantautore americano, infatti, anche da solista scrive album capolavoro come "Transformer", "Berlin" e "New York". Dopo Warhol è David Bowie l'artista che dà una svolta nella vita di Reed. Il Duca Bianco, infatti, assieme a Mike Ronson produce l'esordio del cantautore facendo di "Transformer" un album fondamentale. Ma le influenze sono reciproche, visto che Bowie ha sempre riconosciuto il peso che l'esperienza dei Velvet Underground ebbe nella sua vita. Il "glam-rock" che aveva in Alice Cooper, Bryan Ferry, Marc Bolan e lo stesso Bowie alcuni dei rappresentanti più importanti, potrà da quel momento annoverare anche Reed. È grazie al successo di quest'album che Reed può farsi pubblicare "Berlin", lavoro complesso e struggente; concept che parte dai bordelli di inizio novecento e si fa forte di atmosfere decadenti che non trovano un riscontro immediato di pubblico. Anche questo, infatti, troverà solo successivamente il giusto riconoscimento.

Ma Reed è un'anima travagliata e non riesce a stare a lungo nei panni che di volta in volta indossa, sentendo il bisogno di stupire e stupirsi, rischiando e incassando critiche anche dure. Molto del suo lavoro, come visto, ha avuto bisogno di tempi di sedimentazione anche lunghi prima di essere (ri)scoperti e apprezzati, benché il suo talento non sia mai stato messo in discussione. Per quanto riguarda la sua vita privata, ripercorre molto del rock di quegli anni, raccontato bene nelle interviste di Legs McNeil e Gillian McCain nel libro "Please Kill Me", caratterizzandosi soprattutto per l'(ab)uso di droghe e alcol. Non è un caso che uno dei critici più osannati, ovvero Lester Bangs, parlando di "Metal Machine Music", album del 1975 che spiazzò tutti per la sua elettronica, l'uso di synth e distorsioni e la totale assenza di cantato scriva: "Quando ti svegli al mattino con la peggiore sbronza della tua vita, "Metal Machine Music" è la medicina migliore. Perché appena apri gli occhi sei così distrutto (ancora ubriaco) che non ti fa neanche ancora male, quindi potete mettere immediatamente su quest'album, non solo per pulire la vostra testa da tutta quella merda, ma per prepararvi a tutto quello che v'aspetta per il resto del giorno". E in effetti, MMM, è quanto di più lontano da ciò che avete amato di Reed possiate ascoltare.

Il successivo "Coney Island Baby" vi riporterà ad atmosfere meno sperimentali e distorte. La carriera di Reed prosegue con più alti che bassi con, tra gli altri, album come "Sweet Hassle" (con un'orchestra ad accompagnare la title song), "The Blue Mask", l'uno-due di "New York" e "Songs for Drella" (rispettivamente 1989 e 1990), con quest'ultimo dedicato a Warhol, morto pochi anni prima e che unisce di nuovo Reed e Cale. Gli anni '90 sono quelli del matrimonio con la cantante Laurie Anderson (che gli è stata al fianco fino ad oggi) a cui dedica "Set The Twilight Reeling" e con cui collaborerà e si esibirà. Da segnalare anche il doppio "The Raven" in cui il cantautore omaggia Poe, stupendo ancora nel 2011 quando collabora coi Metallica in "Lulu", che fece storcere la bocca agli amanti di Reed.

Il cantautore lascia, quindi, un patrimonio musicale sconfinato (e che, saremo sicuri, sarà riempito di postumi) e il mito di un uomo e musicista che ha sperimentato, rischiato, fallito, è rinato e ha contribuito in maniera fondamentale a quella magia che è la musica rock

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