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Che classe il ritorno di Joe Barbieri: “Sogno sentire le curve cantare il mio inno per il Napoli”

La strada che dall’Italia porta al Brasile non è lunghissima, soprattutto se la contiamo in note. La storia musicale dei due Paesi, infatti, si è più volte incrociata, e continua a farlo, come dimostra ancora una volta Joe Barbieri, il musicista napoletano che in “Tratto da una storia vera”, il suo ultimo album, unisce queste tradizioni e non solo.
A cura di Francesco Raiola
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La strada che dall'Italia porta al Brasile non è lunghissima, soprattutto se la contiamo in note. La storia musicale dei due Paesi, infatti, si è più volte incrociata, e continua a farlo, come dimostra ancora una volta Joe Barbieri, il musicista napoletano che in "Tratto da una storia vera", il suo ultimo album, unisce queste tradizioni, mescolando la samba a Pino Daniele, attraversando anche un campo come quello calcistico, mescolando campi semantici, suoni e riuscendo a farlo sempre con lo stile che lo caratterizza da sempre. Il mondo costruito da Barbieri, che si avvale della collaborazione di artisti come Carmen Consoli, Sergio Cammariere, Tosca, Jaques Morelenbaum, Fabrizio Bosso, Mauro Ottolini e Alberto Marsico, è un mondo che ovviamente attraversa il Brasile, ma non si ferma lì, anzi, è un racconto jazzato, delicato, sublime nell'equilibrio che riesce a mantenere e nel quale riesce a muoversi ormai con confidenza. C'è il samba di "Vedi Napoli e poi muori", inno per il Calcio Napoli, ma anche la cover di "Lazzari felici", gli archi che accompagnano la collaborazione con Carmen Consoli, di certo c'è un album perfetto per questi tempi, per chi ama godersi la primavera senza essere stordito dalle hit estive, per chi ama la classe, la ricercatezza e la musica, quella buona.

Joe, quanto è lunga la strada che da Napoli porta a Bahia?

Molto meno di quel che si potrebbe pensare. La musica ha questo potere: riuscire a far muovere persone, idee e sentimenti svincolandoli da spazio e tempo. Basta una nostalgia, un palpito dell’animo e ci si può ritrovare dall’altra parte dell’oceano o semplicemente ad un passo da casa. Su un piano squisitamente artistico Napoli in particolare ha sempre legato intimamente la propria storia alla musica che i suoi figli più illustri hanno saputo inventare, il Brasile ha fatto lo stesso. E non conosco un altro posto del mondo – eccetto Napoli ed il Paese di Jorge Amado e Chico Buarque – in cui la melodia, l’armonia ed il ritmo si esprimano a livelli così eccellenti. Il nesso tra queste due culture è evidente.

In che senso quest’album è “Tratto da una storia vera”?

Ho sempre messo nelle mie canzoni il mio vissuto, i miei dolori, le mie piccole e grandi gioie, senza filtri. È questo – credo – che più di ogni altra cosa, chi mi onora di seguire la mia musica mi riconosce. Dunque non temo d’esagerare se dico che in questo album è racchiusa un’esistenza, con tanto di luoghi che ho amato, di artisti che mi hanno fatto vibrare, di cibi che amo mangiare, di squadre di calcio che mi fanno perdere il sonno, e molto altro.

Quale Brasile c’è nell’album e quale Napoli? 

C’è il Brasile eterno dei João Gilberto, dei Vinicius De Moraes, dei Caetano Veloso. C’è la Napoli della canzone classica che si fonde con lo “choro”. C’è un Brasile che ai miei occhi somiglia alla Napoli orgogliosa, popolare e nobile dei Roberto Murolo, dei Luciano De Crescenzo, degli Starnone e dei Pino Daniele. C’è il Brasile del Futbool bailado che ruba gli occhi, come gli occhi e il cuore li rubavano Careca o Altafini.

A proposito di Brasile, “Vedi Napoli e poi canta” unisce stilemi del tifo (“La mia gente se ama poi non dimentica”) a quelli della musica brasiliana, appunto. Ci racconti un po’ questa canzone?

Semplicemente in questo disco – che, come ti raccontavo, è un percorso attraverso ed accanto ai miei “innamoramenti” – non poteva mancare un tributo devoto, incondizionato e felice alla squadra che seguo da quando avevo 4 anni. Pensa che grazie alle figurine del Napoli della seconda metà degli anni ’70 ho imparato a pronunciare correttamente i numeri a due e tre cifre, quando neppure andavo a scuola ancora.

Senti, ma l’hai fatto arrivare l’album a qualcuno di loro? Chi potrebbe apprezzare appieno questa canzoni e queste canzoni?

Mi piacerebbe molto, tuttavia non ho amici comuni da scomodare per fare in modo che questo accada. Chi di loro potrebbe apprezzare, mi chiedi? Non so, voglio sperare un po’ tutti… la mia canzone è una dichiarazione d’amore talmente aperta, felice e per certi versi ingenua che non le puoi voler male, dentro ci siamo un po’ tutti: chi è sugli spalti a tifare, chi scende in campo e “suda” la maglia, è una canzone che non chiede niente ma che semplicemente afferma “io ti amo”, incondizionatamente. Ti confido però un sogno: morirei se un giorno la sentissi cantata dalle curve.

E l’ennesimo tuo album in cui si sente l’amore per la musica, per gli strumenti, per le armonie, nonostante una voce che è ormai riconoscibile. Cosa deve scattare per darti il là alla costruzione di un brano? 

Come ti accennavo prima è la vita stessa la mia co-autrice privilegiata, dunque è l’esperienza diretta a far scattare la scintilla, a farmi imbracciare la chitarra e prendere carta e penna. Poi chiaramente, il fascino dei libri letti, delle milioni di ore di musica ascoltate, dei desideri non ancora avverati, dei posti che mi chiamano e nei quali non sono ancora stato ad arricchire le suggestioni che tento di catturare quando scrivo. Sento di avere ancora tantissimo da raccontare, non so ancora in quale forma, ma il mio futuro è ancora e tanto legato alla musica.

Rendi omaggio a Pino Daniele. Qual è la storia che vi lega, sia da fan che da artista?

L’amore che ho per la musica di Pino è angolare. Nella prima band che avevo, nella quale suonava anche mio fratello Fabio alla batteria, avevamo sempre molte canzoni di Pino in repertorio. Sentivo di esserne attratto grandemente, soprattutto per quella idea di musica globale che essa si porta dentro. Dunque, ti lascio immaginare l’emozione quando Pino rispose ad una mio demo chiedendomi nuovo materiale… entrai in studio per registrare il mio primissimo disco prodotto da lui il giorno dopo il mio esame di maturità; venni a Roma per entrare per la prima volta in uno studio ed aprendo la porta c’era lui, Pino, che suonava il basso su un mio pezzo. La cosa più fantastica del mondo. Dunque, mi è parso vitale in disco come questo mio ultimo che come ti spiegavo abbraccia un po’ tutto il mio percorso, rendergli omaggio. E per farlo ho scelto la sua “Lazzari Felici”.

Ci sono un po’ di ospiti che rappresentano varie sfumature, ma che comunque danno tutti l’idea di una direzione ben precisa. Tranne Consoli, forse, che è forse l’unica che si discosta dagli altri, benché si inserisca – fantastica qual è – nell’album. Qual è il vostro rapporto?

Siamo sostanzialmente tutti amici, c’è una frequentazione dovuta a precedenti progetti comuni o semplicemente c’è un legame saldato intorno ad artisti che tutti amiamo. Con Tosca, in particolar modo, c’è un rapporto più stretto avendo curato recentemente per lei la produzione del suo album “Morabeza”, con Bosso potrei suonare a tempo indefinito considerato il naturale linguaggio comune che sento ci lega, Cammariere anche è un incanto musicale (malgrado, causa pandemia, non siamo ancora riusciti a vederci). Con Carmen c’era una dichiarata reciproca stima, e quando ho scritto questo brano dal titolo “In Buone Mani” ho sentito che era il momento per invitarla nella mia “casa”.

Io sono abbastanza in fissa, ultimamente, con album come “Club de Esquina”, “Construçao”, varie cose di Jorge Ben, oltre ai vari Veloso, Gil, Zè e compagnia. Ti va di dare qualche coordinata brasiliana a chi ama la tua musica?

Beh vediamo, se vi piacciono le corde potreste ascoltare Yamandú Costa o Hamilton De Holanda, poi direi anche le composizioni di Guinga e la voce di Mônica Salmaso. Tra i pianisti da scoprire assolutamente André Mehmari.

Una delle mie ossessioni è il porto di Napoli, luogo che ha permesso lo sviluppo del Neapolitan sound, là dove Gragnaniello, Senese, Bennato e tanti altri trovavano la musica americana. E il porto è fondamentale per Bahia e il samba. Quanto è importante la contaminazione per te e in generale?

Fondamentale. Come questo nuovo disco così ricco di musicisti dimostra, tra l’altro. Inoltre, ti accennavo prima che questa “glocalità” è stata la lezione regina appresa da Pino. Così, da quando autoproduco la mia musica, e quindi ho piena libertà nelle scelte artistiche, ho sempre coinvolto molti tra gli artisti che amavo ascoltare da fan. Da Omara Portuondo in poi, passando Per Jorge Drexler fino a Stefano Bollani, la mia musica è sempre stato un porto; spalancato, per la gioia di Salvini. Sarà anche perché mio padre al porto di Napoli ci ha lavorato per oltre metà della sua vita.

L’album si chiude con un pezzo strumentale e ho letto che non ti dispiacerebbe darti alle colonne sonore. È una via praticabile in futuro?

Beh questo non dipende solo da me. Ma poiché non me lo ha ordinato il medico, capiterà solo e soltanto se incrocerò la storia giusta da raccontare ed un regista così incosciente da volermela affidare.

Un’ultima cosa: oltre al Brasile nella tua vita c’è molto Giappone. Che rapporto hai con quel Paese?

Profondo. Il culto del senso estetico, del minimalismo, del diverso inteso come valore che loro hanno sento che in qualche modo mi appartiene. Per come posso tendo a tutto questo, e dunque sapere che la mia musica è apprezzata da quel popolo mi rende orgoglioso. Oltretutto ho una venerazione (ma forse venerazione è poco) per la loro cucina, e dunque la mia resa verso quella cultura è totale.

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