Carone ricorda Lucio Dalla a 10 anni dalla morte: “A Sanremo si fece piccolo per non schiacciarmi”
Sono passati dieci anni dalla scomparsa di Lucio Dalla, uno dei geni della musica italiana contemporanea, artista che pur essendo coltissimo è sempre riuscito a trovare una chiave che lo ha reso uno degli artisti italiani più amati e ascoltati. Che quindi la sua ultima esibizione televisiva in vita fosse quella del Festival di Sanremo non stupisce, così come non stupisce che sul palco dell'Ariston (anzi, sotto, visto che diresse l'orchestra) accompagnò un artista giovane e talentuoso come Pierdavide Carone, che prese sotto la sua ala artistica. I due, infatti, parteciparono al Festival del 2012 con "Nanì", canzone che finì al quinto posto e risultò l'ultimo brano di dalla che dodici giorni dopo la fine del festival morì all'improvviso d'infarto mentre era all'Hotel Plaza di Montreux, cittadina in cui si era appena esibito per uno dei festival jazz più importanti al mondo. Abbiamo chiesto a Carone di raccontarci di Dalla, dei loro giorni a Sanremo e delle canzoni del cantante bolognese.
Quando si arriva a qualche anniversario di Lucio Dalla, sei una delle persone di riferimento: questa cosa ti scoccia o è un piacere?
Più passano gli anni e meno mi pesa questa cosa. Io ricordo che il giorno in cui è morto, dieci anni fa, ero praticamente un orso, soffrivo tanto, ricordo la tempesta di telefonate che mi arrivarono, anche da programmi importanti, ma dissi di no a tutti proprio perché non sapevo come reagire a tutto questo. La pressione televisiva era una cosa che non potevo reggere e quindi mi defilai completamente. Oggi, col tempo, sta diventando più semplice parlarne, probabilmente perché il dolore non passa ma comunque si mitiga e poi credo che sia sbagliato ostentare chiusura verso questa cosa che, invece, è molto bella. È chiaro che la morte è un evento traumatico però quando soffri per una persona vuol dire che questa persona ti ha dato anche dei motivi per cui gioire, quindi va bene così ed è giusto tributarlo come merita.
Come nacque la vostra amicizia?
Noi ci siamo conosciuti in maniera ufficiale, ovvero tramite la Sony. Io volevo un produttore che capisse il mio linguaggio e la Sony mi prese più che alla lettera, perché chi meglio di un cantautore così importante poteva interpretare un cantautore ancora acerbo come ero io? Poi ci siamo talmente piaciuti che in qualche modo non è stata più una cosa ufficiale ma è diventato proprio un bel rapporto d'amicizia.
E come si è sviluppato?
Lui si prendeva anche cura di me anche oltre il lato artistico, tutto sommato. Io in quel periodo vivevo a Roma, ma dovendo lavorare quotidianamente con lui, sul disco, mi ero trasferito da mia madre che viveva in provincia di Reggio Emilia, quindi non troppo distante. Per quanto meno distante di Roma, però, era comunque a una sessantina di chilometri e noi finivamo sempre molto tardi. Mi resi conto che lui soffriva di questa cosa, del fatto che dovessi tornare a casa nel cuore della notte. Un giorno era veramente tardi, erano le 4 del mattino e lui disse "No Caron – mi chiamava così – non puoi proprio andartene, io ho una casa gigante, dormi qua", io gli dissi che non volevo rompere ma lui insistette. Dormii da lui, ma non avevo niente, quindi mi diede un pigiama che, pur non essendo io molto alto, mi andava piccolo, mi stava tipo bermuda. Mi fece entrare in questa stanza, la stanza del re, con questo letto a baldacchino, molto bello. Dopo la buonanotte, se ne andò, poi dopo cinque minuti è tornato e mi fa: "Lo sai Caron che non entravo in questa stanza da tre quattro anni? Vabbè, buonanotte".
La buonanotte di Dalla…
Conta che poi la mattina presi l'ascensore – la casa era enorme – per andare in cucina e quando uscii ero con questa improbabile mise e lo trovai a colazione con Bibi Ballandi. Insomma, ho conosciuto uno dei signori della tv italiana, mentre era con la leggenda della musica mentre parlavano di cose sicuramente importanti con me vestito come uno scemo. È stato uno dei tanti momenti che ricordo, ma con Lucio non c'era mai normalità.
Del vostro Sanremo invece cosa ricordi?
Lui un po' per pigrizia ma soprattutto per enorme signorilità, eleganza e altruismo mi lasciava tutto lo spazio che mi poteva lasciare. A partire dal fatto che venne a Sanremo e non salì sul palco con me, era a dirigere l'orchestra, mi faceva i cori, lui così grande si faceva piccolo per non schiacciarmi, se avesse voluto ne sarebbe stato in grado. In più durante il giorno, lasciava me fare tutte le interviste, un po' perché amava andare a Montecarlo a prendere il gelato, un po' perché voleva che fossi io i protagonista di quella vicenda. Il ricordo che ho è della sua presenza assenza e del fatto che era scaramantico e così ogni volta che finivamo un'esibizione e tornavamo in albergo per cena faceva mettere in moto la macchina dal suo personal perché diceva che tanto ci avrebbero buttato fuori, sarebbe finita, invece siamo arrivati quasi alla fine.
Qual è la sua canzone a cui sei più legato?
Domanda complicata perché va a periodi. La canzone che in assoluto ho cantato di più è "Cara" perché non ha scritto tantissime canzoni d'amore, lui non è proprio ricordato come cantautore d'amore, per quanto l'amore universale è sempre presente nelle sue canzoni, però questa è una delle canzoni d'amore, riferite a un'altra persona, più straordinarie che siano state scritte. È di una bellezza rara. Se dovessi contestualizzare a oggi, invece, la prima canzone di Lucio che mi viene in mente, proprio per il periodo che stiamo vivendo e per come alcune canzoni siano universali, è Henna, che scrisse durante la guerra dei Balcani, ma è una canzone che calza perfettamente anche in questi giorni.