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Bruno Bavota, il pianista napoletano alla conquista del mondo con “Out of the Blue”

Si chiama “Out of the Blue” il nuovo album di Bruno Bavota, pianista e compositore napoletano che è ormai un punto fermo nel mondo che unisce il pop e la musica neoclassica. Lo abbiamo intervistato per farci spiegare come nasce quest’album e quali sono le sue aspettative per il futuro.
A cura di Francesco Raiola
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Bruno Bavota (Foto di Gerardo Mastrogiovanni)
Bruno Bavota (Foto di Gerardo Mastrogiovanni)

Bruno Bavota è un giovane musicista napoletano che dopo anni di gavetta è arrivato a comporre, forse, il suo album migliore, più completo, che si inserisce in un movimento che in questi ultimi anni sta acquistando sempre maggiore attenzione anche grazie al lavoro di etichette come la Erased Tapes e di artisti come Nils Frahm, Ólafur Arnalds e Lubomyr Melnyk. Che vogliate chiamarlo neoclassico o neominimalismo, non importa, quello che importa è che Bavota – che qualcuno ha anche accostato a nomi del calibro di Einaudi e Glass -, dopo essersi conquistato un posto di tutto rispetto nel panorama, ha segnato un altro passo importante, anche grazie al lavoro della sua etichetta, l'americana Solo Luminus che l'ha supportato in tutto.

Il risultato è questo "Out of the blue", un album suggestivo, in grado di prenderti per mano e farti perdere tra le sensazioni più svariate, supportato dal piano, che troviamo in primo piano, e che live assume diverse facce. Abbiamo fatto qualche domande al musicista napoletano che in queste settimane è molto impegnato coi live in tutto il mondo, cosa che lo caratterizza da anni, ormai: "‘Out of the blue' nasce da qualcosa che mi colpisce nel profondo e viene poi fuori attraverso la musica! (…) Credo aver raggiunto un suono ancora più completo".

Da cosa nasce la tua musica e in particolare quest’ultimo album?

Nasce da un impeto, qualcosa che mi colpisce nel profondo e viene poi fuori attraverso la musica! Quest’ultimo album come gli altri è frutto di tutto ciò che accade nelle mie giornate.

“Out of the Blue” è l’ultimo capitolo di un’evoluzione evidente che hai avuto in questi anni. Qual è, secondo te, il punto di forza maggiore dell’album?

Credo aver raggiunto un suono ancora più completo, una ricerca che mi ha portato a creare un suono che potesse contraddistinguere la mia musica più degli album precedenti

Ci racconti la storia di come sei arrivato agli americani della Sono Luminus, la tua etichetta, e come ti abbiano dato fiducia?

Certamente! Conoscevo il direttore artistico da quando uscì nel 2013 il mio secondo album “La casa sulla Luna”. Il disco gli piacque molto e mi disse di tenerci in contatto, lui a quel tempo lavorava per la Universal come direttore marketing. Dopo qualche anno divenne direttore artistico della Sono Luminus, e grazie al suo ingresso l’etichetta ha iniziato ad esplorare mondi che andavano oltre la musica classica, mondi che includevano anche il mio genere. Così ho registrato una demo di 4 brani, gli piacque molto e la fece ascoltare anche al produttore ed all’ingegnere del suono…ed eccomi qui :) Il disco è stato registrato nei loro studi in Virginia e posso dire che hanno investito tanto su di me, cosa che mi inorgoglisce.

Senti, i tuoi titoli sono diventati più minimali, come mai questo cambiamento? E soprattutto, da dove nascono i titoli che, in questo lavoro, mi pare abbiano molta importanza?

I titoli hanno da sempre per me un’importanza fondamentale, tendo spesso a legarli ad un’emozione precisa ed è un sorta di indicazione, un filo rosso da dare a chi ascolta. Ho sempre scelto nomi molto lunghi, “Out of the blue” è il disco con i nomi più brevi rispetto al passato. Ho cercato di scegliere nomi più brevi, in modo che potessero entrare con più facilità nella testa di chi ascolta.

Si fa spesso riferimento alla Erased Tapes quando si parla del tuo album, e si fa riferimento a quelle sonorità che alcuni chiamano neoclassico, altri neominimalismo e altri con categorie che in fondo servono soprattutto a noi giornalisti. Come ti inserisci in questo movimento, se di movimento possiamo parlare, e soprattutto come si inserisce “Out of the blue”.

Sicuramente c’è un movimento neo classico, sopratutto in Europa, grazie all’etichetta che hai citato ed a tante altre bellissime realtà. Il fermento è tanto e soprattutto è un genere che ogni artista può esplorare nella maniera a lui più congeniale. Lo strumento di riferimento è sicuramente il pianoforte e posso dirti che già l’uso che faccio della chitarra acustica, sia in studio che nei live, mi differenzia molto dalle altre espressioni neo classica. "Out of the blue" si colloca perfettamente anche nell’accezione più sperimentale del genere, avendo anche inserti elettronici.

In tanti, parlando della tua musica, fanno riferimento a Glass, Sakamoto, Nyman, Einaudi… ma non ti fanno un po’ paura ‘sti paragoni?

I paragoni sono forti, assolutamente! Credo però che l’importante sia riuscire a dare delle orme proprie alla strada che si intraprende. Dopo 5 dischi spero che chi ascolta possa riconoscere il mio tocco e la mia anima.

È sempre molto difficile spiegare questa musica, molto personale, che vive anche dei momenti e delle sensazioni di un preciso momento – parlo dell’ascoltatore -, il pubblico italiano è pronto per aprirsi a questo tipo di musica?

Io penso che può essere pronto. In Italia è più dura perché le persone tendono a perdere attenzione facilmente e a preferire altri tipi di passatempo rispetto ad un concerto. Magari hanno poca voglia di spendere soldi per un concerto, ma poi la stessa serata ne spendono il triplo per comprare da bere.

C’è anche molta Islanda in quest’album, o sbaglio?

L’Islanda c’è sempre! Ci sono stato due volte ed ho avuto l’opportunità di godere dell’Aurora Boreale, sicuramente uno degli spettacoli più bella mia vita… un viaggio del genere ti entra dentro e non puoi farne a meno :)

Quali sono le tue ambizioni rispetto a questo lavoro e rispetto alla tua carriera?

Spero di riuscire a portare la mia musica il più lontano possibile e spero che mi porti con lei!

In molti te l’avranno detto, ma quest’album è molto ‘cinematografico’. Senti, ma ci hai mai pensato al grande schermo?

Mi piacerebbe tantissimo scrivere musica per film e sono sicuro che prima o poi io ed il cinema ci incontreremo!

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