Birthh: “Voglio fare musica pop senza nascondere le complessità della vita”
Birthh risponde all'intervista di Fanpage dalla sua casa di New York dove è rimasta bloccata a causa del Covid e dove ha scelto di continuare a vivere con la compagna, costruendosi una nuova vita a partire da uno studio di registrazione. La cantautrice e musicista, al secolo Alice Bisi, ha pubblicato il suo nuovo album "Moonlanded", un lavoro che segue il bel "WHOA" pubblicato nel 2020, confermandola come uno dei talenti del cantautorato italiano. Moonlanded è un album pop o bedroom pop, se preferite, sa essere delicato e incisivo, guarda a una dimensione internazionale – e non solo per il cantato in inglese -, ma riempendosi di atmosfere della musica leggera italiana degli anni 60/70, soprattutto in alcuni momenti, come l'uso degli archi, come ha specificato la stessa Bisi, che canta di amori, ma racconta anche lo spaesamento di questi anni e la ricerca del sé, un sé che la cantautrice ha imparato a cercare soprattutto nella capacità di stare nel presente ed essere presente a se stessa – non è un caso che l'album cominci con "One day I’m gonna be someone", ma già a metà diventa un "I wanna feel my body".
Sei a Brooklyn, dove ti sei ritrovata quasi per caso a vivere una nuova vita…
Sono arrivata negli Stati Uniti il 4 marzo 2020, giorno prima delle chiusure per il Covid. Dovevo partecipare al SXSW che sarebbe stato annullato poco dopo, trovandomi bloccata in una fattoria in New Jersey in cui dovevo stare due settimane con persone che conoscevo pochissimo. Avevo fatto un concerto a Roma con un ragazzo che si chiama Jason che si occupa di AI e mi aveva detto che gli avrebbe fatto piacere usare la mia musica, mi invitò nella fattoria con altri artisti che non conoscevo, tra cui Ginevra, una fotografa che poi ha fatto tutto il lavoro fotografico e l'artwork dell'album. Siamo rimasti lì per nove mesi, nel cuore della prima ondata, e successivamente io e Storm, la mia compagna, siamo tornate a Brooklyn e abbiamo trovato quest'appartamento in cui ho costruito la Moonbase, il mio studio. È stato un momento molto denso, anche se lo era già di per sé, perché ci siamo trovate chiuse in una fattoria con persone che conosci a malapena, soprattutto all'inizio non è stato facile. A me hanno subito dato il compito di cucinare e poi c'è tutta la parte della scelta di stare qui e della lontananza dalla mia famiglia.
Uno sliding doors che da una parte ti ha regalato una spinta artistica, ma dall'altro ti ha tolto cose importanti dal punto di vista degli affetti familiari, no?
Sono molto legata alla mia famiglia, che è molto numerosa e molto appassionata di musica, siamo molto affiatati. Durante il Covid mio nonno è venuto a mancare e non sono potuta tornare indietro per problemi con la green card, è stato un periodo intenso a livello emotivo e sono contenta di avere la fortuna di tirare fuori tutte queste cose che ho sentito e tramutarle in musica, perché alla fine questo disco è stato terapeutico, mi è servito sia da un punto di vista di testi, melodie, canzoni, per buttare fuori le cose che sentivo in un modo chiaro e allo stesso tempo per la ricerca che c'è stata nella produzione e negli arrangiamenti.
E che ricerca è stata?
Ho ascoltato tantissima musica italiana in quel periodo e ascolto ancora musica italiana anni 60 e 70. Certe cose che ho ritrovato lì, attualizzate a questa generazione e al mio modo di vedere la vita, le ho riproposte e volevo rivederle in questi miei pezzi oltre a voler vedere anche un certo tipo di calore italiano.
Quello che mi dicevi della tua famiglia lo rivediamo anche in alcuni testi, quando canti "Papy taught me to be perfect but I don’t wanna be perfect" o "Mamma I’m so sorry that I couldn’t be there for you", no?
Questo periodo è stato il primo periodo in cui sono uscita dalla dimensione dell'essere figlia. Ovviamente subito dopo il liceo ho cominciato ad andare in tour, fare cose, quindi sono sempre stata molto indipendente, ma allo stesso tempo tornavo a casa da mia madre o da mio padre – sono separati – e la dimensione di figlia tornava sempre. Stare qua da sola mi ha fatto pensare molto alla mia individualità come persona, adulta, essere umano al di fuori della famiglia. Io e London, il co-produttore del disco, abbiamo avuto tante conversazioni su quanto da figli ci ritroviamo ad avere determinati traumi, tratti della nostra personalità presi ai nostri genitori, però allo stesso tempo li viviamo in modo diverso da loro, ci sono cose che loro non hanno potuto fare, penso anche al semplice trasferirsi qui, loro avrebbero voluto ma per un motivo o un altro non sono riusciti a fare, quindi è un tema importante, mi sento una sintesi perfetta dei miei genitori, sia in positivo che in negativo, anche se alcune cose penso di averle superate.
È questo che intendi quando canti “One day I’m gonna be someone”?
Intendo in un certo senso quello che ti dicevo, certo, però è ovvio che ha un senso molto più ampio, perché non si tratta solo dei miei genitori, ma del trovare un posto nel mondo. Mi sono sempre sentita un po' fuori luogo in qualsiasi posto, è sempre stato molto difficile perché sono una di quelle persone che dove mi metti sto, mi adatto facilmente, eppure al contempo è difficile per me sentirmi a casa, benché sia una cosa che ora sto sviluppando maggiormente.
Quando ti senti a casa?
Mi sento a casa nella musica, quando medito, ormai non è più una questione di luogo fisico, ma una condizione interna: è trovare il mio posto nel mondo, riscoprire e ritrovare i valori e le cose che voglio fare, essere presente. Mi sono ritrovata spesso a vivere o nel passato o nel futuro, ma penso che rimanere nel presente, in questo momento, per me voglia dire essere qualcuno.
Questa cosa la riprendi anche in Somebody quando canti "I wanna feel my body"…
Esatto.
Sembra quasi un album scritto guardando in alto: cielo, nuvole, raggi di sole, cosmo, costellazioni… È un campo semantico a cui fai spesso riferimento.
Penso faccia parte di me, alla fine sono prima di tutto una grandissima sognatrice romantica e penso che questi brani lo dimostrino. Quello che hai notato è vero, mi piace guardare la vita attraverso queste lenti.
Com'è stato scrivere guardando questi spazi in un momento in cui era difficile muoversi a causa del Covid?
Quello che racconto nasce proprio dall'esigenza di cercare in altri modi una cosa che in quel momento preciso non potevamo avere: trovare uno spazio ampio. Quando ero nella fattoria eravamo in una stanza più piccola in quella in cui mi trovo adesso e quello era il nostro spazio, anche se allo stesso tempo avevamo uno spazio aperto, enorme, avendo la fortuna di poter anche stare all'aria aperta a guardare le stelle e le nuvole. Poi è ovvio che quest'ampiezza si ritrova non solo a livello di spazio ma in un pezzo come Friends in the energy si parla del contatto umano e della voglia di ballare. Ci sono molti brani fatti per essere ballati. Tutto ciò nasce dall'esigenza di qualcosa che non c'era, perché se è vero che potevo uscire, stando in campagna, non potevo godere della condivisione con gli altri, fare comunità e stare insieme. Per questo una delle cose più belle del mio lavoro, infatti, sono proprio i concerti.
Narrativamente quanto ti ha influenzato vivere e scrivere negli Usa questo progetto?
Ha influenzato tantissimo stare qui, c'è tanta New York nel disco, in alcune canzoni ci sono proprio sample della città, ci tenevo a fare vedere anche il contrasto tra l'urbano e il calore italiano. Molte delle persone che si sono trasferite a New York lo hanno fatto per inseguire un sogno, qualcosa che in un'altra parte del mondo non avrebbero potuto fare, ovviamente qui c'è una mentalità aperta nei confronti della novità, una cosa che forse non possiamo dire troppo di un posto come l'Italia, per questo ha influenzato proprio tanto, per me era una scelta mirata, volevo supportare le persone che amo, vivere di musica, ma facendo le canzoni che voglio io, senza compromessi, e un posto del genere ti dà la possibilità di farlo. Poi è ovvio che si fanno scelte affinché i brani siano quanto più accessibili possibile, io voglio fare musica pop, anche se non sembra: voglio raggiungere più persone possibili senza togliere la complessità della vita.
Esiste una dimensione internazionale per la musica italiana?
Assolutamente, stare qua mi ha aperto gli occhi sulla possibilità che ci sia uno spazio importante, anche perché credo che alcuni si sono rotti le scatole solo della musica anglofona e determinate sonorità che vengono da questa cultura: c'è molta curiosità per la musica latina, ovviamente, la bossanova, e sappiamo che la cultura italiana e quella brasiliana nei 60 si sono molto amate. Per quello che mi riguarda vorrei rimanere italiana e portare l'Italia fuori, non cercare di ammiccare, anche perché culturalmente ci sono una serie di cose che qua funzionano meglio, penso per dire all'R'n'B. La cosa importante è l'essere fedeli a ciò che siamo noi. È una cosa che ho capito da poco, forse l'ho capita guardando la mia compagna che ascolta Mina pur non capendone una parola e quando le ho chiesto perché le piacesse, anche se non capiva nulla mi ha risposto che le piaceva anche perché non esiste questo tipo di musica qui negli Stati Uniti.
A proposito, ma l'hai inviata una canzone a Mina?
No, non credevo neanche che fosse possibile.
Anni fa esisteva una scena indie che aveva spazi giusti, si supportava molto, non viveva dei palazzetti a tutti i costi. Oggi com’è trovarsi in un mondo che pare non amare le mezze misure?
Visto che non esiste un modo giusto di fare le cose, mi piace l'idea che ci si possa inventare, mi stimola l'idea che si possa fare arte in qualsiasi modo e che ci siano cose che funzionano per vari artisti ma che sia importante vedere cosa funziona per te, perché veramente non lo sai, non puoi sapere se diventi famoso o virale grazie a un TikTok strano, quindi questa cosa mi stimola molto, poi è ovvio che ci troviamo in un periodo di estremi causato da un'esasperazione di un sistema di vita che la nostra specie ha portato avanti per anni e che abbiamo capito che non funziona più. C'è un'esasperazione di quel contrasto di cui sono una grandissima amante, penso che tramite il contrasto si possano trovare risposte importanti, quindi sono contenta anche se c'è più lavoro a fare.
Oggi, inoltre, è anche grazie ad artiste come te che è possibile poter finalmente declinare cantautrice al femminile… Ti senti parte di questo flusso?
Mi sento parte in quanto artista donna, e fin dall'inizio, dal primo disco e dalla prima volta che ho pubblicato qualcosa, mi hanno fatto essere parte di questa cosa qua. Penso anche che questa sia una cosa molto italiana, perché qui non se ne fregano di che genere sei. È ovvio che il sessismo è ovunque, lo ritrovi anche qui, però sì me ne sento parte principalmente perché so che qualsiasi artista non uomo cis etc, vive e ha vissuto le cose che ho vissuto anche io.
Tipo?
Tipo domande come: Chi ti produce? Ti voglio produrre questa cosa, vieni a cantare? Come se fosse lontanissima l'idea che io possa scrivermi, produrmi e registrarmi le cose da sola, come se fossi solo la mia voce e basta. Me ne sento parte proprio perché è impossibile non farlo, preferirei che non fosse così, ma è importante la rappresentazione, quindi partiamo da qui e spero di essere un bell'esempio, mi farebbe molto piacere se potessi essere da ispirazione per qualche ragazza che volesse cominciare a usare Logic.