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Assia Fiorillo, esordio tra pop e impegno civile: “È ora di spingere il cantautorato femminile”

Assia Fiorillo è una cantautrice napoletana ben nota e fresca vincitrice del Premio Gianmaria Testa che ha pubblicato il suo primo album “Assia”, mescolando elettro pop e impegno civile.
A cura di Francesco Raiola
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Assia Fiorillo arriva al primo album e a pensarci è quasi strano visto il peso che ha avuto in questi anni, di come si pone all’interno della scena campana con echi importanti in quella nazionale. C’è una sfida a cui in tanti e tante devono rispondere ed è quella di un mondo, quello musicale, in continuo cambiamento. Un cambiamento repentino che non subisce più modifiche sostanziali a distanza di decine di anni, ma a distanza di pochissimi anni. Mode che cambiano, barriere di generi abbattute, la democratizzazione enorme della distribuzione che da una parte favorisce la possibilità teorica di arrivare a tante orecchie, ma al contempo è una strettoia, perché aumenta l’offerta e trovare un pubblico è sempre complesso.

La sfida, insomma, è quella di riuscire a portare avanti un discorso musicale coerente, cosa che Assia fa a partire dalla sua voce straordinaria, dalla capacità di scegliersi i collaboratori e Massimo D’Ambra ne è un esempio lampante, così come Amalia De Simone. Quella della cantautrice napoletana è un’esperienza prima di tutto musicale, ma anche più ampia, culturale e sociale, come dimostra il progetto "Caine" con le detenute. Musicalmente il disco parte dalla voglia di sperimentare ma con un punto fermo che è quello della capacità di muoversi nel solco di un pop cantautorale che riesce a usare un'ampia varietà sonora senza perdersi. E non è semplice. Ogni artista ha delle influenze, ma secondo me il bravo autore è quello che piega queste influenze a un’idea, a un percorso, quindi qui sentirete echi di cose anche molto diverse tra loro, dagli Almamegretta a Cristina Donà, che l'ha portata anche ad aggiudicarsi il Premio Gianmaria Testa.

Era arrivato il momento di "Assia", di un album che potesse racchiudere un po’ la tua idea musicale, no?

Direi di sì, probabilmente anche con un po’ di ritardo rispetto agli standard, ma per la mia indole non poteva che essere così. Non mi piace espormi se non sono sicura dei contenuti che voglio proporre e per lungo tempo ho tenuto questo progetto nel cassetto. Probabilmente anche il percorso fatto e gli incontri degli ultimi anni mi hanno permesso di avere i feedback giusti per capire che era arrivato il momento di proporre la mia musica e il mio punto di vista sul mondo.

Tu sei un’artista molto conosciuta nell’ambiente, che sensazione fa il parlare di un “esordio”?

Il percorso per i musicisti, o in generale per tutti gli artisti, in Italia richiede grossi sacrifici e di conseguenza anche grande umiltà. Sappiamo bene che pur avendo anni di gavetta alle spalle niente sarà mai dato per scontato. Nel contesto musicale in cui viviamo capita più spesso che un giovane artista possa raggiungere immediatamente la fama e che quindi in qualche modo sia più “credibile”, agli occhi del pubblico, di un emergente. Io almeno ho imparato a capire queste dinamiche e di conseguenza mi adatto all’idea di “esordio”, e poi in fondo mi sto proponendo in un modo nuovo che è sicuramente diverso da quello che ho proposto fino a qualche tempo fa.

L’album parte con una canzone “Io sono te” che è scritta assieme alle detenute del carcere femminile di Fuorni. E già questo mi pare una scelta politica, così come la scelta di chiudere con “Anna”, perché sia chiaro un artista non lascia niente al caso, men che meno la tracklist. Come nasce quest’album?

Per questo album in particolare non saprei definire un momento preciso in cui è nato. Quando sono nate le prime canzoni, che sono quelle che hanno una dimensione più intima e che affrontano temi più personali, era un processo di creazione istintiva e senza un “piano”. In seguito anche il mio sguardo si è allargato sul mondo e questo aspetto è andato di pari passo anche con la necessità di racchiudere quei brani in un album. Tra i più recenti ci sono anche Anna e Io Sono Te, che parlano di reiette, donne la cui voce nella nostra mente è muta, i cui bisogni e le sofferenze non sembrano essere mai un problema della società che “sta fuori”. Dei detenuti, in questo caso delle detenute, non importa nulla a nessuno, o quasi. E inserire questi due brani, che raccontano quel mondo, all’inizio e alla fine della tracklist, è stato un gesto anche simbolico: riportare l’attenzione su un tema di cui nessuno vuole sentir parlare, perché si tratta di persone che hanno sbagliato ed è giusto che paghino i loro errori. Ma le loro vite e le loro storie raccontano della nostra società, delle nostre città e anche della possibilità di essere salvate o di finire per sempre nell’oblio.

E questo progetto, in particolare, invece, come nasce?

“Caine” è il racconto giornalistico, di Amalia De Simone, sulla condizione femminile in carcere. Ma è anche un meta-racconto delle periferie, del ruolo della donna nella società e nel crimine. Amalia ha pensato di poter attraversare la sfera più intima di queste persone con l’espediente dell’arte e così mi ha coinvolto. All’inizio ho osservato il suo modo di rapportarsi con le detenute che era molto legato anche a momenti di vita vissuta nella cronaca e questo ha fatto sì che si rompessero tante barriere e che riuscissi ad entrare subito in contatto con queste donne, a volte anche senza troppi argini, a volte anche mischiandoci le vite, condividendo ore di allegria, di disagio, di normalità o di dolore.

Il video di “Qualcosa è andato storto” scorre al contrario. Hai veramente imparato la canzone al contrario? Come hai fatto?

Erano diversi anni che avevo in mente di girare un video in reverse. In particolare per “Qualcosa è andato storto” volevo un video che fosse accattivante e che avesse una sua credibilità in tutti i tipi di contesti. Insomma, pur essendo una musicista indipendente ho cercato sempre di fare tutto al massimo e sempre con una visione artistica. E in verità prima di trovare una quadra per il videoclip che volevo, ho dovuto girare molto e tra richieste inarrivabili e incomprensioni varie alla fine ho trovato il team di Mécena, con Erica de Lisio, Ivan Mazzone e gli altri ragazzi che innanzitutto si sono appassionati al progetto ed hanno deciso di collaborare per quel videoclip continuando poi il percorso che ha portato e porterà altre novità. Quando ho trovato i videomaker giusti per me, ho deciso di proporre a loro questa mia idea che era diventata una fissazione, e forse bisogna essere anche un po’ “fissati”, o folli, per esercitarsi ogni giorno finché il playback non è perfetto. Ho messo la canzone in reverse, poi mi sono registrata partendo dal testo scritto al contrario cantando insieme alla “nuova versione” e di volta in volta ho corretto tutte le imperfezioni. Il risultato finale era anche un po’ inquietante: avevo raggiunto il mio scopo!

È un videoclip che affronta il tema della violenza di genere, tema che purtroppo è sempre attualissimo. Come hai scelto il punto di vista per trattarlo?

L’artificio del reverse era un effetto speciale che aveva, secondo me, un certo peso ed anche una sua drammaticità e questo mi permetteva, o forse mi vincolava, a raccontare qualcosa che avesse il suo peso e la sua drammaticità. Così ho pensato ad una (ahimè) “tipica” storia di violenza domestica, ma con un finale decisamente insolito. L’immagine di cui noi tutti abbiamo sentito parlare che ho utilizzato è stato un “ultimo incontro” tra un uomo violento e la sua ex. Lui ha un mazzo di fiori quando entra in casa, ma ha anche una pistola. Il finale, che poi è l’inizio, è quantomeno spiazzante.

A proposito di tracklist, mi piace anche la sequenza “Nel buio del letto” e “Milioni di stelle”, passando dall’oppressione di una relazione in chiusura a una speranza… Mi racconti questo passaggio?

A volte la musica e l’arte in generale, ci mettono per un po’ al riparo dalle piccole e grandi sofferenze quotidiane. Nella vita reale le due canzoni avevano la successione inversa: speranza e disperazione. E invece nella tracklist ho ricomposto un puzzle che nella sua totalità accompagnasse l’ascoltatore prima nel buio di una relazione che sta finendo, per poi proporgli una sorta di rinascita con un brano aperto e vivo. Ne viene fuori quindi un racconto comunque autentico nella descrizione della sofferenza e della speranza, ma che con una diversa disposizione prova a riportare una sensazione di serenità nell’ascoltatore e anche nei miei ricordi.

Le tue opinioni antidoto della verità (…) un fatto non basterà a farti cambiare i tuoi rozzi pensieri, nel mantra della libertà d’opinione si nasconde stavolta la più sporca prigione”, “Le tue parole” parla di incomunicabilità, anzi del lato negativo della comunicazione contemporanea. Me ne parli?

Questa canzone è stata scritta quando il dibattito in Italia si era molto concentrato e inasprito sulla questione dei migranti. In questi anni ho sperimentato che in realtà è un discorso piuttosto universale perché abbiamo visto utilizzare le stesse modalità anche nella dialettica sul Covid e sulla guerra. Una modalità di aggressione senza alcuno spirito critico e senza aperture, dove opinione e realtà vengono spesso confuse in modo disonesto o dove si utilizza un linguaggio violento e ottuso trincerandosi dietro lo spauracchio della libertà di espressione per poter esercitare tutta la sua ferocia.

Nell’album hai un po’ di collaborazioni, Amalia e Max D’Ambra, ma anche Massimo Jovine e Francesco Marziani.

Con Amalia, oltre ad aver collaborato sui testi delle due canzoni di Caine, ho scritto diversi altri testi che sono nell’album. Inoltre lei si è occupata spesso di aspetti che riguardano la comunicazione ma anche aspetti più pratici per l’uscita dell’album e di tutto il percorso fino ad oggi. È stata fondamentale. Max D’Ambra è un fuoriclasse e sono felice di aver scelto lui per la produzione del disco. Io venivo da un percorso comunque diverso rispetto a quello che lui mi proponeva, un disco electro-pop che punta moltissimo sulla parte della programmazione e della ricerca di determinati suoni. Ma l’ho voluto anche per questo e, per questo – anche se in genere mi piace avere le competenze per interagire con chi collaboro – mi sono molto affidata. E devo dire che non c’è un giorno in cui non pensi di avere fatto la scelta giusta. Massimo Jovine e Francesco Marziani sono due amici e due persone che stimo tantissimo, ho pensato che avrebbero potuto dare un valore aggiunto al disco col loro suono ed in effetti è stato così. Tra i musicisti ci sono stati anche i contributi di Daniele Palladino con una bellissima chitarra su Anna, un brano nudo ed emotivamente complicatissimo, e una intera sezione di fiati del talentuoso Alessio Castaldi su Perfect Glove.

È un periodo molto fervido per il cantautorato femminile, dopo anni e anni in cui il mondo era raccontato prevalentemente da uomini. Tu come vedi questo momento e che prospettive pensi che abbia?

È vero che anche nelle esperienze più importanti della musica italiana femminile spesso sono gli uomini a scrivere le canzoni e quindi spesso la poesia del nostro universo è demandata alla percezione che loro ne hanno. Questo non significa che non siano degli esperimenti riuscitissimi, ci sono canzoni meravigliose scritte in questo modo che appartengono alla nostra cultura. Però io penso che ora sia il momento di fare un passo avanti affinché il cantautorato femminile si esprima totalmente nella sua dimensione di genere e questo è quello che ho provato a fare, trattando nei miei brani degli umori che, per delle sovrastrutture subculturali, finivano per essere trattate solo da uomini.

Quanto ti è mancato il live? Dove possiamo vederti prossimamente?

Moltissimo, i musicisti vivono (nel senso di sentirsi vivi) del rapporto col pubblico e se hai fatto molta esperienza sul palco, sai che non ti basterà un feedback virtuale ma hai bisogno di sentire l’energia delle persone in carne ed ossa. Da qualche giorno sono tornata dal doppio viaggio a Torino per la finale a Moncalieri, che con grande gioia ho vinto, del Premio Gianmaria Testa e per il concerto previsto per il primo classificato, nel paese di origine di Gianmaria, Cavallermaggiore. È stata un’esperienza molto intensa che mi ha restituito emozioni e consapevolezze importanti, amplificate anche dal fatto che fossi l’unica donna in una rosa di 5 finalisti. Le prossime date saranno il 21 maggio a Montella per la rassegna “Femminile Plurale” presso il teatro Solimene, il 2 luglio a Rovigo e c’è una data da definire per un concerto a Torino al Folk Club. Altre date, da definire, le pubblicherò di volta in volta sui miei canali.

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