Antonio Maggio sul podio dei giovani, mentre i big si rilassano
“Serata moscia”, dicono molti. Qui si preferisce chiamarla “puntata di decompressione”. Si sa, la serata dei duetti, è sempre un modo per prendere la rincorsa. Dopo le prime fasi della gara si respira prima della finale, si lascia un po’ di spazio a quei poveretti dei giovani – sempre un po’ sacrificati – proclamandone il vincitore, e si aspetta il sabato. Proprio tra loro, ad essere proclamato vincitore è stato Antonio Maggio. Il salentino con il brano ruffiano quanto basta "Mi servirebbe sapere" si lancia nel dopo festival con in tasca una vittoria che aiuterà la sua prima esperienza solista ("Nonostante tutto", Universal Music). E adesso non resta che aspettare di vedere cosa scriverà sul suo diario da Sanremo che tiene proprio qui, su Fanpage.it.
Premio della critica "Mia Martini" va invece a Renzo Rubino con "Il postino (amami uomo)".
In questa edizione il venerdì sera è stato dedicato ai brani che hanno fatto la storia di Sanremo (Sanremo Story, appunto). Non tutti i nostri buoni big sono stati all’altezza dei brani scelti, mentre altri hanno tenuto fede al senso della cover sanremese. Molto delicata e divertente Malika Ayane "Cosa hai messo nel caffè": voce perfetta, balletto un po’ impacciato al fianco di in con Paolo Vecchione e Thomas Signorelli, ma andava bene anche così.
Daniele Silvestri non trattiene la commozione né prima, né durante l’esibizione di "Piazza Grande" di Lucio Dalla (“E’ sempre qui con noi e se non c'è, ci manca tantissimo” dice).
Nota dolente “Per Elisa” che la brava Annalisa – una delle ugole più limpide che abbiamo – ha scelto di cantare con Emma. La Marrone vocia, Annalisa esegue senza sbavature, ma manca ad entrambe un pathos energico necessario. Una delle migliori interpretazioni è quella di Marta sui Tubi. Cascano sul morbido ospitando Antonella Ruggiero per “Nessuno” (originale Betty Curtis). Attacco a doppia voce nel quale Gulino si prende la rivincita dai cedimenti vocali delle primissime esibizioni all’Ariston e Antonella beh, “che je voi di’ ad Antonella?”, si dice a Roma. A metà canzone riprendono l’arrangiamento swing e poi ritornano alla tranquillità. Ottimo lavoro davvero.
Raphael Gualazzi fa a modo suo: piglia, cambia, stravolge e ripropone. La sua versione di “Luce”, vincitrice di Sanremo 2001 (autore Zucchero) per mano della bravissima Elisa, è tutta un’altra canzone. E ha fatto bene. Ha reso proprio il successo della sua compagna di etichetta (sono entrambi della Sugar della Caselli) uno dei suoi convincenti jazz pop senza obbligare a paragoni di energia, dolore, interpretazione. E in tal proposito, i Modà nel riproporre “Io che non vivo” (originale Pino Donaggio) se la sono dimenticata a casa. Ancora una volta controcorrente: sempre qui, dalle mie parti, Simone Cristicchi in di quel mostro di Endrigo è sembrato molto elegante.
Senza arte né parte Simona Molinari e Peter Cincotti in "Tua". Tanto di cappello all’ospite Franco Cerri, ma i due eseguono in maniera pulita senza entusiasmare, né affliggere.
Poteva sbaragliare Maria Nazionale, accompagnata da Mauro Di Domenico in “Perdere l’amore”. E invece si è tenuta, l’ha riproposta in maniera ineccepibile, ma accademica. Non sbraca, e invece con Ranieri tocca sbracare. Com’è successo in sala stampa, insomma. Gazzè e la sua giacca bella davanti e improponibile dietro (un tripudio di piume) si confronta con “Ma che freddo fa” di Nada. E tutti a dir che non c’ha voce (ok, nessuno lo ha mai ritenuto un tenore) e invece in questo caso ha retto bene.
Molto nella parte – fino ad emozionarsi – Marco Mengoni in “Ciao amore ciao” , un brano che si portava dietro il peso forte di Tenco e di quello che per lui rappresentò. Mengoni evita di essere asettico, ma anche di metterci troppo del suo (vocette, smorfie). E piace, complimenti. Non ci sono parole per la grandezza di Elio e le Storie Tese in versione “piccoli” (travestimento ad hoc e mini-strumenti) per “Un bacio piccolissimo” in compagnia di Rocco Siffredi. Megistrali.
Per chiudere essendo ancora una volta in disaccordo con quelli che ne sanno, Chiara Galiazzo, alla quale tutto si può dire meno che non canti tecnicamente bene, perde qualcosa su “Almeno tu nell’universo”. Ok, il paragone era Mia Martini. Ma ok anche che qualcuno come Elisa si era avventurato nel riproporre quel brano immenso. Troppo acerba, Chiara, per quel brano? Non si sa, e per carità, nulla di personale: ha fatto di meglio durante tutto il suo X Factor, poteva far di meglio anche qui.