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Angelica, cantautrice precaria ma felice: “C’è sempre più bisogno di una narrazione femminile”

“Storie di un appuntamento” è il secondo album solista di Angelica, cantautrice che unisce il suo amore per la musica anni 60/70 con il gusto contemporaneo, e un punto di vista femminile. Storie che formano un racconto che parte dal personale per affrontare comunque il presente di una generazione precaria, “di disperati ma felici”
A cura di Francesco Raiola
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Angelica (ph Ambra Parola)
Angelica (ph Ambra Parola)

Storie di un appuntamento è il secondo album solista di Angelica, cantautrice che unisce il suo amore per la musica anni 60/70 con il gusto contemporaneo, e un punto di vista femminile, cosa non sempre comune o scontata nel vasto panorama autoriale italiano. In un anno complesso come questo pandemico, Angelica ha spiegato a Fanpage.it che era giusto uscire con queste storie che musicalmente uniscono pop, folk, elettronica, con un sapore vintage, ma che ti tiene incollato al presente colorando racconti di sé, di crescita, di fratture, storie che formano un racconto che parte dal personale per affrontare comunque il presente di una generazione precaria, "di disperati ma felici".

Ciao Angelica, come va? Cosa è successo in questi due mesi dall'uscita dell'album?

A me va bene, è stato abbastanza surreale, io volevo farlo uscire questo disco, anche perché era pronto e ritenevo che fosse eticamente giusto. Quando scrivi delle cose non dico che abbiano una scadenza – quello che faccio ne ne ha di scadenze particolari, non va appresso alle mode – ma dopo un po', anche per te stesso, vuoi farlo fluire, quindi sono contenta di averlo fatto uscire, anche se è il periodo più sbagliato degli ultimi 50 anni.

Però parlando con altri colleghi ho capito che in molti sentivano il bisogno comunque di buttare fuori qualcosa…

Sai, se vivi in un momento come questo, in cui non ci sono stimoli artistici, non ci sono input, quindi non puoi andare ai concerti, al cinema, alle mostre, far uscire qualcosa che magari a qualcuno serve trovo che sia eticamente corretto.

Parlavi di come questo sia un album che non vada appresso alle mode e si sente. Mi piacciono i suoni dell'album, che riescono a mescolare il tuo amore per i suoni 60/70, la contemporaneità ma stando lontana dagli obblighi pop del momento. Come nasce a livello sonoro l’album?

Io ho trovato un ottimo dialogo coi musicisti con cui abbiamo prodotto il disco: ho dichiarato le mie intenzioni sonore, ho spiegato pezzo per pezzo cosa avrei desiderato, poi loro mi hanno aiutata a mettere le idee in ordine. Un conto è trovare dei mondi sonori, un altro è applicarli, però la scrittura ha aiutato. Il fatto di non seguire qualche moda è stata una cosa naturale, non è che volessi andare controcorrente, però, in generale, quando ascolto o vedo qualcosa di creativo – anche se non mi piace – e ci trovo dell'originalità, è un valore aggiunto, piuttosto che trovare un'onda che ho già visto passare.

L'estetica musicale è portata avanti anche nel resto della creazione, come i video, per esempio…

Sì, poi conta che un paio di video me li sono anche girata io da sola e mi sono divertita. Secondo me il disco ti dà la possibilità di creare un mondo, di creare una cosa che prima non c'era e quindi anche a livello di immagini è divertente pensare nella totalità. Poi se pensi che un disco dura pochi mesi, è un mondo a breve termine, ma puoi comunque creartelo, è comunque uno stimolo.

Sei di quelle che ancora credono che l'album nella sua forma canonica abbia un senso?

Per questo discorso ha senso, se devi creare un mondo il mondo è più completo all'interno di un disco. Io poi ho fatto un disco molto breve, sono 8 pezzi e dura 26 minuti, però sì, un disco ha senso per creare un immaginario. Un pezzo pure, però è più limitato.

Rispetto a Quando finisce la festa, mi pare che Storie di un appuntamento sia più lavorato, meno scarno, ma vado a sensazione e ascolto… (penso a pezzi come "L’ultimo bicchiere" che ti riempiono l’orecchio).

Per certi versi è più spontaneo, nel senso che un sacco di cose le abbiamo fatte a casa e un sacco di cose facevano parte di provini, cose buttate lì, tipo il basso di "Karma" che era un basso rotto che comunque abbiamo tenuto perché suonava bene. In un certo senso è meno pensato dell'altro disco, ma quello è un po' più vecchio stile, ci sono meno synth, meno programmazione, forse per quello lo senti più pieno.

C'è anche un discorso generazionale che attraversa l'album. Penso a una frase come "Mia madre alla mia età era già mia madre" in Karma che apre vari mondi. In che modo questa questione generazionale entra in tutto l'album?

Secondo me quella frase può essere applicata a donne, uomini, ma anche varie generazioni. È cambiato il modo di pensare a come inserirsi all'interno di un tessuto sociale, ci sono tante professioni e modi di vivere la città e fuori la città nate negli ultimi tempi, anche modi di vivere da precari: siamo in un periodo storico di passaggio, quindi si arriverà a una quadra e noi ne paghiamo un po' le conseguenze, trovandoci a 30 anni che ancora non sappiamo bene cosa fare della nostra vita. Allo stesso tempo, però, riusciamo a barcamenarci senza pensare a quello che sarà tra 20/30 anni e riusciamo a vivere bene. Insomma, il mio è anche un po' un elogio alla leggerezza, certo, non è facile, perché mia madre alla mia età se fosse stata precaria come sono io sarebbe caduta in una grande crisi mentre io, tutto sommato, sono serena. Siamo una generazione di disperati ma leggeri.

Come vedi Angelica, quello che fai, in questo mondo musicale?

Non mi colloco, non ne ho idea, sai, fino all'anno scorso mi collocavo tra quelle persone che facevano i concerti, quella che era la mia dimensione preferita. In più in Italia è difficile collocarsi, è triste se pensi anche alle caselle all'interno di cui ci si può inserire che sono veramente poche, per questo sono restìa a questo incasellamento, penso che il vero valore aggiunto, se fai questo mestiere, sia di portare qualcosa di molto personale, di nuovo.

Tutta la scena che una volta chiamavamo indie si è formata con i live, grazie ai locali, mentre questi due anni hanno rallentato tutto…

Sicuramente, anche perché pure per una "band da sala prove" il live adatta il suono. In questi due anni sono nati progetti di gente di 15 anni che non ha la possibilità di fare dei live, magari c'è un seme che magari è figo che però non avrà quella caratteristica lì o dovrà acquisirla col tempo. Per quello parlavo di periodo di passaggio. A me manca tantissimo non portare questo disco dal vivo perché è suonando i pezzi che ti rendi conto di un sacco di cose, come della risposta delle persone ed è un termometro per continuare a fare cose nuove. Di solito sulle ceneri di qualcosa che hai fatto prima puoi far nascere qualcos'altro.

Tu l'hai suonato solo una volta live, giusto?

Sì, certo, nella live session, ma  per il resto non li abbiamo mai suonati, in più eravamo senza pubblico. Era una situazione bellissima, però…

"Meglio farsi male che stare ferma in posa come mi vuoi tu, io quella parte non la voglio più" (L'ultimo bicchiere), "Da sola o con te sola o con te me ne fotto" (De Niro), "Sogno che nessuna donna resti ferma dietro a un grande uomo" (Karma). Parli di temi che sembrano tornare in maniera molto forte anche nell'industria musicale italiana, me ne parli?

Io penso che una narrazione femminile a livello di cantautorato sia molto indietro. Cioè, ci sono un sacco di donne, siamo tante, siamo brave, ognuna col suo viaggio, solo che a livello sociale la narrazione femminile è meno radicata perché gli autori e i cantautori sono sempre stati uomini e gli uomini scrivevano canzoni che cantavano le donne, così il punto di vista maschile è sdoganato rispetto a quello femminile. Il minimo comune denominatore delle frasi che hai citato è che hanno un punto di vista marcatamente femminile. Questa è una cosa interessante, perché la nostra generazione di cantautrici sta aprendo un varco a questa narrazione, che deve arrivare all'ascoltatore, e spero che questa cosa accada presto.

Qualcosa sta cambiando comunque, no?

Io stessa sono diversa da quella che ero cinque anni fa, quando ero più remissiva e insicura, mentre oggi sono più cosciente di quello che sono. È una questione sia femminile, di una generazione di donne più consapevoli e coscienti, che, dall'altro lato, di una generazione di ascoltatori che assimila quella roba lì, facendola propria.

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