Andrea Sannino, da Abbracciame a Andrè: “Cantare in dialetto napoletano non è da Serie B”
Con "Abbracciame", Andrea Sannino ha piazzato quella che in America chiamano "instant classic", un classico istantaneo. Ha fatto emozionare e cantare Napoli e l'Italia intera, vip e calciatori, tra cui Dries Mertens legatissimo al brano, e ha realizzato 13 milioni di visualizzazioni solo su Youtube. Quel singolo e quel video fu lanciato in anteprima proprio da Fanpage.it e Youmedia ed è nella nostra redazione di Napoli che Andrea Sannino è voluto ritornare per raccontarci il suo secondo disco, "Andrè". Un lavoro ancora in dialetto, in risposta provocatoria a quanti gli consigliavano di cantare in italiano dopo aver raggiunto il successo, come se cantare in napoletano equivalga a restare ancora un cantante di Serie B. Classe 1985, Andrea Sannino ha una carriera molto più grande rispetto a quanto dice la sua discografia (2 album ufficiali più una sorta di EP) con una prima parte dedicata principalmente al teatro, dove si è fatto le ossa ereditando il ruolo di Don Saverio, che fu di Sal Da Vinci, nella seconda edizione di "C'era una volta…Scugnizzi", il musical scritto e diretto da Claudio Mattone.
Dopo "Abbracciame" e il primo disco, "Uanèma", qualcuno ti aveva chiesto un disco in italiano. E invece è arrivato "André".
Con "Andrè" c'è una volontà di marcare fortemente le mie origini e la mia napoletanità. Una risposta a chi mi diceva "Ora che hai avuto successo, fai un disco in italiano", come se fare un disco in napoletano fosse fare qualcosa di Serie B. Per ripicca ironica, ho fatto 14 tracce tutte in lingua napoletana traducendo anche il mio nome in dialetto per il titolo del disco. Questa terra mi ha dato la creatività per scrivere le mie canzoni, io a lei sono legato.
Come nasce una canzone di Andrea Sannino?
Nella scrittura, seguo da sempre un consiglio magico di Lucio Dalla (a lui è dedicato il primo disco dell'artista, "Uanèma" ndr). Mi diceva "scrivi, scrivi, scrivi, scrivi prima di cantare e canta solo quando sei pronto". Ho aspettato i miei trent'anni per pubblicare il primo disco, prima ho scritto. Volevo essere creduto dalle persone che ascoltano i miei brani.
Hai dichiarato "non voglio scegliere tra Mario Merola e Bruno Mars, voglio poter essere entrambi". Tu scappi dai paragoni, eppure ci ricordi tantissimo Eduardo De Crescenzo.
Non accetto nessun paragone, non voglio essere accostato a nessuno. È come se fosse un vincolo. Amo all'infinità Eduardo De Crescenzo, ma è come nominare il nome di Dio invano. Voglio essere Andrea e un giorno poter scegliere di essere come Mario Merola e un altro giorno di essere come Bruno Mars. Voglio essere come i ‘mille culure' di Pino Daniele.
Come si gestisce un successo grande come quello di "Abbracciame"?
Un successo come "Abbraciame" si gestisce con la stessa spensieratezza che ti permette di creare qualcosa come "Abbracciame". Non sapevamo che sarebbe diventata quello che poi è diventata. Le canzoni le senti, le partorisci e poi decide la gente quale diventa "Abbracciame" e quale no.
Nel disco c'è Dario Sansone dei Foja, in "Senza fuji", e c'è Gigi D'Alessio, che ha scritto "Na vita sana".
Avere due collaborazioni come queste, due generi così diversi, significa creare un ponte tra due linguaggi, tra due generi musicali. Non c'è divisione perché entrambi rappresentano una fetta della nostra città.
Sei un grande tifoso del Napoli, scriveresti un inno per la squadra?
No. Non farei un inno per il Napoli perché io mi emozionavo quando sullo stadio si cantava "O Surdato ‘Nnamurato". Non era l'inno ufficiale, ma è quella la canzone che ci rappresenta in quel momento come tifoseria. Quindi, no, anche perché non credo negli inni realizzati ad hoc.