Almamegretta, 25 anni di Sanacore, album cult: “Anticipammo suoni e temi e oggi è ancora attuale”
Sanacore degli Almamegretta è senza dubbio uno degli album italiani più importanti degli ultimi 30 anni. Almeno degli ultimi 30 anni. Considerato unanimemente uno dei capolavori degli anni 90, il secondo album degli Almamegretta, band formata da Raiz (Gennaro Della Volpe), Gennaro T e Paolo "Pablo" Polcari con D.RaD (scomparso nel 2004) alla produzione, è stato uno squarcio nel mondo della musica italiana. Gli Alma confermano con quest'album di essere una delle band più internazionali del Paese e l'interesse che ricevono oltre confine [i Massive Attack gli chiedono il remix di un loro pezzo, "Karmakoma" che diventa "Karmacoma (The Napoli Trip)"] ne è la dimostrazione. In Sanacore si mescolano la techno, la dub, il reggae con la tradizione napoletana (nell'album ci sono anche, tra gli altri Marcello Colasurdo e Giulietta Sacco), i testi in napoletano affondano le mani nei concetti di radice, identità affrontando la questione femminile, con la voce di Raiz che pesca dal Mediterraneo e fa da collante a tutto. "Sanacore", che compie 25 anni e per l'occasione è stato ripubblicato con due inediti, resta il loro album simbolo, grazie anche al successo di "Non te scurdà", brano che fu accompagnato anche dal video di Pappi Corsicato. Abbiamo parlato con Raiz, per capire che anni erano quelli in cui era possibile pubblicare un album come quello e diventare una band simbolo del Paese.
“Nuje nun simmo cchiù chille ‘e vinte anne fa, nun è ‘a nustalgia ca me fa parlà, mmiezo ‘e mura antiche, mmiezo ‘e prete ‘e sta città chello che è stato è stato, chesta è ‘a modernità”. Un album che per coraggio di suoni, tematiche è ancora contemporaneo, ma chi erano gli Almamegretta 25 anni fa?
In qualche modo anticipavamo una tendenza, quindi la frase va bene anche adesso. Non ci sentivamo più legati alla tradizione, perché il mondo che vivevamo e viviamo, il sistema in cui viviamo, ci ha staccato dalla tradizione, allo stesso tempo, però, ci sentiamo anche orfani di questa cosa che continua ad appartenerci. Quello che ci interessava non era tanto la tradizione tour court, tipo la nostalgia del dialetto, ma l'idea che esistesse, in un mondo meno globalizzato e capitalizzato, un'espressione più umana che ci sfuggiva. Infatti a un certo punto diciamo "Possibile che a ‘o munno n'ata scelta nun ce sta: povero rimane oppure ‘o core se ne va", cioè o rimani povero o, se ti arricchisci, il cuore va via. E questa è una domanda ancora oggi interessante.
Ricordi come nacque l'idea di Sanacore?
Noi siamo napoletani già staccati dalla tradizione, io non sono cresciuto ascoltando i dischi tradizionali, sono cose che ho recuperato ex post, perché mi interessavano. Poi ho allargato l'idea di tradizione ad altri confini del Mediterraneo, extra napoletani: conoscevo solo le cose superficiali della tradizione e questo perché sono figlio di una modernità in cui la cesura era già avvenuta. Frequentavamo molto Londra e a un certo punto ci siamo accorti che un sacco di dj di origine pakistana o indiana usavano la loro musica tradizionale con il beat contemporaneo, l'elettronica, l'house, la techno la jungle.
E vi siete appassionati…
No, all'inizio questa cosa ci faceva ridere, sai, ascoltavamo questi pezzi con il beat jungle e poi partiva la voce arabeggiante, all'inizio faceva strano poi però ci siamo detti: "Beh, interessante, noi la conosciamo bene questa cosa, capiamo bene cosa possiamo fare" e così abbiamo cominciato a sperimentare sul nostro patrimonio, abbiamo ripreso quell'idea e buttato tutto nei beat che ascoltavamo e volevamo suonare in quel periodo. Quindi, sperimentando su campo e avvalendoci in qualche modo, io in particolare, di una buona conoscenza della lingua, abbiamo cercato di creare quello che sembrava un prodotto autentico, che alludeva all'autenticità ma diceva: "Quello che è stato è stato, indietro non torneremo, però possiamo prendere quello che c'è di buono nel vecchio, quello di buono nel nuovo, metterlo insieme e produrre una nuova tradizione di umanità".
Su quei suoni, quei beat, poi, hai innestato il tuo cantato, che riprende, appunto, la tradizione nord africana e, nel tempo, è diventato un marchio di fabbrica. Come nasce questa passione?
Io sono stato un grande amante della musica araba in generale e quando dico araba generalizzo, perché è un termine riduttivo. Mi interessano il bacino del Mediterraneo, la musica e i ritmi nordafricani, semplifico dicendo araba per una questione di lingua, ma c'è tutto un substrato nordafricano che arabo non è, ma sarebbe un discorso filologico troppo lungo… Insomma, mi ha sempre interessato quel modo di cantare e non ho potuto fare a meno di vedere che ci sono somiglianze tra quel modo di cantare, appunto e quello della campagna napoletana. Non della città, attenzione, che risente dell'impronta colta del conservatorio, di gente che ha studiato e ha messo nei binari del colto ciò che colto non era o era colto in un altro modo. Parlo di quella tradizione country che ha molto a che vedere con la tradizione country del Nordafrica: ci sono tante diversità, ovviamente, ma mi sono divertito a cogliere gli elementi comuni e a spingere il piede sull'accelleratore delle comunanze. Questa cosa simboleggiava due cose: da una parte una ricerca estetica che si pone al centro (perché in Nordafrica ti dicono che non è nordafricana e a Napoli che non è napoletana), dove da sempre stanno gli Almamegretta, la cui proposta musicale e culturale esalta l'ambiguità, e dall'altra parte è anche una proposta politica perché dice che tutta questa diversità non c'è e costruire un ponte è molto semplice, io l'ho fatto e per quanto ingenuo possa sembrare funziona musicalmente.
Tra tutti gli album degli Alma come ti spieghi che Sanacore sembra essere il vostro più rappresentativo?
Strano, vero? Anche perché Sanacore è un disco più intellettuale: innanzitutto è un disco apparentemente reggae ma che in realtà è techno, rimaneggiato e compilato con la tecnica della performance techno, appunto, piuttosto che con quella del reggae. Questo perché il co-produttore, il nostro elemento mancante, D.RaD, ha apportato tutto quel patrimonio sonoro e di skill che noi non avevamo. Poi abbiamo usato la tecnologia per invecchiare suoni che erano troppo nuovi: parliamo di 25 anni fa ma comunque le batterie si potevano registrare perfettamente con tanti microfoni, ma noi volevamo la batteria anni 80, quindi registravamo a metà dei 90 e poi scartavetravamo tutto per far diventare tutto "anni 80" e su quella batteria mettevamo dei synth che invece erano dell'ultima generazione oppure il basso suonato come se fosse la performance di un bassista reggae e che, in realtà, è una tastiera che suona talmente bassa da riprodurre quel tipo di vibrazione e sopra, magari, ci canta Marcello Colasurdo. Tutto questo è un mix che ha dell'intellettuale, del velleitario, e noi abbiamo forzato per far funzionare tutto insieme. Più che un marmellata, insomma, era una macedonia, perché non è tutto mischiato, ma si vedono bene tutti i frutti.
In più è l'album di Nun te scurdà, canzone simbolo della band, che fa il paio anche con versi come "Si sì femmena muore, si nun si forte nun ce ‘a farraje maje" di Maje. Insomma, tema con cui ancora oggi non siamo pacificati: c'era tanta politica negli Alma.
Noi siamo in qualche modo eredi di un certo movimento politico, la lunga coda del movimento culturale dei 60-70. Nel 95 questa roba qui che era stata resuscitata dalla Pantera nei 90 si faceva ancora sentire e forse era più facile dire certe cose all'epoca. Non c'era stato il terremoto Lega che, di fatto, ha diviso l'Italia, una Lega che oggi è molto italiana, ma all'epoca ha proprio diviso il paese. Tutto questo terremoto politico ha fatto sì che si possano dire certe cose, che si possa essere apertamente razzisti: oggi c'è gente che dice cose che se avesse detto 25 anni fa sarebbero stati presi a mazzate, non avrebbero neanche avuto il coraggio di aprire la bocca. Oggi non solo dice cose contro gli omosessuali, i migranti etc ma prende pure i like.
“Che dulore a essere tagliate, che confusione a nu tene' radice però cà ncoppa simmo tutte eguale senza culure, sulamente sciure” (O Sciore Cchiù Felice) o “‘A casa è addò tu tiene a quaccheduno ‘a casa è addò nun t’odia nisciuno ‘a casa po’ essere ‘o munno sano ma ‘a casa mia ‘a tengo assaje luntano” (Scioscia viento). Il discorso sulle radici e sull'identità è un altro di quelli che fa parte della vostra natura da sempre, no?
Quella è l'allusione al mercato del lavoro e dell'immigrazione, cioè sei strappato dalle tue radici, perché hai fame, devi andare via da dove sei nato, oppure ti cacciano perché non sei della religione o del colore giusto, te ne scappi e vieni da questa parte a cercare un po' di felicità. Sei un fiore di un colore che finisci su una bancarella – il mercato del lavoro – con altri fiori di altri colori. Ora, questa cosa è sicuramente dolorosa, perché la rescissione delle radici lo è sempre, però è anche un'opportunità, perché non avresti mai avuto l'occasione di incontrare altri fiori e magari assieme a questi altri fiori puoi costruire qualcosa di nuovo che non è un'altra cosa.
Alla faccia, quindi, della lotta delle destre per un concetto distorto di identità…
Il tornare indietro, quello che piace a una destra europea romantica, quel ritorno a Camelot, è una sciocchezza, Camelot è stata distrutta, Camelot non puoi ricostruirla, quando tagli le radici è finita, quello che puoi fare è andare avanti, incontrare altri per cercare le condizioni, del presente, per costruire quello che ti manca. Tutto il leit-motiv dell'album è questo: la casa è dove tu hai qualcuno, la casa è dove non ti odia nessuno, non è necessariamente il posto in cui sei nato, ma quello in cui ti amano, hai amici…
Quanto il tuo essere cresciuto lontano da Napoli ha contribuito alla tua formazione?
È tutto, avere più di un'identità è vantaggioso. L'identitarismo è spesso una trappola e spesso, tirato alle estreme conseguenze, diventa nazionalismo, "noi siamo superiori". Io amo moltissimo il posto in cui sono cresciuto, un paesino in provincia di Milano che si chiama Vignate, amo la nebbia, quando c'era, amo i fossi e la campagna, lì sono cresciuto, ho vissuto la mia prima adolescenza, ho conosciuto la prima ragazza con cui mi sono fidanzato, per dire. Poi sono venuto a Napoli, io apparentemente non avevo niente del milanese di provincia e invece ce l'avevo.
Secondo te Sanacore nel mondo musicale odierno che spazio avrebbe?
Oggi avrebbe il posto della nicchia delle persone che non vogliono ascoltare i pezzi di consumo veloce. Siccome è un progetto, ha un senso concettuale, magari attirerebbe l'attenzione di quelle persone, che non sono soltanto cinquantenni ma anche un sacco di giovani che sono alternativi – e ci sono sempre stati -, che oggi rifiuta la trap. Malgrado tutta la simbologia trap appartenga al mondo alternativo, provenendo da quel mondo che era alternativo negli anni 90, oggi sono un po' appiattiti. Potrebbe dire ancora molto e te lo dice uno che è un grande fan dell'hip hop, della musica parlata, delle rime, mi piacciono tanti artisti napoletani.
Tipo?
L'altro giorno mi è quasi venuta una lacrima guardando il video di J Lord perché a quello io ci pensavo 25 anni fa, pensavo che questo doveva succedere e sarebbe successo: per quanto la proposta musicale sia un po' appiattita sulla roba hip hop napoletana di oggi, vedere un ragazzo nigeriano, nato a Napoli, a Castelvolturno, che parla napoletano meglio di tutti, è una cosa che mi fa effetto, era quello che volevamo fare noi con Sanacore, proponendo una canzone napoletana reggae, una cosa che stesse nel mezzo. Occuperemmo una nicchia, ma dovremmo essere giovani: è normale che un ragazzo oggi vede me, che ho l'età di suo padre, e dice ‘Ok, papà, sei bravo, ma sempre mio padre sei!".
Ti sei chiesto perché gli Almamegretta non siano diventati un fenomeno veramente internazionale, avendo contatti e appeal?
Guarda, all'epoca firmammo con la RCA e avrebbero potuto lavorare moltissimo su di noi. Io stavo in Inghilterra, avevo tanti amici forti, per esempio i Massive Attack, venni in contatto con un discografico della RCA inglese che ci fece i complimenti, ci disse che l'album era bellissimo e che avrebbe voluto pubblicarlo con la RCA inglese. Ovviamente, però, sarebbe stato un accordo di intercompany finanziato dall'Italia, poi loro avrebbero potuto fare la distribuzione etc. Quando ne parlai in RCA Italia, mi risposero che avevano il disco di Eros in uscita, insomma non pensavano a lavorare per far crescere i pulcini, il vivaio. Questa miopia è stata totale e a noi ci hanno lasciati un po' così.
Ma non hai pensato mai di chiamare Robert Dal Naja per fare qualcosa per questa nuova edizione di Sanacore?
Eh, ma non è facile perché Robert muove un sacco di roba. Ci ha scritto una bella prefazione, dai, mi posso accontentare di questo. Lui è un amico e probabilmente faremo anche altre cose insieme.