‘A passo d’uomo’: Palazzolo Acreide e i cocci sotterrati
Un bambino scava una buca sotto un albero e trova un coccio nero, lo porta al nonno e il nonno inizia a raccontare una storia. Sembra l’inizio di un libro di avventura ma potrebbe anche essere veramente accaduto qui a Palazzolo Acreide. Nel pomeriggio mi accoglie l’assessore, Paolo, in una piazza del popolo cesellata da luminarie e stendardi, con lui c’è Fabio, un consigliere comunale, che mi rivela essere all’opposizione. In realtà tra i due c’è una complicità che annienta qualsiasi colore politico.
“Solo se Fabio appartenesse ai Sammastianisi (da San Sebastiano) non gli rivolgerei la parola” mi dice scherzando Paolo, che mi parla con orgoglio della sua appartenenza alla congregazione dei Sanpaolisi (da San Paolo) e della festa di San Paolo che si svolge ogni anno nel mese di Giugno. Avere due santi patroni nello stesso paese può creare fazioni, e in questo caso la rivalità è molto antica. M’inoltro in un vicolo tra i balconi barocchi e le antenne paraboliche e arrivo alla casa museo di Antonino Uccello, etnologo e poeta, morto nel 1979. Il museo è pieno di oggetti antichi, dalle pentole, agli arnesi di lavoro, ai giocattoli dei bambini raccolti dal poeta nelle sue spedizioni etnologiche per le cantine e le soffitte della gente. Palazzolo Acreide mi sembra uno di quei paesi sani, riconoscibili.
Il paese nuovo, come una brutta armatura ha fatto si che il paese vecchio si mantenesse quasi integro. Sulla gamba di un ragazzo vedo tatuata una spada con un serpente attorcigliato, “quello è il simbolo di San Paolo” mi dice l’assessore. Capisco che il legame tra l’uomo e il luogo è vivo e questo non si avverte solo negli sguardi degli anziani come accade in altri posti. Immagino che deve essere sempre stato così, anche quando questo posto si chiamava Akrai ed era una città greca situata su un’altura, il legame con la terra è un fatto umano che si tramanda. Prima di lasciarci tra le rovine dell’agorà di Akrai, Fabio mi mostra una “neviera” qui nell’800 conservavano la neve sotto strati di paglia, che poi vendevano a Malta e nelle città costiere. Rimango affascinato dall’importanza che veniva data alla neve e a tuto ciò che un tempo produceva lavoro e ricchezza lasciando intatta la natura.
E’ il momento di partire verso Tindari, Paolo mi congeda con una considerazione: "Se da piccolo hai trovato dei cocci di una civiltà millenaria scavando sotto un pero e ovunque ti giri nel tuo paese vedi la bellezza, non puoi che crescere con la consapevolezza di salvaguardarla per poterla mostrare un giorno a quelli che verranno dopo di te”. Potrebbe essere un buon monito per i politici di questa regione.