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A chi servono le esclusive streaming? Se ne torna a parlare e la colpa è di Frank Ocean

L’uscita di “Blonde”., lpatteso album di Frank Ocean ha riportato al centro della discussione musicale i pro e i contro delle esclusive musicali sulle piattaforme di streaming: a chi giovano?
A cura di Francesco Raiola
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La colpa è tutta di Frank Ocean e del suo "Blonde" (o "Blond" se preferite rifarvi al nome impresso sulla copertina) se in questi ultimi giorni è tornata in auge la periodica discussione sulle esclusive, le piattaforme di streaming e gli interessi di label e singoli artisti. Come ormai noto, qualche giorno fa è uscito quello che era uno degli album più attesi di questo 2016, nonché uno dei più misteriosi: anticipato da alcuni status dello stesso Ocean sui propri social, più volte era stato dato per imminente e altrettante volte quelle voci si erano rivelate una bufala, finché una doppia esclusiva Apple non ha permesso di ascoltarlo, ma solo il giorno dopo l'uscita di "Endless", un video album (sic) che col senno di poi si è scoperto essere servito a rispettare il proprio contratto con la Universal prima di abbandonarla e poter uscire con l'album vero e proprio autoprodotto.

I problemi delle esclusive: la scelta Universal

A quel punto, stando a quanto raccolto da alcuni giornali americani, pare che alcuni dirigenti della major abbiano cominciato a spingere per abolire le esclusive che portano vantaggi soprattutto agli artisti, penalizzando però le etichette che perdono copie vendute e rischiano la pirateria (come lo stesso "Blonde" pare aver dimostrato) e così si è tornati a bomba sulla questione, scomodando i maggiori giornali americani e soprattutto rifacendosi a una quantità di fonti anonime, alla faccia di quell'altra enorme discussione del giornalismo tout court sull'argomento. Negli articoli su Ocean, Universal, streaming ed esclusive, insomma, è tutto un fiorire di "spoke on the condition of anonymity", ovvero di commenti di persone che parlano solo a patto dell'anonimato a causa di – pare -posizioni di risalto nelle stesse aziende o per silenzi dovuti a contratti vari e così bisogna fidarsi dei brand.

La copertina di Blonde di Frank Ocean
La copertina di Blonde di Frank Ocean

Il giallo di Spotify che penalizza chi fa esclusive con altri

E ieri è avvenuto il primo caso di esclusiva e smentita sull'argomento: Bloomberg infatti era uscita con la notizia che Spotify avrebbe, anche in passato, penalizzato gli artisti che avevano dato esclusive dei propri album/video/singoli a società concorrenti come Tidal o Apple, per esempio. In poche ore, ovviamente, è arrivata la smentita dell'azienda svedese che, come noto, preferisce, al pari della sua cugina francese Deezer, evitare esclusive per – dicono – una questione di democrazia. Qualche mese fa, inoltre, hanno avuto un contenzioso con alcune major – con cui, tra l'altro, l'azienda sta chiudendo i rinnovi delle licenze – che avrebbero voluto che alcuni album fossero solo per gli abbonati. L'azienda svedese se la deve vedere in questi ultimi mesi con competitor del calibro delle due aziende su citate che stanno facendo delle esclusive il proprio marchio di fabbrica (da Beyoncé a Kanye West, passando per Rihanna e Drake).

Gli svedesi contro Tidal e Apple

Ovviamente ognuna di queste aziende tira l'acqua al proprio mulino e così mentre Tidal e Apple cercano un posto al sole e un aumento dell'utenza a colpi di esclusive (che durano solitamente una o due settimane), Spotify punta su un pubblico ampio, cercando di emergere come quella che vuole che la musica sia libera per tutti. Billboard spiega che "allearsi con l'azienda svedese ha i suoi vantaggi: ottimi piazzamenti sulle migliori playlist, un aiuto per quanto riguarda promozione e marketing (…). Piuttosto che dire ‘Vogliamo la tua musica in maniera esclusiva', dicono ‘Vogliamo che tu appoggi la piattaforma e ti daremo una quantità X di solfi per promuoverti, per i video e compagnia'" forte di un bacino di utenza che è di circa 70 milioni di utenti a parte i 30 abbonati.

Frank Ocean verso il primo posto Billboard

Spiega il New York Times: "Usati dalle piattaforme di streaming per attrarre attenzione e abbonati [la tecnica delle esclusive, ndr] è stata anche vista dagli artisti come un mezzo per finanziare nuovi progetti (…). Ma questi accordi hanno spesso irritato i fan, dal momento che permettono l'accesso solo al pubblico di un particolare servizio, anche se solo per un tempo limitato. Anche le etichette hanno spesso criticato l'operazione perché limita le vendite e spesso porta alla pirateria". Pirateria che pare abbia colpito anche Frank Ocean, ad esempio, che nonostante tutto, però, esordirà in testa alla classifica di Billboard con un numero di copie vendute che si aggirerà tra le 225 e le 250 mila copie, diventando il terzo album più venduto dell'anno nella sua prima settimana, preceduto solo, nel 2016, da "Views" di Drake (1, 04 milioni) e "Lemonade" di Beyoncé (653 mila). L'argomento è caldo, lo è da tempo, anche perché il futuro, stando ai dati di questi ultimi anni, continua ad essere dello streaming ed è su quel campo e su quell'utenza che si combatterà la battaglia finale.

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